Esperienze di secondo schermo
La second screen experience è, come viene molto bene definita da Lillo Montalto Molella in un capitolo specifico ad essa dedicato del suo libro “ Real time journalism “, : << un secondo schermo che completa l’esperienza della visione per lo spettatore multitasker, che non perde occasione di gestire la propria reputazione inserendosi nella discussione di una comunità legata dagli stessi interessi >>. Di questo espediente comunicativo si parla da tempo anche in Italia. Una lunga e interessante riflessione sul tema, più legata ai mercati che al giornalismo, è stata realizzata nel lontano 2012 sul blog di Davide Pozzi Tagliaerbe da Marco Ziero. Oltre al libro di Lillo Montalto Molella un altro libro è stato scritto in Italia sul tema della social tv in cui si parla anche di second screen experience. Lo ha scritto la sociologa Lella Mazzoli e si intitola ” Cross news “.
In campo giornalistico, come segnala lo stesso Lillo Montalto Molella nel suo libro, uno dei primi esperimenti di second screen experience è stato effettuato da Michele Santoro a Servizio Pubblico in occasione del faccia a faccia in studio con Silvio Berlusconi del febbraio 2013.
Il primo schermo, cui l’esperienza second screen fa riferimento, è quello della Tv, il secondo schermo è quello del device digitale che utilizziamo in quel particolare momento per realizzare questa esperienza condivisa: smartphone, tablet, pc. Il luogo/ambiente digitale in cui questa esperienza si realizza è un social media, preferibilmente Twitter. Perchè il social dell’uccellino e non altri? In realtà vanno bene tutti, ma Twitter ha la peculiarità dei 140 caratteri obbligatori che lo rendono perfetto sia a causa della sua facilità e snellezza di uso sia per realizzare un ulteriore, (forse l’ultimo?) livello di integrazione possibile fra primo e secondo schermo. I 140 caratteri ben si prestano per la pubblicazione sul primo schermo delle conversazioni realizzate online dagli utenti in diretta durante il programma televisivo in corso di svolgimento. Portare il contraddittorio fra primo schermo e secondo schermo dentro la trasmissione principale che ha dato origine al dibattito. In altri termini chiudere il cerchio della comunicazione/interazione fra emitente e utente in ossequio ad uno dei primi e più solidi principi della cultura digitale: la comunicazione circolare. Un’opportunità che qui suggeriamo e che al momento in Italia quasi nessuno ha utilizzato per davvero, certamente non in campo giornalistico.
Il caso Eni vs Report andato in scena domenica 13 dicembre parallelamente su Rai 3 e su Twitter ha tutte le carte in regola per diventare un case study della nuova cultura digitale per la modalità di gestione della comunicazione di crisi e tutela della reputazione online.
Una strategia probabilmente predisposta in anticipo e portata avanti con professionalità , quella di ENI. I contenuti: infografiche, dossier e dati adatti al canale scelto, che è twitter;  non una piattaforma di massa, ma la più appropriata per intercettare gli influencer. Non più un comunicato stampa inviato con preghiera di pubblicazione, ma una controffensiva a colpi di tweet sfruttando proprio la second screen experience.
A distanza di una settimana il dibattito continua:  dov’è il giornalismo in tutto questo? Viene a mancare l’intermediazione? Cosa succede se le fonti parlano da sole? Il mondo dell’informazione deve fare i conti con nuove interazioni, sempre più dirette e in diretta nella Social TV? Qual è, alla luce di questa ultieriore evoluzione dei fatti, la differenza fra informazione e comunicazione?
Ma in tutto questo…che fine ha fatto la notizia? Abbiamo provato a raccogliere riflessioni, commenti,  tracce delle conversazioni scaturite a margine di questa storia in questo storify curato e realizzato da Leila Zoia.      …CONTINUA…(sicuramente)