Quel Satoshi Nakamoto che ha firmato e pubblicato il protocollo Bitcoin nel novembre 2008, e che viene generalmente ritenuto lo pseudonimo che si è attribuito un gruppo di programmatori anonimi.
In estrema sintesi, dopo due anni di indagini, la reporter di Newsweek Leah McGrath Goodman ha scovato nell’ area di Los Angelese l’ indirizzo di un certo Dorian Satoshi Nakamoto (nella foto), che in base a passate esperienze da ingegnere, vari impieghi nell’ intelligence Usa e altri dettagli personali potrebbe essere il “nostro uomo”.
Dopo aver instaurato con lui una relazione amichevole via email, discutendo della sua passione, i modellini dei treni, Goodman è andata a bussare alla porta di casa. Mr. Nakamoto l’ ha accolta chiamando la polizia, alla cui presenza è stato chiarito lo scopo reale dell’ interesse di Goodman.
Nakamoto ha ribadito di non aver nulla che fare con Bitcoin e, soprattutto, di non voler parlare affatto con la giornalista. E ieri ha dribblato un nugolo di reporter davanti casa per recarsi negli uffici di Los Angeles dell’Associated Press per spazzar via ogni dubbio sul suo coinvolgimento, passato o presente, con la cripto-moneta.
In risposta, Newsweek ha diffuso un nuovo comunicato in cui conferma la veridicità di quanto contenuto nell’ articolo originale — subissato però dai commenti degli utenti che ne ribadiscono l’erroneità , nonché l’ invasione della privacy e l’ assenza di pratiche deontologiche. Il brutto è infatti che il lungo servizio del settimanale Usa, appena tornato in edicola dopo 15 mesi di assenza, includeva molti dettagli personali, interviste con amici e parenti, finanche le foto della casa e dell’ automobile di Nakamoto, senza oscurarne la targa.
Insieme a moltissime prese di posizione a sostegno della fallacia dello “scoop” giornalistico, trolling incluso, da notare un post apparso improvvisamente su una pagina, da tempo silenziosa, sul sito della PeerToPeer Foundation che sembra fosse curata dal Satoshi Nakamoto legato a Bitcoin, dove l’autore nega di essere il Dorian in questione.
D’ altronde anche per le autorità federali Usa “svelare” o meno quest’ identità non ha alcuna rilevanza: «Probabilmente sapere chi è davvero l’ideatore di Bitcoin vale più come una risposta nel gioco della Trivial Pursuit [su temi di attualità cultura generale] che rispetto alle prospettive di regolamentazione», ha dichiarato Bart Chilton, commissario della Commodity Futures Trading Commission.
Come intepretare dunque l’operazione tentata da Newsweek? Pur rimanendo nell’ambito del “free speech & free market”, si è trattato di una forzatura dei fatti, presentati in quanto tali e mai come possibile teoria, insieme a scarsa attenzione alla deontologia professionale. Con il fine ultimo e tutt’ altro che nascosto di dare impeto al ritorno in edicola del settimanale. Nonostante i 25 anni del web, i grandi media non riescono insomma a far di meglio che trovare pretesti o situazioni per “sbattere il mostro (o, a volte, l’eroe) in prima pagina”, ignorando il buon senso e, appunto, le consolidate pratiche dell’ informazione, tradizionale o digitale che sia. E ancor meno l’ intelligenza dei lettori.
Sul fronte positivo, non va però minimizzato l’ impegno di contro-informazione intrapreso da molti cittadini online, con commenti e indagini in proprio per chiarire la questione, oltre ad azioni concrete (in particolare su reddit e anche 4chan). Alla serata italiana di sabato 8 marzo, la raccolta-fondi aveva infatti superato i 40 Bitcoin, ovvero circa 25.000 dollari, grazie a oltre 1680 singole offerte. Confermando così che quando la gente decide di fare la cosa giusta, nelle strade o su Internet, il cambiamento è possibile – anche nell’ ecosistema mediatico odierno.