E’ così che Angelo Cimarosti, il più noto dei tre fondatori di Youreporter,  racconta perché e come – a lui, a Luca Bauccio e Stefano De Nicolo – venne l’ idea di far nascere nel 2008 una piattaforma che raccogliesse foto e video realizzati dai cittadini e ne regolasse il flusso. La startup ha riscosso negli anni un grandissimo successo (ora supera i 50 milioni di stream views all’ anno), fino ad essere acquisita  da Rcs MediaGroup.
Il racconto di Cimarosti apre un’ ampia intervista realizzata da un giovane giornalista padovano, Francesco Cocchiglia nell’ ambito di una tesina per il Corso di Linguaggio Giornalistico tenuto all’ Università di Padova dal prof. Raffaele Fiengo.
Una intervista in cui Cimarosti concludeva con una frase che faceva presagire l’ intervento imminente di un grosso gruppo editoriale, come infatti è avvenuto (la notizia è di ieri):
‘’Ritengo che [YouReporter] adesso sia giunto al massimo delle proprie potenzialità , può stare così o crescere ancora: vale la pena che cresca ancora, ma da solo non può farcela’’.
Il lavoro di Cocchiglia – il titolo è ”YouReporter, il successo italiano del citizen journalism. Quando i cittadini diventano cronisti, storia, analisi e successo di un fenomeno globale” – analizza la nascita e le caratteristiche della piattaforma e raccoglie una serie di spunti interessanti e testimonianze, fra cui questa ampia intervista a Cimarosti. La pubblichiamo qui di seguito.
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«In Italia c’era bisogno di YouReporter. Dal punto di vista tecnico, innanzitutto: c’erano un sacco di file, tanti videomaker, tanti elaborati che giravano in qualsiasi formato possibile. In quel periodo, il punto di vista del giornalista era quello di trovarsi a far fronte con molte testimonianze, di qualsiasi evento possibile, dall’incidente al fatto di cronaca, ma con l’impossibilità tecnica di recuperarle. Una piattaforma in cui potessero essere messe delle immagini, un luogo in cui si potesse caricarle e condividerle, a quell’epoca non c’era. C’era YouTube, che ancora oggi è però tutta un’altra cosa: un immenso mare, dispersivo e senza alcuna logica. Era necessario guardare a come il citizen journalism veniva utilizzato nel resto del mondo, a cosa attingere e al modello a cui ispirarsi».
Dove cadde la vostra scelta?
«Fu abbastanza naturale guardare agli Stati Uniti, dal punto di vista delle immagini, benchè il citizen journalism sia nato in Corea con Ohmy News. Un buon modello poteva essere quello di IReport, essenzialmente la piattaforma di citizen journalism della CNN, molto ben fatta e interessante. Pratico, utile, con pochi fronzoli e adatto ad essere utilizzato. A quel punto era il problema di agire: in Italia molti teorizzano, ma pochi fanno».
Quali furono, quindi, i primi passi del progetto?
«Stefano De Nicolò ed io avevamo esperienza diretta in fatto di video editing, montaggio e news-gathering, Luca Bauccio conosceva bene la materia legislativa, dai diritti d’autore alla diffamazione, tutti gli aspetti legali che sarebbero stati necessari per intraprendere il progetto. Quindi Alessandro Coscia, che avrebbe poi progettato il sito tagliandolo sulle esigenze italiane. Alla fine, quello che ne è uscito è stato un sito molto diverso da IReport, perché riportarlo pari pari dagli Stati Uniti, applicandolo all’Italia, sarebbe stato impossibile».
Perché?
