Introduciamo un nuovo tassello nella, ormai perenne, caccia al modello di business per l’editoria e ancora una volta incontriamo le sperimentazioni di Besoz. Il Washington Post ha, di recente, lanciato un bot che diffonde notizie, anche locali, e che si occuperà  della copertura delle Olimpiadi quando i giochi inizieranno.
Il Washington Post vuole “essere presente su tutte le piattaforme possibili” e ha deciso di sviluppare il proprio bot internamente. La sperimentazione di Besoz prevede un lungo ciclo di miglioramento in itinere mentre il bot apprende dalle sue interazioni con gli utenti. E secondo noi sta qui la chiave di volta del processo.
Da quando Facebook, ad aprile, ha lanciato una piattaforma bot per Messenger che permette alle aziende incluse quelle editoriali di creare bot che interagiscano con gli utenti messenger (quasi tutti gli utenti Facebook), secondo il social, ne sono stati creati più di 11 mila . Esistono (ro)bot con cui interagire per gli acquisti, per il meteo, in caso di emergenza…
Oltre al bot del Washington Post anche CNN, WSJ e a seguire Quartz e TechCrunch hanno avviato la strategia bot.
Ma quanti utenti davvero parlano con i bot? Come viene percepita questa esperienza? Da queste domande parte la sperimentazione del Washington Post.
Facciamo un passo indietro e definiamo questo oggetto misterioso.  Si tratta di servizi basati su testo, che consentono agli utenti di completare attività come il controllo notizie, l’organizzazione di incontri, ordinare cibo o prenotare un volo tramite l’invio di brevi messaggi. I bot sono generalmente alimentati da intelligenza artificiale (da qui il nome, come in “robot”), in altre parole i messaggi sono generati da complessi algoritmi, che – in teoria – dovrebbero essere in grado di decifrare il linguaggio e fornire risposte pertinenti.
Il bot, manco a dirlo, incuriosisce le aziende che cercano – in alcuni casi alla cieca –  il modo di raggiungere possibili clienti tramite l’ennesimo digitalcoso…questa versione di  (ro)bot sembra essere un altro modo per interagire con gli utenti e quindi a ciascuno il suo bot.
CNN registra, secondo l’analisi di NiemanLab, una risposta freddina ai bot soprattutto per il riscontro di difetti, tempi di risposta lenti, e troppe notifiche. Queste le motivazioni che, più in generale, lamenta chi ha provato i bot. Troppo robotici ancora.
La strategia del Washington Post mira a fornire un’esperienza il meno possibile robotica. Riportiamo alcune, a nostro avviso, dichiarazioni interessanti.
Il WP ha deciso di lanciare la prima versione del bot totalmente responsive – letteralmente di risposta per l’utente – cioè l’account bot non manderà alcun messaggio fino a che non sarà l’utente a chiederlo per primo.
no allo spam quindi
I bot non sono certo cosa nuova, il loro utilizzo per informarsi e fare acquisti è noto… l’intento è far  vivere l’esperienza nel modo giusto. Cerchiamo di non rovinare tutto mandando spam… in questa prima fase cerchiamo di concentraci su l’esperienza di conversazione, lasciamoci un po’ di tempo per studiare
il Post
vuole assicurarsi che l’esperienza sia colloquiale e non si basi su rigidi comandi come se si stesse parlando con un robot… idealmente dovrà diventare semplice da utilizzare come google e le persone non dovranno pensare al modo corretto per trovare informazioni e news.
Al momento i bot non hanno raggiunto questi livelli.
…l’elaborazione del linguaggio naturale, essere in grado di scegliere le parole identificabili che corrispondano ai giusti risultati di ricerca questa è la parte più difficile… ma possiamo migliorare se le persone iniziano ad usarlo per questo è stato lanciato per fare in modo che le persone lo usino e ci permetta di  capire cosa possiamo imparare da loro
In un post del blog di  WAN-IFRA – la World Association of Newspapers and News Publishers – Joey Marburger del Post afferma:
pensiamo che la conversazione debba partire dall’utente.. la comunicazione a due vie può realizzarsi, ma deve essere personalizzata e contestualizzata.
L’obbiettivo dell’interazione è fare in modo che il messaggio scambiato col bot sia l’inizio della “storia” di quell’interazione… l’unico modo per raggiungere questo scopo è il dialogo con le persone. I bot sono un’opportunità per noi: per trovare nuovi lettori che non si informano in maniera tradizionale e allo stesso tempo un modo per fornire ai nostri lettori un altro via per fruire il nostro giornalismo.
E in Italia?
A quanto ci risulta le sperimentazioni bot dell’editoria italiana si sono orientate su Telegram di cui non esiste uno store ufficiale  ma ne esistono diversi che ne suggeriscono alcuni: come Botstore o Telegramitalia. Dal canto nostro abbiamo cercato bot nella app e abbiamo trovato i bot di Corriere della sera, Stampa e Repubblica.  In realtà ci pare che più che di dialogo si tratti di scegliere fra opzioni proposte. Al momento le sperimentazioni italiane sono molto robotica, ma saremo felici di essere smentiti e se avete esperienze da raccontarci in questo senso le aspettiamo con curiosità .
Per chi fosse incuriosito e volesse approfondire l’argomento suggeriamo: