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Curation ovvero giornalismo

La cultura digitale va compresa, per farlo bisognerebbe provare a fare i classici tre passi indietro come proponevano i cartellini delle “probabilità” ma anche quelli degli “imprevisti” del Monopoli, e ricevere gli auguri di rito. Cercare la visione d’insieme e non il particolare, comprendere che il mutamento è già ampiamente avvenuto e quindi che arroccarsi su posizioni di difesa non serviva, non serve e anzi ha creato e crea problemi, non soluzioni.

 

Parlando di giornalismo ed editoria, settori che proviamo a raccontare da queste parti, vuol dire che solo lasciando da parte i preconcetti, e provando a farsi permeare dal cambiamento potremmo sperare di recuperare un pochino, purtroppo solo un poco, l’enorme lasso di tempo perduto.

 

Il giornalismo del presente passa attraverso un profondo e complesso cambiamento che si estrinseca anche nell’individuazione di nuove pratiche e nuove figure professionali. La Curation è una di queste e i curatori, che potremmo chiamare anche giornalisti, ma non solo,  sono quelli che la praticano.

 

Abbassare il livello del rumore che l’immensa mole di informazioni online provoca e provare a interpretare questa massa enorme di dati per creare dei percorsi preferenziali e soprattutto nuove narrazioni giornalistiche: questa è una delle funzioni primarie della curation.

 

In uno dei workshop dell’ultima edizione di digit, Carlo Felice Dalla Pasqua, giornalista e grande esperto del mondo digitale, ha proposto e provato a spiegare l’uso di una serie di strumenti per realizzare al meglio il lavoro di curation.

 

 

La cosa più importante, secondo Carlo Felice, non è tanto trovare gli strumenti, di quelli ce ne sono davvero tanti,  molti dei quali free.  Quello che conta davvero per fare bene il lavoro di curation è trovare e comprendere il o i metodi operativi per reallizare la curation.

 

Circa tre anni fa – racconta Carlo Felice -  mi trovavo al desk del Gazzettino, quotidiano per cui lavoro, e ho scoperto su twitter un signore di Venezia che si trovava in America ed è stato  coinvolto in un’operazione della polizia americana per sventare un rapimento.

 

Tutto questo lo ho scoperto seguendo i tweet di questo signore in cui lui raccontava la sua esperienza. Nel giro di un paio d’ore  seguendo l’evoluzione del dialogo sui social mi sono convinto che ci fosse una  notizia da raccontare. Invece di scrivere un pezzo “normale” ho deciso  di utilizzare un diverso strumento di narrazione a disposizione online, un software semplice ed efficace che si chiama storify. Come ho fatto? Per prima cosa ho ripreso e importato i tweet più significativi inviati dal signore veneto. Poi ho cercato online articoli di alcune testate americane in cui veniva spiegata la vicenda  e li ho inseriti nella narrazione. Per pubblicare il risultato di questa particolare nuova storia che ho costruito su storify, sul sito del mio giornale, ho usato il mio account personale perchè all’epoca ancora come Gazzettino non avevamo aperto un account dedicato.

 

In realtà la curation aveva già luogo nelle redazioni anche prima dell’avvento degli strumenti digitali. Pensate a quando si prendono, ancora oggi, diversi lanci d’agenzia per realizzare un pezzo, quello è un modo, non quello moderno, ma ugualmente definibile di curation.

Per fare curation oggi è necessario procurarsi non direttamente le notizie ma gli strumenti e i riferimenti per trovare, approfondire e verificare le notizie. Gli strumenti sono tantissimi.

 

Un lavoro preliminare molto importante per fare curation è sperimentare sul campo gli strumenti e poi scegliere quelli che meglio ci permettono di lavorare. Tutto inizia imparando a canalizzare e a sfruttare a nostro vantaggio i feed rss. Lo strumento più usato era google reader, ma come si sa ora questo software non esiste più e quindi, io che ho usato per anni quello, ho cercato applicativi che fossero simili a google reader come ad esempio : Feedly, Prismatic, o Medium.

 

 

 

 

Ci sono due modi per fare curation a mio avviso, – prosegue Carlo Felice Dalla Pasqua – organizzando e pubblicando “contenuti caldi”, ovvero fatti che stanno accadendo, oppure fare  la stessa cosa per notizie a più ampio respiro che definiremo “contenuti freddi”.

 

La curation del primo tipo è meglio definibile con un altro termine che è “liveblogging” e si realizza, per quanto ne so io, solo con strumenti a pagamento. Ad esempio usando la piattaforma Scribble Live.

I contenuti freddi invece si possono pubblicare anche con una serie di strumenti non a pagamento, come ad esempio, storify che abbiamo già visto prima.

Altri ottimi strumenti per curare notizie fredde sono ad esempio: Soundslides uno strumento di curation per lavorare con le foto e le presentazioni, Geofeedia un buono strumento per delimitare una spazio fisico,  era gratuito ma ora è diventato a pagamento, Cartodb ottimo strumento a pagamento per lavorare sulle mappe, Dipity uno strumento per realizzare timeline.

 

Anche nella curation in quanto pratica giornalistica è necessario fare le verifiche. Le procedure di fact checking vanno e devono essere applicate anche a questa specifica attività.

 

Ci sono varie pratiche possibili, alcune di esse fanno parte del mestiere giornalistico di ogni tempo e latitudine: ad esempio la verifica dei fatti incrociando diverse fonti attendibili; ma ci sono anche procedure di verifica che sono nate con la rete. Una di queste è  usare/creare liste di utenti di fiducia attraverso i social network. Uno dei giornalisti che ha raccontato di aver elaborato e poi utilizzato questo meccanismo di verifica è stato Andy Carvin. Si tratta di mettere a punto una o più reti di utenti di fiducia, divisi per contenuti, per aree di interesse, per luoghi specifici,  sui social – twitter ad esempio – , verificandone l’attendibilità con un lungo e attento lavoro di verifica giornalistica. Ma una volta realizzate e messe alla prova queste reti sociali si dimostrano un’ottima e rapida fonte di notizie. La sicurezza non è mai garantita al cento per cento ma le percentuali di affidabilità di questa metodologia sono molto alte. Alla base del lavoro giornalistico c’è sempre la verifica dei fatti, non si dà mai una notizia se non è stata verificata. Uno strumento molto utile per verificare l’attendibilità di una foto trovata online è Tineye.  Serve per capire chi è davvero l’autore della foto in oggetto; se sei tu che pubblichi la foto grazie a questo strumento puoi capire quanti altri utenti l’hanno utilizzata senza chiedere l’autorizzazione. Dopo la nascita di questo servizio anche google ha creato un servizio analogo.

 

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