Quella volta che andammo in Senato
Terra, data astrale 5 maggio 2016, proseguono le avventure dell’astronave Lsdi nei profondi meandri dei palazzi del potere politico e amministrativo della galassia Italia, meglio conosciuta ovunque come il Belpaese. Dopo l’escursione, non senza qualche ammaccatura e ferite lievi, alla Camera dei deputati dello scorso gennaio per essere ascoltati in audizione informale, sui due disegni di legge della nuova proposta legislativa per mettere a disposizione fondi pubblici per l’editoria in discussione presso la commissione cultura di quel ramo, non del Lago di Como, ma del Parlamento italiano. Nelle scorse settimane il presidente e il vice presidente della nostra associazione di giornalisti che studiano il giornalismo, sono stati nuovamente invitati nelle segrete stanze del potere. La nuova audizione informale si è svolta presso la commissione affari costituzionali del Senato e ha riguardato, ancora una volta, il disegno di legge sui contributi pubblici all’editoria che nel frattempo da due è diventato uno attraverso un meccanismo di fusione, riveduta e corretta (???) dei testi precedenti. La seduta alla Camera è stata ripresa e documentata per intero dalla televisione interna al Parlamento e abbiamo potuto allegarla al nostro post riassuntivo precedente, stavolta questa documentazione video purtroppo manca. Alla nostra audizione, per completezza dell’informazione, possiamo però dirvi che hanno partecipato: i rappresentanti del sindacato degli edicolanti Si.Na.Gi, le rappresentanti dell’ente di previdenza dei giornalisti italiani Inpgi, i rappresentanti della Confindustria radio televisioni, della Federazione Italiana Stampa Cattolica, e i professori Giulio Enea Vigevani, costituzionalista dell’Università Milano Bicocca e Alberto Mattiacci ordinario di economia alla Sapienza di Roma.
La commissione affari costituzionali era presieduta dalla senatrice Anna Finocchiaro. Onde evitare fraintendimenti e confusioni, di seguito pubblichiamo il testo integrale della nostra memoria. Il documento che potrete leggere qui sotto è identico a quello che abbiamo letto durante la seduta presso la commissione del Senato e che qualche giorno dopo abbiamo inviato ai membri della commissione medesima come da loro richiesta. Per completezza dell’informazione in calce all’articolo troverete anche un link, per poter scaricare in forma integrale il testo del disegno di legge, sul quale siamo stati chiamati a formulare le nostre osservazioni e che, nonostante si debba occupare di fondi pubblici per l’editoria si intitola, testualmente: ” Istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e deleghe al Governo per la ridefinizione della disciplina del sostegno pubblico per il settore dell’editoria, della disciplina di profili pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti”. Una legge che per legge, scusate il gioco di parole, sancisce di dare deleghe al Governo, ancorchè custituzionalmente ineccepibile, come ci hanno fatto notare fior fiore di esperti, è, permetteteci, una specie di controsenso a nostro modesto avviso, soprattutto se si occupa, come recita il titolo: “di salvaguardare la libertà di espressione e il pluralismo”, non trovate anche voi?
Premessa
A nostro avviso la proposta di legge non risolve, in alcun modo, le questioni centrali del giornalismo italiano che in estrema sintesi indicheremo in tre punti:
1) qualità dell’informazione
2) la qualificazione professionale di chi fa informazione
3) la pubblica utilità del prodotto informativo
Per garantire il pluralismo informativo è necessario comprendere l’evoluzione che l’editoria e l’informazione stanno avendo: le “nuove†forme attraverso cui le informazioni giungono ai cittadini.
Il secondo presupposto da cui partire per giungere ad una via corretta di finanziamento statale all’editoria è comprendere che il cosiddetto digitale non è e non deve essere contrapposto all’informazione cartacea.
Ci pare che la percezione della nascita dell’informazione online sia definita come una crisi dell’edizione cartacea che si limita a riproporsi con gli stessi criteri pubblicando testi online. Il giornalismo digitale è ben altro.
