Storia di un giovane giornalista emigrato (ma smanioso di tornare)
L’ Italia ‘’mi ha voltato le spalle senza ripensamenti, non ha fatto nulla per trattenermi, mi ha prima illuso (facendomi girare come un trottola di stage in stage mai retribuiti) e poi tradito (negandomi un contratto di lavoro dopo avermi puntualmente spremuto senza riserve), mi ha affidato al Canada – volo solo andata – senza battere ciglio. Il Paese degli aceri, invece, mi ha accolto a braccia aperte, mi ha restituito la fiducia in me stesso, mi ha fatto sentire importante e capace, mi ha fatto crescere, facendomi diventare più maturo e responsabile, oltre che un giornalista professionista, di nome e di fatto’’. Â
Da Frascineto (Cosenza), via Roma, a Montréal, in Québec. Da stagista senza sbocchi a caporedattore del ‘’Cittadino canadese’’. Sedotto, ma non conquistato. Â
di Vittorio Giordano
([email protected], @vittoriog82 )
Montréal – Lo scrittore statunitense John Steinbeck una volta scrisse che “le persone non fanno i viaggi, ma sono i viaggi che fanno le personeâ€. Nel 1960 partì per gli Usa per riscoprire il suo Paese.
Io quel viaggio l’ho fatto in Canada, che mi ha sedotto ma non conquistato, aiutandomi a ritrovare l’ orgoglio di essere italiano. Quando, il 5 novembre del 2007, sono sbarcato per la prima volta a Montréal, con un cielo grigio e una pioggia battente ad accogliermi, non pensavo di poter andare oltre i sei mesi.
Impossibile, anche lontanamente, immaginare un soggiorno più lungo: troppo italiano, calabrese fino al midollo e legato alle ‘sacre’ abitudini del Belpaese – dal calcio alla pizza, dal mare alle bellezze mediterranee – per potermi adattare ad un Paese dal clima rigido e dai cuori gelidi (altro che calore meridionale!). Un compromesso troppo al ribasso da accettare, un prezzo troppo alto da pagare.
Uno scenario improponibile per il mio cuore tricolore e il mio orgoglio ‘terrone’.
Eppure, sei anni dopo, con una residenza in mano ed un passaporto all’orizzonte, mi ritrovo ancora, e piacevolmente, ‘prigioniero’ di un Paese che mi ha spiazzato, regalandomi – professionalmente parlando e non solo - tutto quello che l’Italia mi ha quasi sempre negato.
Faccio parte di quella sfortunata generazione costretta a lasciare l’Italia per poter vivere, e non solo sopravvivere. Roma mi ha formato (sei anni di Università ) ma non ha saputo e voluto mettermi alla prova offrendomi uno straccio di prospettiva di vita stabile.
La mia ‘matrignapatria’ – lasciatemi passare il neologismo! – mi ha voltato le spalle senza ripensamenti, non ha fatto nulla per trattenermi, mi ha prima illuso (facendomi girare come un trottola di stage in stage mai retribuiti) e poi tradito (negandomi un contratto di lavoro dopo avermi puntualmente spremuto senza riserve), mi ha affidato al Canada – volo solo andata – senza battere ciglio. Il Paese degli aceri, invece, mi ha accolto a braccia aperte, mi ha restituito la fiducia in me stesso, mi ha fatto sentire importante e capace, mi ha fatto crescere, facendomi diventare più maturo e responsabile, oltre che un giornalista professionista, di nome e di fatto.
E non sono l’unico: mese dopo mese cresce vertiginosamente il numero di giovani che salutano il Belpaese per esplorare “l’ eldorado esteroâ€. Qualche dato. Secondo il Ministero dell’Interno, al 1° gennaio 2013, i cittadini italiani residenti fuori dei confini nazionali sono 4.341.156: il 7,3% dei circa 60 milioni di italiani residenti in Italia. L’aumento, in valore assoluto rispetto al 2012, è di 132.179 iscrizioni (+3,1%).
In Canada, oggi, vivono quasi 2 milioni di italiani (117 mila con passaporto), molti addirittura alla 4ª generazione, 300 mila (32 mila in possesso della cittadinanza) soltanto nella provincia del Québec.
Montreal è tra le città più “italiane†del mondo, con oltre 250 associazioni regionali, provinciali, o cittadine che preservano intatti usi, consumi e tradizioni (ormai perduti nel Belpaese). Una realtà che ho potuto conoscere da vicino grazie al “Cittadino Canadeseâ€, settimanale italiano edito a Montréal dal lontano 1941. Un giornale che, a queste latitudini, non è solo uno strumento di informazione, ma anche, e soprattutto, un’abitudine, uno stile di vita, un’istituzione, un baluardo della lingua e della cultura italiana.
È attraverso le sue pagine, prima da affezionato lettore e poi da caporedattore, che ho avuto la possibilità , e la fortuna, di capire a fondo le dinamiche della Comunità italiana nel mondo e di conoscere da vicino un Paese tanto esteso e freddo, quanto cordiale e generoso come il Canada. Un Paese che non ha una storia millenaria, è vero, ma che guarda al futuro con passione e ottimismo. Un modello di Stato all’avanguardia per servizi, efficienza e organizzazione, ma anche per senso civico e rispetto delle diversità (1 canadese su 5 è nato all’estero, esistono 200 gruppi etnici; dopo l’inglese e il francese, la 3ª lingua parlata è il cinese; 22.1 milioni di canadesi – i 2/3 della popolazione – si dichiarano cristiani, di cui il 38% cattolici).
Eppure, lo ammetto, non ho mai “lasciato†l’Italia: né con il cuore né con la testa. Paradossalmente, è proprio in Canada, a 8.000 km di distanza e con un oceano di mezzo, che mi sono riscoperto più italiano che mai: scrivo, penso, sogno, mangio, vesto, vivo all’italiana. In Canada ho avuto la fortuna di incontrare, e intervistare, personaggi come Roberto Benigni, Claudio Baglioni, Antonella Clerici, Carlo Conti, Renzo Arbore, Laura Pausini, Zucchero, Jovanotti, Albano, Pupo, Toto Cutugno; giocatori di calcio come Di Vaio, Ferrari e Nesta; piloti come Fernando Alonso e Michael Schumacher. Solo per fare qualche nome. Roba da capogiro, gente impossibile da avvicinare in Italia senza il ‘giusto’ contatto. Amo l’Italia, adoro la mia Calabria, ma oltreoceano mi sono sentito per la prima volta capito e apprezzato per quello che sono.
Questo esodo verso l’estero è una sconfitta per tutti: per l’Italia e per i suoi figli – come me – in giro per il mondo: che scommettono su se stessi per riscattare un passato senza futuro. Proprio quello, invece, che il Canada mi ha regalato, restituendomi il sorriso e, paradossalmente, la voglia di tornare in Italia.
Sì, perché, in fondo, il Canada, ‘terra del multiculturalismo’ per eccellenza, mi ha concesso tanto senza mai chiedermi di rinnegare me stesso e la mia storia. Mi ha anzi insegnato ad amare, a capire gli altri, a valorizzare anche i loro difetti, in un processo di arricchimento reciproco. Fino al punto di farmi ri-innamorare della mia terra, la stessa che mi ha prima cresciuto e poi abbandonato. Ma che io ho già perdonato e che non vedo l’ora di riabbracciare. Questa volta per sempre. Perché, nonostante tutto, le appartengo. Perché il primo amore, quello vero, è per sempre.