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Il World Press Photo ridisegna il fotogiornalismo

Lo sostiene André Gunthert che, in un intervento su Imagesociale, spiega come le ultime scelte del premio, privilegiando temi sociali, segnino l’ allontanamento dal modello principale del fotogiornalismo recente: la fotografia di guerra e di catastrofi. Non è ‘’ la bellezza delle immagini premiate nelle ultime edizioni del WPP che le distingue – osserva lo studioso -, ma lo scarto volontario rispetto a una tradizione che questa scelta rende superata. Nessuno dubita che il confronto non sarà regolato con facilità, ma si potrà verificare grazie ad altri indicatori (…) se il segnale inviato dal World Press Photo segna la svolta del riconoscimento dell’ evoluzione in corso’’.

Le World Press Photo redessine le photojournalisme

 

di André Gunthert
(Imagesociale)

 

Ci siamo. Scegliendo una fotografia stilizzata di John Stanmeyer (sopra), il World Press Photo faceva nel 2014 un primo passo visibile, ma non ancora del tutto dichiarato, verso una riscrittura delle problematiche del giornalismo visuale. Ripetendo quest’ anno questa scelta, basata su una composizione anch’ essa molto grafica del danese Mads Nissen (sotto), l’ istituzione la accompagna con un discorso categorico che segna l’ allontanamento dal modello principale del fotogiornalismo di inizio XXI secolo: la fotografia di guerra e di catastrofi.

 

Mads Nissen, « Jonathan Jacques Louis, 21 anni, e Alexander Semyonov, 25 anni, a San Pietroburgo », 2014.

 

Quando a settembre si va al Festival di Perpignan, guardiano dell’ ortodossia, si viene colpiti dalla straordinaria stabilità stilistica del fotogiornalismo degli ultimi 50 anni (per lo meno quello selezionato dal filtro Visa). Ascoltando dei brani musicali degli anni ’70, o ’80, o ’90, si identificherà la maggior parte delle volte senza esitazione il periodo di composizione. Ma sarà molto più difficile, indipendentemente dalle indicazioni contestuali fornite dal soggetto dell’ immagine, a situare nel tempo una foto di news, immersa in una permanenza che nessun punto di riferimento riesce a scandire.

 

 

Al di fuori del festival la realtà è sicuramente più complessa, ma il WPP prende fermamente posizione contro il punto di vista perpignanese e ammette per la prima volta l’ esistenza di una querelle fra gli Antichi e i Moderni, come la analizza Jérôme Huffer su ‘Our Age Is 13’. Patrick Baz, membro della giuria e direttore della sezione foto dell’ AFP per il Medio Oriente e l’ Africa del Nord spiega che ‘’la decisione è stata unanime. Ho difeso quella immagine per mostrare che il fotogiornalismo non tratta solo la guerra e che si può trovare una buona storia anche dall’ altra parte della strada’’. ‘’La professione ci darà addosso, certo, ma lo sappiamo e ci prenderemo interamente la responsabilità della nostra scelta’’.

 

 

Si tratta di un falso dibattito, come suggerisce Slate, chiedendosi ‘’che cosa ci insegna realmente questa immagine sulla sofferenza degli omosessuali e sull’ omofobia in Russia?’’. Non un granché in effetti – ma la foto di guerra forse ci insegnava di più, o non faceva altro che conservare anch’ essa i nostri pregiudizi e i nostri stereotipi?

 

 

In realtà, l’ opposizione fra Antichi e Moderni è ben rafforzata dalla messa in esergo di un tema, l’ omofobia, che non ha mancato di suscitare l’ irritazione di una professione ancora molto maschile, e che percepisce come una provocazione la scelta di un soggetto sociale rispetto alla legittimità giornalistica che la guerra ha sempre apportato alla fotografia.

 

 

‘’Sembra quasi come se queste signore e questi signori del World Press Photo avessero voluto dare un argomento in più a Putin per alimentare le sue diatribe sulla degenerazione dell’ Occidente – afferma Michel Puech sul suo blog -. Intendiamoci bene: non ho niente contro gli omosessuali, maschi, donne o transessuali che siano. Per la sessualità dei miei contemporanei ho lo stesso interesse che ho per le loro religioni. Fanculo! Che essi preghino o fottano quello che gli pare, è affar loro. L’ umanità concreta ha delle altre preoccupazioni!’’