Digitale non è un mondo a parte, bensì è una parte del mondo, e insieme all’analogico entrambi rappresentano la cultura del nostro tempo.
Nella proposta di legge la parte dedicata all’online e al digitale appare limitata e non chiara. La natura culturale profonda del cambiamento in essere nell’editoria e nel mondo della comunicazione in generale andrebbe, a nostro avviso, studiata e compresa per riuscire ad inserire in modo congruo nella legge anche tale segmento.
Non ha più senso pensare a universi alternativi e a forme di giornalismo in conflitto o in contrapposizione. Dobbiamo prendere atto dell’avvenuto cambiamento e preoccuparci di riformulare le nostre riflessioni in merito tenendo conto dei mutati scenari.
Prendiamo ad esempio l’ultimo gigantesco passaggio della rivoluzione digitale in corso, quello che ha reso accessibile davvero a tutti e senza bisogno di alcuno studio o preparazione specifica l’universo digitale attraverso l’uso degli strumenti “mobileâ€. Riflettiamo su questo: basta uno smartphone, o un tablet e una app per realizzare qualunque cosa e non solo nel mondo digitale.
Il giornale sia esso cartaceo o digitale è un’opera collettiva. Al centro del dibattito dobbiamo porre la funzione del giornalismo non il giornalista.
Ad una crisi profonda e che riguarda la società come quella che stiamo vivendo, possiamo rispondere come giornalisti non in quanto singoli ma come agenti di un’impresa collettiva e che solo come collettivo possiamo realizzare, che si chiama giornale.
Un editore garantisce un processo collettivo di costruzione di un processo informativo.
La forma giornale serve soprattutto a tutelare il lettore.
I dati dell’ultimo rapporto di Reporters Sans Frontieres collocano l’Italia al 77 posto nella libertà di stampa. Altre classifiche sull’informazione e sul giornalismo in Italia ci vedono indietro nelle graduatorie.
L’informazione in Italia ha perso molta credibilità . Occorre accettare il fatto che nel nostro Paese l’informazione abbia seri problemi e che sia necessario agire in modo diverso dal passato: abbandonare i conservatorismi e investire nell’ innovazione e nel digitale.
E’ interessante notare come si evidenzi una correlazione fra le nazioni a più grande libertà di informazione e quelle a maggiore diffusione del digitale, sintomo, forse, che lo sviluppo della banda larga e il pluralismo migliorino la qualità dell’informazione.
Un altro problema da superare con il digitale è l’oligopolio di accesso al mercato dell’informazione come in passato. Oggi le barriere di investimento per accedere alla realizzazione di giornali online sono cadute dando maggior respiro e aprendo un mercato per troppo tempo nelle mani di pochi editori spesso con interessi in segmenti diversificati del mondo economico.
Nella prossima legge sull’editoria occorre dare maggior rilievo ai fattori innovativi, cercando di realizzare un fondo che permetta di supportare le nuove startup nel mercato editoriale secondo logiche diverse.
Siamo sicuri che il pluralismo dell’informazione si possa garantire solo attraverso la concessione di finanziamenti pubblici? La molteplicità delle fonti informative deve essere ricercata non elaborando meccanismi di selezione e controllo per accedere ai contributi, ma prevedendo una riflessione più profonda sulla composizione stessa del comparto informativo.
Pensando a nuovi meccanismi di selezione e controllo non si attua l’incipit della legge che riguarda il rispetto del principio di libertà d’espressione e pluralismo garantiti dall’art.21 della costituzione, ma si pongono ulteriori limiti burocratici alla stessa libertà di espressione.
Non ci è chiaro infatti come mai in un Paese dove la libertà di espressione è garantita proprio dalla costituzione, e dove la professione giornalistica gode di due garanzie, se così possiamo definirle: una legge istitutiva, e un ordine professionale, ente di diritto pubblico; si debba mettere a punto una legge che abbia un titolo così vario e articolato in cui vengono messi assieme: soldi, diritti, ordini professionali, pensioni?
