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Riforma dell’Ordine dei giornalisti: la vittoria dei ‘fantasmi’

I fantasmi dei giornalisti ‘invisibili’, quei 50.000 pubblicisti di cui nessuno conosce bene la fisionomia, sono riusciti a vincere la partita dell’ultimo Consiglio nazionale dell’Ordine, facendo prevalere una proposta di riforma che si illude di togliere agli editori il potere formale di decidere chi sarà giornalista –  attraverso l’accesso universitario alla professione – ma che, confermando la distinzione fra professionisti e pubblicisti, lascia loro campo libero su  quello che è diventato il bacino principale di reclutamento della forza lavoro, il pubblicismo. Sancendo così la prevalenza della via pubblicistica alla professione. E la condanna dei pubblicisti professionali a una inesorabile condizione di precariato a vita.

 

di Pino Rea*

 

Un bel risultato per quegli oltre 20.000 pubblicisti che hanno una posizione all’ Inpgi e sono pienamente all’ interno della professione, anche se in condizioni di forte sfruttamento e ingiustizia!

Quei giornalisti che invece  la proposta di riforma di ‘’Liberiamo l’ informazione’’ intendeva includere nell’ area del giornalismo professionale, con  l’ abolizione dei due elenchi – professionisti e pubblicisti – e la possibilità per i pubblicisti che si sentono e sono professionisti di accedere al nuovo Ordine, quello dei giornalisti abilitati alla professione.

 

Ha prevalso per pochi voti un testo di indirizzo (il Consiglio dell’ Ordine non fa la riforma ma ne può suggerire i lineamenti al legislatore) fortemente peggiorativo rispetto alla proposta iniziale della Commissione incaricata di redigere una proposta di Riforma, in cui anche alcuni punti  positivi sono stati cancellati. Oltre all’ accesso universitario, un rapporto di rappresentanza in consiglio (tre professionisti e due pubblicisti) più vicino a quel 2-1 stabilito dalla legge del ’63 per i consigli regionali, un invito a una drastica riduzione nel numero dei consiglieri, e, soprattutto, l’ idea di una verifica dell’ effettivo svolgimento dell’ attività professionale attraverso i dati dell’ Istituto di previdenza.

 

Un trionfo quest’ ultimo per i 50.000 pubblicisti ‘’invisibili’’.

 

E un trionfo per gli interessi degli editori. Che – se non interverrà una riforma radicale, che imponga, indirettamente, una completa trasformazione del mercato del lavoro e un riequilibrio sostanzioso nei redditi e nei diritti fra lavoro dipendente e lavoro autonomo – potranno continuare ad utilizzare il pubblicismo come il bacino da cui attingere forza lavoro a basso prezzo da spremere quanto più è possibile. Anche attraverso l’ alibi della tessera professionale (dell’ accesso al pubblicismo) utilizzato da molti editori e dirigenti editoriali surrettiziamente come ‘’moneta’’ e ‘’sotto-salario’’.

 

Ripetiamo qui alcuni dati di scenario:

 

-          Il lavoro giornalistico ufficiale, almeno sul piano numerico,  è in prevalenza nelle mani dei pubblicisti.

-          Fra i giornalisti attivi iscritti all’ Inpgi (in entrambe le gestioni) alla fine del 2012 i pubblicisti erano 24.864  contro i 21.475 professionisti.

-          I pubblicisti erano in forte minoranza nel campo del lavoro subordinato: 3.393 contro 15.530 professionisti nel 2012.

-          Ma nel campo del lavoro autonomo o parasubordinato erano 21.471 contro i 5.945 professionisti.

 

-          I pubblicisti rappresentano il  17,6% del lavoro subordinato e il 75,6% di quello autonomo.

 

I dati confermano che di fronte alla crisi  il sistema industriale/editoriale del giornalismo italiano ha scelto la strada della minor resistenza, concentrandosi soprattutto  in una vasta operazione di esternalizzazione (outsourcing).

Prosciugare quanto più è possibile  i poli produttivi centrali (le redazioni, dove il costo del lavoro è più alto), concentrando lì il minimo indispensabile di attività di progettazione, filtraggio, curation e assemblaggio,  e spostando invece all’ esterno tutta la fase della produzione della ‘’materia prima’’ (notizie e servizi), affidata a un nuovo pubblicismo sempre più robusto in termini numerici ma sempre più debole in termini di diritti e di reddito.