«Nell’Italia del 2007, anno nel quale YouReporter era in fase di progettazione, non c’erano smartphone, i telefonini producevano file video complicati, pesanti e di pessima qualità . Le reti telefoniche, oltretutto, erano infinitamente inferiori a quelle di adesso. C’era la necessità di avere un sito molto leggero nel quale ci fosse la possibilità di inviare anche fotografie, cosa che né IReport né YouTube permettono. L’integrazione di foto e video è stata quindi un passo molto difficile, le lascio immaginare cosa abbia comportato la scelta – successiva – di introdurre anche le fotogallerie. Ma in questo modo abbiamo dato la totale possibilità di invio, in qualunque situazione. Quando nel 2009 ci fu il terremoto dell’Aquila, la prima immagine inviata dal luogo giunse proprio su YouReporter, in piena notte. Da allora le foto, anche se poco utilizzate dai media, sono rimaste molto utilizzate dagli utenti iscritti al sito. E questo ha fatto sì che coloro che in origine inviavano solo foto, con il miglioramento dei devices siano passati anche alla condivisione di video. Oggi su YouReporter è tutto automatico: la conversione del video, il compattamento del file, il miglioramento delle immagini. La community si è auto-educata nei confronti della possibilità di inviare video».
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E con essa è arrivata la risonanza dei mass-media. Che peso ha avuto nel successo di YouReporter?
«All’inizio molto, perché ha permesso di veicolare il logo, presente su tutti i video: quando un nostro video passava su un tg nazionale, cominciavano ad arrivare ancora più contenuti sullo stesso avvenimento. Adesso YouReporter vive quasi autonomamente, gli utenti sanno già dove devono caricare i loro video».
I contenuti di YouReporter sono stati ripresi con enorme frequenza: dal 2008 al 2011, sono stati replicati 25 volte al Tg1, 18 al Tg2, 302 al Tg3, 151 al Tg4, 458 a Studio Aperto, 372 al Tg5, e persino 23 volte sono stati utilizzati dalla Reuters. Si può dire che, oggi, YouReporter sia una fonte affidabile?
«Non direi, se accade che non ci sia una verifica giornalistica che faccia seguito ad un nostro video, questo è un grave errore. Se una redazione televisiva va a ricercare un video prima su YouReporter che su YouTube, si tratta invece semplicemente di brand. Noi non abbiamo cercato di fare brandizzazione, ma è avvenuto lo stesso. Traducendola in senso giornalistico, potremmo definirla “affidabilità â€? Allora sì, possiamo dire che il sito è genericamente affidabile. Chi è iscritto non ha tendenzialmente secondi fini, non perde il suo tempo divertendosi nel caricare “fakeâ€, i contenuti caricati sono genuini, e proprio per questo è ancora più necessario che venga fatta una verifica. Noi, come sito, non mediamo il caricamento dei file, ed è proprio qui che aumenta però la possibilità di incappare in una circostanza non veritiera».
Nessun filtro significa che potenzialmente YouReporter sarebbe potuto diventare la copia di YouTube. Come mai non è avvenuto?
«È sempre stato così. Dopo poche settimane dal suo ingresso sulla rete, un video di YouReporter era già stato utilizzato dal Tg1: una notizia vera, concreta e con un video emblematico, quindi il primo approccio ai mass media fu fortunato. Noi giornalisti vedevamo arrivare contenuti, e, non lo nascondo, se li ritenevamo appropriati li segnalavamo ai colleghi: sin da subito i video sono apparsi interessanti, il rapporto di fiducia è stato quasi immediato. Dal 2008 ad oggi non c’è stato bisogno di sondare e verificare ciò che veniva caricato: pur essendo senza filtri, abbiamo dovuto provvedere a eliminare solamente tre o quattro video disdicevoli dal punto di vista delle immagini stesse, su un panorama totale di 650 mila video, oltre a una decina senza né capo né coda, e alcuni che violavano il diritto d’autore. Tutti gli altri avevano perfettamente capito l’utilizzo del mezzo. Permane ancora la categoria dei “video inutiliâ€, che però restano caricati: se uno ritiene che la comunione di suo nipote sia un fatto importante, non abbiamo motivo regolamentare per toglierlo. La maggioranza dei nostri utenti ha però ben presto capito lo spirito del nostro sito».
Perché le fotografie non hanno avuto lo stesso risalto, sui media mainstream, rispetto al grande interesse verso i video?