Questa legge, a conti fatti, sarà finanziata con risorse piuttosto ingenti. Se abbiamo fatto bene i conti arriveremo a oltre 300 milioni di euro.
Nel Fondo confluiscono infatti le risorse statali destinate al sostegno dell’editoria quotidiana e periodica anche digitale, comprese quelle del Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria, istituito per il triennio 2014-2016, e le risorse statali destinate all’emittenza radiofonica etelevisiva in ambito locale. Ad esso affluiscono altresì una quota parte delle eventuali maggiori entrate derivanti dal canone RAI e le somme versate quale contributo di solidarietà dai concessionari della raccolta pubblicitaria, dalle società operanti nel settore dell’informazione e comunicazione che svolgano raccolta pubblicitaria diretta, nonché dagli altri soggetti che esercitano l’attività di intermediazione nel mercato della pubblicità .
I fondi in questione andranno a : cooperative di giornalisti, enti senza fini di lucro, minoranze linguistiche, non vedenti, associazioni dei consumatori, giornali italiani editi in italia o all’estero per gli italiani all’estero.
Tutto sacrosanto, ma siamo sicuri che sia questa la stampa italiana che garantisce il pluralismo e la libertà di espressione di questo Paese?
In allegato nei documenti che ci avete inviato assieme alla proposta di legge ci sono le tabelle delle testate che hanno ricevuto il contributo pubblico, l’ultimo erogato quello del 2014. Li avete letti i nomi?
Non vogliamo certo fare classifiche, ne entrare nel merito, ma siamo sicuri siano queste le aziende che garantiscono la libertà di espressione di questo Paese?
La lettura dei criteri per accedere alle risorse, e dei beneficiari dei fondi, ci fa sorgere spontanea la riflessione che nel testo non si stia pensando a tutto il reale universo mediatico ma a realtà troppo specifiche e limitate nella loro rappresentatività .
Ci sono altri soggetti imprenditoriali a nostro avviso che andrebbero coinvolti nella compilazione della proposta di legge.
Grazie alla rivoluzione digitale si sta facendo largo l’idea di una profonda modifica nei ruoli professionali del giornalismo. Una delle figure di cui bisognerebbe tenere conto è ad esempio quella del giornalista imprenditore. Al momento una sorta di ossimoro professionale. Negata dalla Legge stessa, e dalle norme, anche quelle fiscali vigenti nel nostro Paese, ma operativa a tutti gli effetti in molteplici realtà del nostro territorio.Â
Una su tutte, VareseNews, esempio fulgido di un grande successo imprenditoriale e giornalistico fra le testate giornalistiche di informazione quotidiana native della rete.
Inutile a nostro avviso anche porre l’obbligo per legge dell’edizione online di una testata per ottenere i contributi. Bisogna pensare alla qualità dei prodotti informativi, alla loro utilità per la comunità e alla sicura professionalità , delle persone che realizzano tali prodotti. Bisogna inoltre sforzarsi di comprendere la rivoluzione in corso nel mondo dell’informazione, e non limitarsi ad introdurre nuovi e ulteriori penalizzanti meccanismi di selezione per circostanziare l’accesso ai fondi pubblici.
La parte del disegno di legge relativa alle “Start up†è debole e fumosa.
Dire : << Sono poi incentivati gli investimenti in innovazione digitale, anche attraverso investimenti strutturali in piattaforme digitali avanzate, comuni a più imprese editoriali, con particolare riguardo ai progetti presentati da imprese editoriali di nuova costituzione >>, non basta e non spiega nemmeno a sufficienza cosa si voglia realmente fare, a nostro avviso.
Bisognerebbe tenere conto delle reali esigenze di chi fa impresa per produrre innovazione e non concentrarsi sulla creazione di nuove e più articolate regole per limitare l’accesso ai fondi per le aziende innovative.
Vorremmo far riflettere i proponenti sulla portata del fenomeno e non licenziare la rivoluzione digitale come un semplice avanzamento tecnologico.
