Muro contro muro
I modelli di sostenibilità detti anche modelli di business sono da sempre il grande problema della rivoluzione digitale almeno nel nostro settore: l’informazione. Lo abbiamo detto tante volte oramai anche su queste colonne, non esiste un modo per sopravvivere per i giornali, meglio, per le aziende editoriali, nel mondo digitale. Il modello analogico di sopravvivenza continua ad essere l’unico, sebbene in fortissima crisi, che a tutt’oggi riesce a far resistere il comparto dell’editoria giornalistica. Nell’ultima edizione di digit, il festival dedicato al giornalismo digitale, creato e realizzato da noi di Lsdi, abbiamo provato a mettere a confronto due modelli economici possibili: lo sfruttatissimo ma ancora non perfetto “metered paywall” contro il solo teorico, ahimè al momento, modello Jarvissiano (chissà se ci è concesso il neologismo) del “reversed paywall”. A parlarne nelle due ore di wrkshp a loro concesse a #digit16 in quel di Prato presso la Camera di Commercio sono venuti due esperti della materia: il giornalista digitale, ma anche imprenditore del ramo, Alberto Puliafito, e l’esperto di marketing digitale ma anche giornalista (suo malgrado) anche se non lo ammetterà mai nemmeno sotto tortura: Pierluca Santoro. A loro la parola e buona lettura!
L’incontro inizia con una breve prolusione di Pierluca Santoro che riassumiamo in alcuni estratti:
“Le attese sui ricavi da paywall contano poco e nulla rispetto alla reale sostenibilità aziendale delle aziende editoriali globali secondo gli ultimi dati in nostro possesso. C’è una forte contrazione nella raccolta pubblicitaria nell’ultimo decennio 2005-2015. La contrazione è evidente su tutti i media ma ha colpito in particolare maniera la carta stampata. Nonostante questo si vede anche un permanere nell’interesse delle aziende, nonostante la crisi, nello scegliere di pianificare la propria pubblicità sui media d’informazione. Come quote il digital adv sta per raggiungere e superare la tv leader incontrastata per ora degli investimenti pubblicitari da parte delle aziende. La scelta di tutti i media deve essere quella di profilare gli investimenti in pubblicità , orientare nel miglior modo possibile gli investimenti pubblicitari delle aziende verso il proprio medium. Un giornale di carta a 1 euro, un euro e venti o un euro e cinquanta non riesce a guadagnare solo con le vendite, andrebbe venduto minimo a 5 euro a copia per riuscire a guadagnare. I media hanno sempre guadagnato “vendendo” i propri lettori non solo i propri prodotti. Questo determina che il focus delle aziende editoriali è sempre stato fino ad oggi più sull’investitore pubblicitario che sul lettore perchè sono questi investimenti a garantire la sussistenza. In questa fase l’editoria sta perdendo lettori e quindi di conseguenza anche gli investitori”.
L’incontro prosegue con l’intervento di Alberto Puliafito che introduce il tema dei “metered paywall”:
“Gli ad blocker sono costantemente in crescita, i lettori non sono cattivi forse gli editori hanno esagerato con i banner pubblicitari? C’è un meme che gira su internet che dice : se non stai pagando il prodotto che stai usando, vuol forse dire che ad essere venduto sei tu?”
Siamo in un contesto di sovraccarico informativo mare mgnum di informazioni tutte gratis. Ogni 60 secondi su facebook vengono caricati 350 gb di dati. Ogni 60 secondi nel mondo vengono creati 571 nuovi siti. In questo scenario i grandi giornali come hanno agito? Hanno agito e agiscono amplificando in modo indiscriminato il mercato delle bufale e delle fake alla caccia di click, alla caccia di condivisioni, alla caccia di grandi numeri. Perdendo velocissimamente credibilità e non investendo seriamente sulla propria crescita e sul fare ricerca e sperimentazione in modo serio. Le news sono diventate delle commodity. Non importa più chi le produce. Alla ricerca del volume e non del valore gli stessi newsbrand si sono autosvalutati. Provate a fare questo esercizio andate a guardare le principali home page delle principali testate italiane coprendo il marchio. Farete fatica a distinguere, le une dalle altre, non le riconoscerete. In parte è successo questo e in parte le news sono diventate commodity per come si è evoluto l’ecosistema. Ad un certo punto io lettore nell’overload informativo mi dimentico dove sia la prima fonte della notizia che sto leggendo, chi sia stato il primo a diffonderla. Il valore aggiunto della notizia la dà il giornalismo, il lavoro giornalistico be fatto che mi spiega i dettagli della notizia, mi approfondisce il tema, mi realizza l’inchiesta per farmi capire bene, comprendere nella loro interezza  i fatti. Ed è partendo da questa considerazione che posso sperare di erigere il mio muro e far pagare i miei utenti se sono un editore di news. The Times ha lanciato il paywall integrale (hard paywall) se vuoi leggere paghi. Il Times è stato uno dei primi a introdurre la formula del paywall dal 2010. Loro sono in grado di preparare un’offerta di news a pagamento su misura per il proprio lettore.
Poi ci sono offerte di metered paywall misurato. Ad esempio il New York Times propone 20 articoli gratis e poi scatta il pagamento, ultimamente il limite è stato abbassato a 10 pezzi gratis. Il limite principale del proporre articoli a pagamento è il valore intrinseco dei singoli pezzi. Per giustificare il loro pagamento da parte dell’utenza tutti i contenuti del mio giornale devono essere di valore indubbio, devono sostenere qualunque tipo di verifica, devono/dovrebbero essere unici o comunque anche se non tutti scoop almeno personalizzati sullo stile e il metodo di lavoro del giornale che me li propone.
