Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

Diffamazione online. Facciamo chiarezza

Diffamazione-onlineCerchiamo di fare chiarezza su un tema quanto mai dibattuto. Questa volta ci facciamo aiutare dalla “nostra” avvocata Deborah Bianchi. Il contributo che segue si rivela necessario alla luce di una recente pronunzia della nostra Cassazione che pare avere messo in subbuglio gli ambienti dei giornalisti digitali.
Si tratta della cosiddetta “sentenza Tavecchio” ovvero Cass. 54946/16; depositata lo scorso 27 dicembre 2016 ( che trovate scaricabile in fondo) che condanna il direttore di un giornale online e il giornalista che ha redatto il pezzo per un articolo diffamatorio apparso nelle colonne elettroniche a dispetto del principio giurisprudenziale della “non responsabilità” del direttore per i contenuti caricati dai terzi.
A questo punto, molti si sono interrogati sui limiti della responsabilità del direttore della testata telematica o del gestore di un blog per i commenti postati  sulla piattaforma dagli utenti o anche dai propri giornalisti. Occorre sorvegliare sempre e comunque? Esistono altre alternative alla sorveglianza h24?

post-facebook

 

Facciamo chiarezza: la sentenza della Corte di  Cassazione “Tavecchio” ha condannato il direttore non perché non aveva sorvegliato (non esiste una posizione di garanzia del direttore on line) ma perché non aveva verificato dopo la segnalazione del contenuto lesivo a mezzo diffida: “il giudizio di responsabilità veniva pertanto formulato per l’aspetto, del tutto inesplorato in primo grado, dell’aver l’imputato mantenuto consapevolmente l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria che neppure il ricorrente contesta”.
Questo significa che il direttore o il gestore del sito o del blog è responsabile dei contenuti lesivi caricati dai terzi solo quando, una volta ricevuta la diffida, non provveda a verificare e – se del caso – a rimuovere l’articolo.
Premesso che si tratta di situazioni da vagliare caso per caso, possiamo in linea generale sostenere che il direttore e il gestore non sono direttamente responsabili dei contenuti caricati dai terzi sulle piattaforme di rispettiva competenza per due ordini di motivi: motivi tecnici e motivi giuridici.
Il motivo tecnico risiede nell’impossibilità pratica di controllare tutto quanto avviene on line.

 

 

Il motivo giuridico per il direttore si individua in una sentenza-leading case Cass. pen., sez. V., 16 luglio 2010, n. 35511 secondo cui la realtà digitale non può essere assimilata a quella analogica e inoltre il sistema penale non ammette un’estensione in malam partem dei propri dettami: “Sul piano pratico, poi, non va trascurato che la cosiddetta interattività (la possibilità di interferire sui testi che si leggono e si utilizzano) renderebbe, probabilmente, vano -  o comunque estremamente gravoso – il compito di controllo del direttore di un giornale on line.
Dunque, accanto all’argomento di tipo sistematico (non assimilabilità normativamente determinata del giornale telematico a quello stampato e inapplicabilità nel settore penale del procedimento analogico in malam partem), andrebbe considerata anche la problematica esigibilità della ipotetica condotta di controllo del direttore (con quel che potrebbe significare sul piano della effettiva individuazione di profili di colpa)”.
Il motivo giuridico per il gestore si individua nell’art. 17 del D.Lgs. 70/2003 con cui viene statuita la mancanza di responsabilità dell’amministratore della piattaforma on line in quanto si presuppone che questi abbia una posizione neutra. Così stabilisce infatti il legislatore: “Art. 17 (Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza)
1.Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite”.

 

 

La disciplina sulla diffamazione on line si evince soprattutto dalla giurisprudenza interna e europea perché la legge risulta troppo obsoleta per la dimensione digitale.
Questo non significa che non esistano regole per stabilire l’integrazione o meno dell’evento lesivo. Possiamo dire che in questo periodo le regole sono dettate dalle sentenze e quindi mai come adesso è necessario fare attenzione a non generalizzare e procedere a un’analisi mirata caso per caso.

 

 

Qui la sentenza completa: SENTENZA_TAVECCHIO