«La professionalità richiesta dai media per quanto riguarda le foto è decisamente superiore, rispetto ai video. Giusto o sbagliato che sia – io propendo per la seconda ipotesi – questa è la realtà odierna. Se non sei un professionista, rendere interessante una foto è molto più complesso: il video mostra qualcosa che sta avvenendo ed ha un valore in sé anche se tecnicamente è di bassa qualità . Su YouReporter oggi ci sono 400 mila foto: condivise sui social network, ma poco utilizzate dai media. Direi che almeno il 99 per cento dei contenuti ripresi dai media mainstream sono video. Non dimentichiamo, inoltre, che l’industria editoriale ha bisogno più dei video che delle fotografie: ad un filmato è possibile accludere un pre-roll pubblicitario, il video in sé cattura l’attenzione dell’utente per un lasso di tempo maggiore, e questo ha il suo peso».
Negli ultimi anni, nello sviluppo di eventi-partecipativi come le catastrofi naturali, gran risalto è stato dato alla posizione di Twitter come strumento privilegiato dalla comunità nel coinvolgimento informativo ed emotivo rispetto a ciò che stava avvenendo. Twitter e YouReporter sono concorrenti o amici?
«Su twitter è difficile condividere filmati, da questo punto di vista per noi non c’è alcun problema. Anzi, sta diventando uno strumento molto utile per contattare le persone. Faccio un esempio: in questo momento a Milano sta nevicando, e molta gente tu twitter sta sottolineando questo fatto. Basta ricercare il cosiddetto hashtag, in questo caso “neveâ€, per scoprire tutti gli utenti che stanno cinguettando dell’argomento. Attraverso il nostro profilo twitter (@YouReporter, che oggi conta 46 mila followers, ndr.) noi rispondiamo ad ognuno: “Riesci a riprendere la nevicata?†oppure “Per caso sei lì?â€. Forse siamo un po’ troppo esagerati nel martellarli così, ma la risposta è buona: la maggior parte degli utenti a cui scriviamo risponde, c’è anche chi chiede a chi è loro vicino di riprendere la scena e inviarla. Senza contare quanto sia utile anche per avere conferme su quello che sta avvenendo».
Facciamo di nuovo un passo indietro. Con quali risorse economiche è partito il progetto YouReporter?
«Semplicemente con i nostri investimenti, poche migliaia di euro a testa raccolte tra noi quattro fondatori, e il nostro lavoro. Nessuno sponsor, nessun fondo, tant’è che addirittura, per i primi mesi, YouReporter era partito come associazione. Col tempo, però, è diventato troppo grande e abbiamo dovuto trasformarci in srl a scopo di lucro, anche se dei fondi ricavati abbiamo sempre reinvestito tutto ciò che abbiamo raccolto. Nessuno di noi ha mai preso un soldo, eccezion fatta per uno dei soci che ha deciso di lasciare e ha avuto quello che era giusto avesse».
E oggi, come viene mantenuto il sito?
«Con la pubblicità , ovviamente. L’advertising è affidato ad una concessionaria, nessuno di noi fa questo di mestiere e quindi non ce ne occupiamo direttamente, ma è la pubblicità a permetterci di coprire tutte le spese necessarie. Oltre a questo non abbiamo alcun finanziatore o sostenitore. Qualche volta capita che ci sia una cessione di servizio, come per esempio un RSS ceduto a una testata, a cui vendiamo i nostri contenuti».
Guardiamo avanti, in conclusione. Cosa vorrebbe aggiungere a YouReporter, in un futuro più o meno prossimo?
«Sicuramente il live streaming, una sorta di live-citizen journalism che permetta agli utenti, quando l’evoluzione dei device e l’ampliamento della banda lo permetteranno, di fare citizen journalism in diretta. Non quindi un’informazione fatta dal team, ma dal singolo utente che può trasmettere live ciò che lui stesso sta riprendendo. Penso che in futuro YouReporter potrebbe anche avere alleanze con la grande editoria, partnership che gli permettano di incrementare il proprio sviluppo. Ritengo che adesso sia giunto al massimo delle proprie potenzialità , può stare così o crescere ancora: vale la pena che cresca ancora, ma da solo non può farcela».