 

 

Fra questi altri problemi, spiega il giornalista, c’ è anche quello dell’ afflusso di giovani candidati alla notorietà giornalistica sul teatro dei conflitti armati, in delle condizioni generalente precarie, che si traducono meccanicamente in un aumento dei giornalisti feriti o uccisi. «La guerra in Siria, con le decapitazioni dei giornalisti, ha fatto riflettere le redazioni. Tutto questo si traduce in una maggiore prudenza degli editori. E’ molto difficile oggi per un apprendista fotoreporter piazzare le sue foto se è partito senza accrediti, ed è ancora più difficile ottenerne uno’’

 

 

Sul piano dell’ analisi formale, oltre alle tradizionali lamentazioni contro l’ eccesso di ritocchi o di post-produzione, ecco l’ immancabile riferimento pittorico per spiegare la qualità dell’ immagine. Secondo Le Monde ‘’La posa, il chiaroscuro e l’ arredo (il drappo di una tenda)’’ del primo premio del WPP rinviano alla ‘’pittura olandese’’. Si potrebbe polemizzare con questa associazione, osservando che il soggetto della foto ha forse a che vedere maggiormente con la statuaria classica, o che il trattamento della luce ricorda la pittura di Caravaggio, ma quello che soprattutto è strano è considerare che il massimo dell’ elogio per una foto è di essere rapportata a un modello pittorico!

 

 

Tra pittura e ritocco, questo vocabolario striminzito conferma soprattutto l’ assenza di una intelligenza estetica del fotogiornalismo, respinta sempre nel limbo dalla rivendicazione dell’ oggettività del documento. O, ancora, il riferimento pittorico può analizzarsi qui come un modo di sottolineare tre tratti specifici, che riuniscono i due ultimi premi del World Press Photo: il carattere spoglio del fondale, che accentua la leggibilità e contribuisce ad isolare il soggetto; la scelta di una relativa oscurità della scena, che fa pensare alla tecnica del chiaro-scuro; e infine un trattamento che tende al monocromo, che de-realizza la scena conferendole un potente aspetto grafico.

 

 

Alcuni di questi tratti sono legati agli aspetti più moderni della tecnica fotografica, in particolare l’ aumento di sensibilità determinato dalle tecnologie digitali, che permette di fotografare con luce bassa, o le correzioni di post-produzione, che autorizzano a giocare con gli equilibri cromatici in maniera sottile. Si può anche considerare che in un universo visuale concorrenziale la chiarezza e la leggibilità dell’ immagine, che hanno costituito sempre un obbiettivo del linguaggio giornalistico, hanno registrato recentemente forti progressi.

 

 

Piuttosto che la pittura storica, che per molto tempo ha costituito l’ orizzonte delle forme più legittime del fotogiornalismo1, è ormai la scrittura grafica che costituisce il riferimento più immediato – anche se apparentemente paradossale – dell’ immagine fissa. Privilegiando questa stilistica, il World Press Photo la àncora all’ interno del riferimento all’ arte fotografica contemporanea, in termini di sobrietà e tenuta espressiva, marcata com’ è dai giochi di luce e delle forme più che dalla resa realista del soggetto. Gli ultimi due primi due premi del WPP potrebbero tranquillamente essere appesi sulle pareti di una galleria.

 

 

La bellezza dell’ imagine di attualità ha sempre generato un paradosso, su cui si sono soffermati saggisti come Susan Sontag2. I premi di fotogiornalismo navigano a vista cercando di equilibrare la riuscita stilistica con la pertinenza del soggetto, ma non possono sfuggire all’ attrazione della forma. Non è dunque la bellezza delle immagini scelte nelle ultime edizioni del WPP che le distingue, ma lo scarto volontario rispetto a una tradizione che questa scelta rende superata. Nessuno dubita che il confronto non sarà regolato con facilità, ma si potrà verificare grazie ad altri indicatori, come le selezioni per Perpignano, se il segnale inviato dal World Press Photo segna la svolta del riconoscimento dell’ evoluzione in corso.

 

  1. Michel Poivert, “La tentation d’une photographie d’histoire”, Voir/Ne pas voir la guerre, Paris, Somogy/BDIC, 2001, p. 336-340. [↩]
  2. Susan Sontag, Devant la douleur des autres (traduit de l’américain par F. Durand-Bogaert), Paris, Christian Bourgois éditeur, 2002. [↩]
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