Un dato centrale, e tutto sommato previsto, è che il 39%, degli utenti dei Paesi presi in esame utilizza ormai due o più dispositivi a settimana (nel 2012 erano il 33%) per seguire le varie testate d’informazione e lo smartphone è lo strumento d’accesso primario per il 20% – che sale al 35% fra gli utenti compresi tra i 18 e i 24 anni. Netta anche la preferenza per le app (47% in UK, per esempio) contro il 38% dei siti web ottimizzati per il mobile.
Altra rilevazione utile è che Facebook si conferma di gran lunga la piattaforma numero uno per la condivisione (e i clic) delle notizie internazionali, mentre Twitter è ampiamente usato per questo in Usa, Regno Unito, Spagna ma assai meno negli altri Paesi europei – Italia inclusa, poco meno del 10%, mentre Facebook viene dato quasi al 60% e in generale il 44% condivide articoli via email o social media. Da notare però che (sempre in Italia) è tutt’ora la TV la fonte primaria delle news in assoluto – 55% contro il 26% del web, il 12% della carta stampata e il 6% della radio – come pure in testa rimangono le fonti mainstream online: 52% rispetto al 28% dei siti nativi, e il 51% dei social media (con Repubblica.it e TgCom.it per prime).
Rimandando per ulteriori dettagli al copioso materiale statistico, suddiviso anche per Paese, del Digital News Report, vale la pena di sottolineare alcuni trend generali, soprattutto sul rapporto cartaceo-digitale e sulle news online a pagamento. Sul primo punto, l’indagine segnala che complessivamente le vendite dei quotidiani nei 10 Paesi sono rimaste al livello dell’anno scorso (49% contro 50% nel 2013), rafforzando l’ipotesi della lunga vita del formato a stampa, appena un paio d’anni fa dato per spacciato. Però i dati specifici rivelano interessanti differenze di tali vendite rispetto all’inevitabile transizione o affiancamento del digitale.
Giappone, Finlandia, Danimarca, Germania e Usa vantano una lunga tradizione di abbonamenti, mentre UK, Italia, Spagna e Brasile le vendite avvengono quasi esclusivamente nelle edicole. Motivo per cui in quest’ultimo caso si tende a optare per i titoloni e le news forzate (se non scandalistiche), cosa che li rende altresì vulnerabili a rapidi alti e bassi di copie vendute – con immediati riflessi su qualità e presentazione delle news sui relativi siti per compensare o incrementare quest’andamento.
Rispetto invece alle news online a pagamento, nell’ultimo anno cresciuti gli esperimenti in tal senso. In Usa, la metà delle testate mainstream ha attivato un qualche tipo di paywall, mentre in Germania il gruppo numero uno, Axel Springer, ha raccolto in sei mesi oltre 150.000 abbonati per il servizio Bild Plus e il modello analogo messo in piedi nel Regno Unito dal popolare Sun ha già superato i 100.000 abbonati. Nel complesso dei 10 Paesi esaminati, tuttavia, ancora poche in assoluto le persone disposte a pagare per l’accesso alle news online, non importa quanto qualificate: si resta intorno al 10%, convalidando altri studi secondo cui si ricavano maggiori entrate da un numero ridotto di utenti.
Ancora, tra quelli disposti a pagare, la maggioranza ha stipendio ed istruzione di alto livello, anzi in dettaglio: il 61% sono uomini, il 35% sono ultra-55enni, il 52% ha una laurea o un master, l’89% si dice assai interessato all’attualità e il 43% preferisce il tablet. Quest’ultimo appare perfino un fattore trainante per decidere di sborsare l’obolo, almeno in Usa e UK: 19% e 14%, rispettivamente, contro 16% e 11% di chi usa lo smartphone e 11% e 7% di chi si limita al web.
Cresce infine la percentuale di coloro che si dicono disposti a pagare qualcosa in futuro, dal 61% del Brasile urbano a Italia e Spagna, primi in EU (inaspettatamente?) con 23% e 21% – mentre a livello generale, l’accoppiata vincente per le entrate future rimane sempre giovani (13%) + tablet (11%).