Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

L’ immagine del Che: una eccezione nel processo iconografico tradizionale

CheL’ espressione pigramente diffusa di ‘’civiltà dell’ immagine’’ potrebbe farci pensare che la nostra società si interessa molto alle immagini. Ma non è affatto così – osserva André Gunthert su L’ image sociale in un intervento dal titolo ‘’Le portrait du Che, c’est le Che’’ (‘’Il ritratto del Che, è il Che’)’.

 

Tranne nel caso dell’ arte, che ha sviluppato uno sguardo specifico, le immagini – aggiunge lo studioso francese – ‘’sono quasi sempre invisibili, confuse con il loro referente : ‘il ritratto di Cesare è Cesare’, per riprendere una formula abbondantemente illustrata da Louis Marin’’ (semiologo e critico d’ arte francese, ndr).

Accade invece il contrario, cosa rara, con un film che è stato appena proiettato in Francia su LCP (l’ emittente dell’ Assemblea nazionale). Si tratta di di “Che Guevara, la fabrique d’ une icône”, di Jean-Hugues Berrou, che – spiega Gunthert – sceglie l’ immagine come soggetto, senza confonderla con quello che essa rappresenta. Spiegano gli autori: ‘’Come un uomo politico ucciso più di 35 anni fa si è progressivamente trasformato in una immagine’’.

 

Che2

 

Il caso è esemplare – dice Gunthert -: né opera d’ arte né produzione dell’ industria culturale, il ritratto del Che, il cui prototipo sarà fissato una volta per tutte nel 1968 dall’ artista Jim Fitzpatrick, è il luogo di un lavoro appropriativo autonomo, un processo di produzione inconica costruito interamente dal pubblico.

 

Berrou, nel documentario propone una dimostrazione che, in tre scenari, disvela l’ ampiezza della propaganda castrista, la costruzione del culto della personalità a partire dall’ esecuzione a morte dell’ idolo e, infine, terzo, la dimensione grafica di una immagine che non si riduce affatto alla foto di Korda.

 

Fra i vari brani del film, restano impresse le immagini degli archivi cubani, prime fonti della leggenda. L’ intervista alla figlia del Che, che racconta come non avesse riconosciuto suo padre, travisato prima della sua partenza da Cuba, quella dell’ istitutrice che assisté alla sua esecuzione, o quella di una boliviana che gli aveva portato una offerta per guarire la sua famiglia constituiscono i documenti sensibili di una lenta trasformazione dell’ individuo in una immagine. L’ intervento di Jim Fitzpatrick, che ridisegna l’ icona gli occhi degli spettatori – continua Gunthert – è un altro momento molto forte, che finisce per confermare la metamorfosi ‘’cristica’’ dell’ ideologo argentino, filo rosso della lettura di Berrou (…).

 

Se l’ immagine di una star è la star, i component di questa costruzione iconica vengono prevalentemente prodotti dall’ industria. Nel caso del Che – conclude Gunthert – la produzione industriale arriva dopo la devozione che ha circondato quell’ immagine e non fa che riprodurre il motivo eroico che è stato designato da migliaia di fan o di militanti, a cui serve da schermo per meglio proiettare se stessi.

 

Che3

L’ immagine del Che è prima di tutto la loro immagine, quella che loro hanno scelto come emblema per meglio apparire, manifestare, essere riconosciuti. Una appropriazione che stravolge in modo sostanziale il sistema iconografico tradizionale e costituisce per questa ragione una straordinaria storia visuale.