Mobile first, quando gli internauti non sanno cos’ è un link
‘’I nativi digitali sono abituati alla tecnologia, non consapevoli delle sue potenzialità ’’. Lo ha scritto Mafe de Baggis sul suo blog, lo ha argomentato Paolo Attivissimo, qualche mese fa.
Io l’ ho sperimentato durante alcuni workshop di citizen journalism in Africa, tra Burkina Faso, Senegal, Uganda e Benin, dove gli utenti – di qualunque età – si connettono prevalentemente attraverso le applicazioni del loro cellulare e raramente hanno la possibilità di sedersi davanti a un computer e navigare il web, digitare indirizzi, passare da una pagina all’ altra.
di Donata Columbro
Nei paesi in cui l’accesso a internet è “mobile first” o “mobile only†come spesso afferma Toby Shapshak, relatore TED e direttore di Stuff Sudafrica, l’utente è arrivato al social network e al cloud senza passare dal via, ovvero dall’ ipertesto.
Infatti, a metà di ogni formazione, arriva sempre il momento del “credo di aver sbagliato tuttoâ€, in cui gli studenti si chiedono se non avessero fatto meglio a stare a casa, a scuola o in qualunque altro posto piuttosto che a sudare in un cyber café insieme alla sottoscritta. Succede soprattutto quando chiedo loro di “linkare†l’ album di Flickr con i reportage all’articolo appena caricato sul blog. Di qui la domanda del titolo, che mi pongono indistintamente studenti e professori.
Madame, cos’è un link?
Per rispondere mi faccio aiutare da Wikipedia e dalle sue pagine piene di collegamenti che aprono mondi. Se avessi più tempo, comincerei ogni formazione con una giornata sulla creazione di una voce sull’ enciclopedia libera fondata da Jimmy Wales. Dovrebbe farlo ogni insegnante preoccupato che i suoi studenti copino dal web le proprie tesine: se vuoi copiare da Wikipedia, diventa wikipediano a tutti gli effetti.
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La semplicità complica la vita
Quando ho aperto il mio primo blog, a fine 2004, sulla piattaforma Splinder, per qualsiasi modifica al template era necessario conoscere una base minima di linguaggio html. Oggi con WordPress si può evitare persino di sapere come un link di Youtube postato nel testo si trasformi magicamente in un video quando l’articolo viene pubblicato. La funzione “aggiungi media†permette di navigare su siti esterni, da YouTube a Twitter, per cercare i contenuti che ci interessano attraverso parole chiave, incorporandoli direttamente nel testo senza bisogno di accedere al “dietro le quinte’’ dell’ editor.
Ma torniamo al problema del link. Voglio spiegare ai miei studenti che è possibile suggerire ai lettori di visitare altri siti internet abbinando una parola, una frase o un’ immagine all’indirizzo di quei siti. Trovo l’url nella barra degli indirizzi. Che però, per semplificare la vita agli utenti, i browser hanno deciso che potesse funzionare anche come barra di ricerca.
Quindi la barra di un motore di ricerca è anche una barra degli indirizzi?
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No. Se un indirizzo è la via esatta che indico al tassista per portarmi in un luogo esatto, le parole chiave che digito per arrivare su un sito sono i riferimenti dei luoghi che sono più vicini. Nel secondo caso dovrò fare qualche giro dell’isolato per trovare il posto giusto (cliccare sui siti che mi propone il motore di ricerca), mentre nel primo, digitandolo l’ url esatto nella barra degli indirizzi, arrivo immediatamente nel luogo che mi aspetta. Ma se lo digito nel posto sbagliato, allora torno alla pagina dei risultati.
Una differenza non banale dove la connessione non è sempre al passo con le esigenze di chi naviga. Immaginate di viaggiare su un taxi con un serbatoio di benzina bucato e dover girare attorno all’isolato molte volte prima di trovare la destinazione perché avete comunicato l’ indirizzo in una lingua che il tassista non conosce.
I procedimenti semplificati che “aiutano†gli utenti a usare il web, in realtà li tengono all’oscuro del suo funzionamento. O meglio, ne modificano la percezione.
Ecco perché sostenere iniziative come Coder Jojo e One Hour of Code diventa sempre più importante. In Africa, come in Italia.