 

La proposta di ”Liberiamo l’ informazione”

 

La proposta di ‘’Liberiamo l’ informazione’’ era articolata sostanzialmente su due piani: separare i piani della formazione professionale e dell’ accesso da quella del mercato e  superare la distinzione fra professionisti e pubblicisti creando un unico elenco di ‘’giornalisti abilitati alla professione’’, consentendo ai pubblicisti attuali che sono pienamente all’ interno dell’ attività giornalistica di togliersi la casacca ottocentesca del pubblicista e indossare quella del giornalista tout court (corso di formazione + esame di idoneità) e a quelli che si sentono vicini alla figura del vecchio pubblicista di conservare il loro status, restando in un elenco speciale ad esaurimento. Con il diritto alla rappresentanza nel futuro Consiglio nazionale.

 

Da un primo confronto tra le due linee fondanti (doppio elenco o elenco unico) martedì pomeriggio era già uscita una netta vittoria della prima ipotesi. I consiglieri di “Liberiamo l’ informazione” e della sua costola romana, Contrordine, hanno comunque deciso di provare a migliorare questa proposta, presentando una serie di emendamenti. Un giorno di votazioni a raffica ha fatto si che l’ ipotesi “A” uscisse svuotata degli elementi positivi, tanto da spingere i 3/5 del gruppo che aveva preparato l’ipotesi di mediazione, la prima, a disconoscerne la paternità e ad astenersi dal voto. La consistenza numerica del gruppo di maggioranza nel corso di queste votazioni si è via via assottigliata, fino alla votazione conclusiva, che ha visto 59 consiglieri favorevoli alla ipotesi ‘’A’’ contro 57 contrari.

 

Il presidente dell’ Ordine, Enzo Iacopino si trova oggi fra le mani un testo a stento condiviso dalla sua maggioranza, e rischia di essere il presidente che gestirà la fine dell’ Ordine dei Giornalisti. Perché ‘’o si cambia o si chiude’’, come dice lo slogan dell’ opposizione.

 

I consiglieri di “Liberiamo l’informazione” e  “Contrordine” hanno denunciato in un documento che riportiamo qui sotto l’ incapacità di autoriformarsi di questo Consiglio, ‘’tenuto numericamente in ostaggio da chi esercita la professione in modo occasionale o anche a tempo pieno senza aver avuto alcun percorso formativo e superato alcun esame di idoneità’’.

 

L’ iniziativa per una vera riforma – aggiunge il documento – avrà ‘’quale unico sbocco un dialogo diretto con le forze politiche e sociali interessate a un’informazione autonoma e libera basata su un indifferibile cambiamento.
Avvieremo quindi nelle prossime settimane una raccolta di firme presso tutti gli ordini regionali e tutte le redazioni a sostegno del proprio progetto di riforma che sottoporranno direttamente al Parlamento.”

 

Riforma dell’ Ordine, il documento di ‘’Liberiamo l’ informazione’’

“I consiglieri nazionali dell’Ordine di Liberiamo l’Informazione e di Contrordine, preso atto che la maggioranza del Cnog, all’esito della discussione e del voto su un progetto di riforma da sottoporre al Parlamento, ha:
 
-respinto in maniera netta i principi e l’articolato di riforma presentato da Liberiamo l’Informazione e Contrordine (fine della distinzione professionisti/pubblicisti) albo unico, e riduzione dei componenti del Consiglio a 60 membri dagli attuali 158;
 
-approvato a maggioranza (59 a 57) amputandolo di alcuni dei suoi principi cardine il progetto di riforma faticosamente mediato all’interno della commissione insediata dallo stesso Cnog, stravolgendone così il significato;
 
ritengono che il consiglio, in virtù della sua maggioranza politica e del rapporto di forza numerico tra pubblicisti e professionisti, abbia definitivamente certificato la sua incapacità ad autoriformarsi.
Denunciano una intollerabile situazione di stallo per la quale, in difformità dagli intenti della legge istitutiva del 1963, il Consiglio Nazionale è tenuto numericamente in ostaggio da chi esercita la professione in modo occasionale o anche a tempo pieno senza aver avuto alcun percorso formativo e superato alcun esame di idoneità.

 
I consiglieri di Liberiamo l’Informazione e di Contrordine ritengono pertanto che l’iniziativa per una vera riforma abbia ora quale unico sbocco un dialogo diretto con le forze politiche e sociali interessate a un’informazione autonoma e libera basata su un indifferibile cambiamento.

 
Avvieremo quindi nelle prossime settimane una raccolta di firme presso tutti gli ordini regionali e tutte le redazioni a sostegno del proprio progetto di riforma che sottoporranno direttamente al Parlamento.”

 

Qui il documento di indirizzo di ‘’Liberiamo l’ informazione’’ e qui un articolo di Carlo Bonini e Pino Rea.

 

* Pino Rea è consigliere nazionale dell’ Ordine   

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