Manca, da parte dei legislatori, la presa d’atto che non serve a niente sostenere un sistema collassato e precipitato in una spirale dalla quale non potrà riprendersi perché il cambiamento strutturale nella società necessità di nuove figure, nuovi sistemi, nuove capacità .
Mancano completamente, e non solo in questo testo di legge, ma in generale nella società italiana al momento, le capacità di capire quali siano le funzioni sociali e professionali mancanti.
Proviamo a fare un esempio.
Se la compagnia del gas chiude i propri sportelli al pubblico e li sostituisce con sportelli telematici il cambiamento non è solo nei meccanismi di fruizione dei servizi ma è precedente e si esplicita in primissima istanza nella comprensione del cambiamento della forma di comunicazione prima che di fruizione.
Non serve chiudere l’analogico e renderlo digitale per semplificare la vita delle persone.
Così si semplifica solo la vita delle compagnie che possono licenziare, risparmiare milioni, e bistrattare molto meglio di prima i propri clienti verso i quali aumenta in modo esponenziale l’opacità di questi soggetti non la trasparenza. Prima di chiudere con il passato, bisogna comprendere il presente e spiegarlo a chi lo sta vivendo suo malgrado, mettendo in grado le persone di orientarsi in questo presente fintamente più semplice ma concretamente assai più complicato.
E se poi vogliamo davvero aiutare i nostri cittadini a comprendere il mutamento, e anche creare nuovi posti di lavoro, istituiamo nuove figure professionali necessarie in questo regime di transizione perenne che è la società liquida, a traghettare le persone da una dimensione ad un altra.
Figure che permettano alle persone di comprendere appieno la nuova realtà digitale e agire di conseguenza. Proprio il nostro attuale Governo, non molti mesi fa ha recepito, fra i primi in Europa, il nuovo regolamento che disciplina le competenze dei professionisti dell’ ICT, fra questi troviamo anche il “wikipedianoâ€. Siamo stati noi, non è fantascienza, teniamone conto per favore!
Nel disegno di legge si parla, a proposito della professione giornalistica, di molto generiche assunzioni under 35. Lodevole, ma terribilmente generico e incompleto. Non vi è alcun accenno a tematiche reali del mondo del giornalismo che è un mondo del lavoro vero e proprio, strutturato con norme, sindacati, regole, rivendicazioni, lotte e garanzie per gli addetti ai lavori e per i consumatori.
Nella stessa maniera ci piacerebbe fossero affrontati nel disegno di legge la messa a punto dei criteri per approntare i necessari interventi di riforma sull’Ordine dei giornalisti e sulla composizione del Consiglio nazionale dell’Ordine stesso.
Il ruolo di garanzia delle istituzioni giornalistiche, in particolare dell’Ordine dei giornalisti deve continuare ad essere centrale.
Crediamo sia necessario un passaggio di concertazione con Ordine e Fnsi e magari Inpgi e Casati per definire criteri oggettivamente efficienti su tale materia soprattutto pensando alla odierna composizione del mondo dell’informazione: online, digitale, imprenditoria giornalistica, lavoratori autonomi, freelance, parasubordinati.
I meccanismi di tutela costituzionale nati proprio per garantire in prima battuta la libertà di espressione e secondariamente l’istituzione di un ruolo professionale e di un ruolo industriale nelcampo del giornalismo e dell’editoria sono alla base delle libertà di un popolo in uno stato democratico e non crediamo possano essere messi in discussione da una legge che ne muta
improvvisamente gli equilibri senza aprire alcun dibattito.
Una riforma dell’Ordine ma ancora meglio della professione giornalistica significa, a nostro avviso, soprattutto discutere a 360° della libertà di stampa in questo paese.
Nel pieno rispetto della Costituzione di questo stato democratico che è il nostro, tale riforma prima di andare in vigore, deve essere dibattuta nelle piazze e nelle case e in tutti i luoghi di discussione pubblica che la rete ci mette a disposizione prima di arrivare nelle segrete stanze dei governi.
Capire, studiare, sperimentare, non decidere. Grazie