Ingram ritiene che negli ultimi tempi ci siano stati diversi segnali – fra cui la sua presunta intenzione di acquisire Secret, una recente applicazione che consente di parlare liberamente con la propria rete di amici senza scoprire la propria identità – del fatto che le sue opinioni sulla questione stiano evolvendo e che si stia accorgendo del valore e dell’ utilità di qualche forma di anonimato, anche all’ interno dell’ universo di Facebook .
Il CEO di Facebook – ricorda Ingram – era stato duramente criticato dai sostenitori dell’ anonimato per i commenti che aveva rilasciato dopo la pubblicazione nel 2010 di una intervista a David Kirkpatrick, l’ autore di The Effect Facebook . Zuckerberg infatti aveva detto di ritenere che la presenza in rete di una immagine delle persone diversa da quella reale era ‘’un esempio di mancanza di integrità ” .
Il commento era stato amplificato dalla sorella di Zuckerberg, Randi, che allora dirigeva il marketing del social network e che in una conferenza aveva auspicato la fine dell’ anonimato on-line in quanto  esso incoraggerebbe comportamenti di bullismo.
L’ impressione lasciata dal commento di Zuckerberg a Kirkpatrick era che FB avrebbe fatto del suo meglio per debellare l’ anonimato dovunque si annidasse, cosa che ha cercato di fare nei due anni successivi. Insieme a Google – che all’ epoca chiedeva l’ uso della ‘’reale identità ’’ sulla nascente rete di Google+ – Facebook ha costretto gli utenti a registrarsi con un ‘’nome vero’’ (anche se non ne chiedeva la prova), rimuovendo gli account registrati con nomi che suonavano falsi o sapevano di pseudonimi.
Diversi attivisti a favore dell’ anonimato avevano sottolineato, insieme a sociologi ed esperti di comportamento online come la ricercatrice di Microsoft danah boyd (che ci tiene a scrivere il proprio nome con le iniziali minuscole), che la convinzione di Zuckerberg sulla ambiguità di una identità multipla può avere un senso quando si tratta, ad esempio, di un ricco Ceo maschio bianco, ma può essere pericoloso per coloro che non rientrano in questo profilo – in particolare quelli che vivono una doppia vita per necessità , per motivi personali o professionali.
Jillian York, della Electronic Frontier Foundation, aveva osservato come la politica di Facebook sulla identità  avesse reso molto più facile ai regimi autoritari in paesi come l’Egitto e la Tunisia rintracciare i dissidenti e sottoporli a ogni tipo di vessazioni. E lo stesso vale per gay che non avevano ancora fatto outing e così via.
Per molti veterani delle comunità online, nota Ingram, l’ anonimato e l’ uso di pseudonimi sarebbero degli aspetti cruciali del nostro comportamento online – e non solo nel caso di gruppi marginali, ma per chiunque preferisca esprimere determinate convinzioni o impegnarsi in alcune attività che vogliono tenere lontane dalla propria vita professionale o pubblica. Cosa che in alcuni casi può avere degli aspetti negativi, ma in altre occasioni può essere invece un bisogno umano fondamentale.
“Non so se la bilancia è troppo squilibrata, ma io credo che, al punto in cui siamo ora, non c’ è più bisogno di continuare a fare le cose solo con le identità reali. Penso che stare sempre sotto la pressione della vera identità possa essere un po’ pesante. Credo che ora [la nostra visione sull’ anonimato] sia sicuramente un po’ più equilibrata rispetto a 10 anni fa “.
Secondo Ingram, sembra improbabile che Zuckerberg possa rinnegare le sue opinioni sulla “identità reale” quando si tratta del grande universo ufficiale di Facebook ufficiale, ma questo non vuol dire che non sia disposto a sperimentare altri modi di comportarsi all’ interno di altre comunità virtuali come Instagram, ‘’e questo – conclude Ingram – è un passo positivo. Forse un giorno il CEO di Facebook ammetterà che l’ anonimato non è una ‘mancanza di integrità ’ ‘’ ma ‘’invece qualcosa di fondamentale  per gli esseri umani a cui l’ azienda ha bisogno di adattarsi e di sostenere’’.