Lo segnalava un’ analisi pubblicata dal Pew Research Center nell’ agosto scorso, che ci era sfuggita ma che vale la pena di riprendere.
Il divario fra addetti alle relazioni pubbliche e reporter&corrispondenti è cresciuto anche sul piano numerico: i primi ormai superano i secondi per quasi 5 a 1: ora sono 202.530 contro 43.360. Mentre dieci anni fa erano 166.210 contro 52.550, con un rapporto di 3,2 a 1.
Nel 2013, secondo i dati BLS, gli esperti di relazioni pubbliche – spiega Alex T. Williams su Pew – hanno guadagnato un reddito mediano annuo (il punto a metà fra reddito più alto e reddito più basso, diverso quindi dal reddito medio, ndr) di 54.940 dollari rispetto ai 35.600 dei giornalisti. In altre parole, i giornalisti, in media, guadagnano solo il 65% del reddito mediano delle PR. Un divario maggiore rispetto a quello del 2004, quando i giornalisti guadagnavano 71 centesimi su ogni dollaro guadagnato dai pr (43.830 dollari contro 31.320).
Il grosso di questo gap – aggiunge Pew – nasce dalla crescita salariale nel settore delle relazioni pubbliche in un periodo in cui gli aumenti di salario nel settore giornalistico non hanno nemmeno tenuto il passo con l’ inflazione.
Se è cresciuto il divario salariale, è aumentata anche la differenza quantitativa fra quanti lavorano nei due campi. Nel 2013 c’ erano 4,6 addetti alle relazioni pubbliche per ogni giornalista, secondo il dati del BLS. Inferiore al rapporto 5,3 a 1 che c’ era nel 2009, ma notevolmente più alto del rapporto che esisteva 10 anni fa e che era di 3,2 a 1.
Durante questi dieci anni, il numero di reporter è sceso da 52,550 a 43,630, con un calo del 17%. Mentre nello stesso periodo gli addetti alle relazioni pubbliche sono cresciuti del 22%, passando da 166.210 a 202.530.
I dati del dipartimento Occupational Employment Statistics del BLS includono la categoria dei ‘’Reporter e Corrispondenti’’ e quella di ‘’Specialisti in relazioni pubbliche’’, ma non comprendono direttori e redattori o i manager PR.
La disparità fra i due segmenti – osserva Pew – emerge anche da uno studio dell’ Università della Georgia, secondo cui i nuovi laureati che cominciano la loro carriera nelle relazioni pubbliche guadagnano, in media, 35 mila dollari l’ anno: circa 5.000 dollari in più di coloro che iniziano a lavorare nei quotidiani e 6.000 in più di coloro che lavorano in televisione.
Uno dei fattori che sta dietro l’ aumento dei posti di lavoro nelle pubbliche relazioni è stata la tecnologia digitale. Agenzie e aziende sono ora in grado di raggiungere direttamente il pubblico in molti modi e stanno assumendo per questo esperti nelle PR.
Ma tutto questo solleva anche delle preoccupazioni perché la contrazione delle redazioni produce nei giornalisti maggiori difficoltà nel vaglio delle informazioni provenienti da fonti esterne.
Nel loro libro del 2010, The Death and Life of American Journalism, Robert McChesney e John Nichols scrivevano: “Poiché le redazioni si restringono, c’ è meno possibilità per i nuovi mezzi di informazione di analizzare e verificare a fondo le affermazioni dei comunicati stampa.”
Un Rapporto del Pew Research Center del 2012 sulla copertura delle elezioni presidenziali aveva documentato come i giornalisti in quella campagna avessero spesso funzionato come megafoni, rilanciando semplicemente delle affermazioni invece di contestualizzarle. Notando un “forte aumento dell’ influenza di voci partigiane, spin doctor e surrogati nel plasmare ciò che viene detto al pubblico sulla biografia e il carattere dei candidati”, il rapporto collegava quel fenomeno alla diminuzione delle “risorse per i giornalisti nelle redazioni.”
E uno studio del 2014 sull’ informazione in campo sanitario realizzato dalla JAMA Internal Medicine ha rilevato che la metà degli articoli esaminati si basava su una singola fonte o omettevano di chiarire i possibili conflitti di interessi delle fonti. Lo studio concludeva che “per alcune informazioni affidarsi a un comunicato stampa può essere appropriato. Tuttavia, i giornalisti dovrebbero muoversi in maniera del tutto indipendente dalle affermazioni dei sanitari”.