Eli Pariser, alla fine del saggio che ha fatto luce – forse per la prima volta a livello “mainstream†– sul funzionamento delle piattaforme sociali online, dava qualche indicazione su come difendersi dagli “attacchi dell’algoritmoâ€: ai singoli individui Pariser raccomandava di modificare la propria dieta online (per esempio: cancellare i cookie, acquisire conoscenze in materia informatica – secondo un mantra che, nello stesso anno di pubblicazione di “The Filter Bubble†, il 2012, formulava Douglas Rushkoff nel suo “Programma o sarai programmatoâ€; alle aziende di dare trasparenza; ai Governi di formulare delle norme. Il saggio guardava alle piattaforme di condivisione (Facebook), ricerca (Google) e acquisto (Amazon), ma affrontava anche il problema dell’informazione: partendo da un famoso “statement†di Zuckerberg (“Uno scoiattolo che muore davanti casa vostra può essere più interessante per voi delle persone che muoiono in Africaâ€), faceva emergere il problema del “tunnel cognitivo†costruito dagli algoritmi quando, nella quotidiana vita online, propinano l’interessante a scapito dell’importante.
Paolo Pagliaro, con l’esperienza di ulteriori cinque anni, in un libro che riprende il nome della rubrica che cura su la7 nella trasmissione “Otto e mezzoâ€, “Punto†, si può dire ampli l’analisi dell’attivista americano con qualche caso di studio e alcune semplici buone pratiche, scattando una foto sullo stato dell’ecosistema informativo.
Cosa è avvenuto in questi cinque anni?
No, non è di adesso la storia delle fake news: “i contenuti che leggiamo adesso sulle bacheche online sono gli stessi che un tempo si trovavano sulle pareti dei bagni pubblici. Ma non ricordo che allora i giornali considerassero rilevante l’opinione di quel particolare popolo, né che i suoi graffiti fossero consultati e recensiti come termometro degli umori correntiâ€, ( dice Pagliaro in apertura ). Di adesso sono i marchi, “fake newsâ€, ma anche “post-verità â€, che hanno reso riconoscibile un fenomeno che esiste da sempre; di adesso è anche uno degli eventi che in tanti associano al fenomeno, l’elezione di Trump
(la tesi del giornalista bolzanino sullo specifico argomento è semplice: non sono state le fake news a far vincere Trump; di sicuro le fake news non lo hanno danneggiato come invece è stato per la Clinton. Sono stati i giornalisti a non aver preso sul serio quello che Trump stava costruendo e a non aver saputo raccontare quello che poi si sarebbe materializzato nella sua inaspettata elezione a Presidente). La questione – si diceva – è vecchia ed ha precise cause. Quelle che Pagliaro cerca di indagare e poi presentare con una carrellata di documenti (dati, storie di notizie e di smentite) e di pareri di esperti.
“La post-verità – argomenta Pagliaro entrando nel vivo – non è una cosa che riguarda solo la rete, né solo l’informazione. Riguarda in primo luogo la politica, il suo linguaggio e la sua etica. Le bugie della politica sono un impasto di affermazioni, silenzi e mezze verità , come tutte le bugie. Ma godono del privilegio dell’impunità poiché legittimate dal consenso degli elettoriâ€. Il problema, però – prosegue così l’analisi – diventa serio quando, a farsi dinamo di questo meccanismo, intervengono gli stessi agenti che dovrebbero invece arginare il fenomeno.
Cosa succede?
Primo,sintetizza Pagliaro: smette di esistere l’analisi approfondita (“si fa in modo che smettaâ€, forse sarebbe meglio metterla in questi termini) a vantaggio della sfida sanguinosa tra rivali, rendendo così l’elettorato sempre peggio informato e intemperante (riporta l’autore citando Robert Franck e Philip Cook in The Winner-take-All Society);
Secondo: la realtà viene descritta solo con le categorie usate dai politici e il loro linguaggio; infine: si favoriscono i populismi che – quasi per la necessità di rassicurare il proprio pubblico, elettori per i politici e ascoltatori/lettori per i mezzi di informazione, che altrimenti sarebbe solo bombardato da notizie negative, tanto “false†quanto poco tranquillizzanti – “promettono soluzioni semplici a problemi complessiâ€.
Come succede?In un ecosistema in cui tutti i media coesistono e si alimentano a vicenda uno dei fattori scatenanti, dice Pagliaro riportando la tesi di Walter Quattrociocchi nel suo How Does Misinformation Spread Online, è il narcisismo, soprattutto quello che porta a diventare online ciò che non si è, ma che piace (nel senso proprio del “likeâ€) agli altri. Un altro è la disintermediazione, che “in politica significa il trionfo della demagogia, e nell’informazione il trionfo della spontaneità spesso irresponsabileâ€.
Perché succede? Perché, sull’altare di un profitto (di voti per i politici e di ascolti per gli editori), occorre conquistare l’attenzione, bene prezioso in un ecosistema sempre più inquinato. Come meglio poter prendere voti e ascolti se non raccontando una realtà semplificata, offrendo soluzioni pronte all’uso; ottenendo, poi, come effetto collaterale, il rafforzamento – con false notizie – dei propri pregiudizi cognitivi, “anche quando – così Pagliaro citando ancora Quattrociocchi – è possibile dimostrare che certe notizie sono falseâ€.
Quando succede? Quando il carico informativo e di contenuti, diventa insostenibile (ecosistema inquinato, si diceva). Un aspetto, questo, che Pagliaro esamina fornendo al lettore degli spunti molto interessanti: vengono citati Jorge Luis Borges, il futurologo Toffler e il sociologo Gross e i più attuali Eric Shmidt e Eco, con un implicito invito all’approfondimento.
Come uscirne? Il messaggio di Pagliaro è un messaggio positivo: se ne può uscire percorrendo una strada che, più che su norme da scrivere, passa attraverso un’autoregolamentazione degli attori coinvolti: agli editori Pagliaro suggerisce di investire in informazione di qualità (scelta che può rivelarsi vincente anche da un punto di vista economico); ai lettori – dopo aver presentato le soluzioni di Howard Rheingold di mettere un funzione un “crap detectorâ€; di Pierre Lévy di rivedere il rapporto con la conoscenza contemplando i limiti propri di ciò che è parziale e provvisorio; di Nicholas Carr di staccarsi un po’ dalla tecnologia – consiglia una fruizione più consapevole dei contenuti incoraggiando quel minimo di senso critico necessario a capire – per esempio – la provenienza di una notizia.
Ecco, in sintesi, il “Punto†di Paolo Pagliaro. Un testo che può essere, per il pubblico “generalista” al quale è evidentemente destinato, una utile chiave per iniziare a comprendere e tentare di combattere – non senza la necessità di approfondire i tanti spunti in esso inclusi dall’autore – un fenomeno che sta seriamente minacciando la tenuta sociale e la crescita delle comunità .
Marco Dal Pozzo