NON HO SPERANZE DI FAR PAGARE AL LETTORE QUELLO CHE TROVA OVUNQUE GRATIS E NELLA STESSA FORMA
Il Financial Times adotta un paywall in formato soft o poroso, detto in italiano, che significa che se trovo una notizia che mi interessa su internet e scopro che l’ha scritta il Financial Times e la vado a leggere arrivando sul sito da google mi viene permesso di leggere  integralmente quella notizia senza pagarla, se poi voglio leggere altro sul Financial Times mi viene concesso un minimo di possibilità di navigazione del sito per farmi un’idea dei suoi contenuti e poi mi vengono  proposte formule di abbonamenti personalizzati sulla base del volume di notizie che penso di voler consumare, abbinati a proposte di prezzi differenti.
Un altro esempio di paywall soft è quello di The Information un sito che si occupa di notizie di tencnologia. Il loro paywall soft si basa sul tentativo di utilizzare i social in modo intelligente. Se i lettori provengono dai social tramite condivisioni fatte dai giornalisti di The Information allora possono leggere il pezzo gratuitamente.
Un’altra forma di paywall è la sottoscrizione, qualcosa di più del semplice abbonamento perchè prevede che il lettore entri a far parte di qualcosa. Ad esempio la newsletter stratechery (Ben Thompson) prevede un pagamento di 10 dollari al mese o 100 all’anno e si occupa di news dall mondo delle  tecnologie. E’ un paywall poroso, si può leggere e condividere in parte gratuitamente e poi si paga. L’importante è che aumentando i contatti alla newsletter grazie alle condivisioni da parte dei già abbonati aumentino le condivisioni ma anche gli abbonamenti a pagamento. Quindi c’è un limite, variabile, ma esistente per quello che si può leggere e condividere gratis. C’è poi Pandò un sito di news tecnologiche a pagamento, e un modello danese molto interessante basato su una diversa procedura di accesso ai finanziamenti pubblici per l’editoria, una cosa totalmente impossibile da noi, la start up editoriale si chiama: Zetland.Â
Per poter realizzare un paywall servono due cose: i contenuti e il pubblico che paga per questi contenuti.
I contenuti devono essere di altissimo valore aggiunto, è impossibile pensare di fare paywall su notizie che danno tutti. O si tratta di siti fortemente identitari e riconosciuti come autorevoli (Il Times) o di massimi esperti di un settore specifico e universalmente riconosciuti come tali e che quindi producono notizie destinate ad un pubblico molto specifico, una nicchia. Il nostro tono di voce deve essere autorevole, unico, competente ma anche umile e soprattutto bisogna parlare a tutti in prima persona mettendo da parte il nostro ego.  Non salire in cattedra non cercare l’applauso ma mettersi al servizio del lettore, della comunità . E’ necessario agire con la massima trasparenza e guadagnarsi e mantenere sempre la fiducia dei nostri sottoscrittori. I sottoscrittori devono essere individuati con precisione, dobbiamo identificare il nostro pubblico di riferimento per creare un’offerta che sia per loro interessante in base ai loro bisogni reali.
Il paywall funziona? Dipende
- Dagli obiettivi che ci siamo posti
- Da come è stato implementato
- Da che posizionamento abbiamo
Secondo il fondatore di wikipedia Jimmy Wales l’hard paywall del Times non avrebbe dovuto funzionare e invece cinque anni dopo l’istituzione del paywall e la profezia di Wales, i dati confermano che la visione degli strateghi del marketing del Times si è rivelata giusta. Il giornale è passato in 5 anni dalle perdite al profitto grazie proprio all’istituzione del paywall. Sono diminuiti i numeri assoluti del traffico sul sito, è vero, ma il traffico rimanente sebbene ridimensionato, essendo per la maggior parte a pagamento, permette al giornale di sopravvivere e guadagnare dopo anni di perdite.
Il Nyt ha raggiunto un milione di abbonati alla versione digitale. Ma nonostante questo importante dato i dati economici del quotidiano americano continuano ad evidenziare il segno negativo.
La newsletter di Ben Thompson stratechery ha ricavato 200 mila dollari l’anno nel 2014 dai propri sottoscrittori. Alla fine del 2015 gli abbonati alla newsletter erano 4000 quindi circa il doppio in un solo anno.
Pandò ha raggiunto  in 5 anni di attività 5000 mila abbonamenti a 100 dollari l’anno che per l’azienda rappresenta il punto di guadagno, di sostenibilità aziendale.
La start up editoriale danese Zetland rappresenta   il successo più clamoroso. I giovani giornalisti imprenditori danesi hanno ricevuto 400 mila euro per partire grazie ad un finanziamento pubblico e hanno raggiunto in pochi mesi 6000 mila abbonati che pagano poco più di 13 euro al mese. Non fanno breaking news non sono ossessionati dai temi ma dalla qualità del servizio. Il loro punto di sostenibilità è stato fissato a quattordicimila abbonati al mese. Tenendo fede a queste cifre gli editori giornalisti danesi sarebbero in grado di pagare per ogni pezzo prodotto non meno di 500 – 1000 euro. A queste cifre lavorano i migliori giornalisti del mondo. Quindi il prodotto non può che essere di grandissima qualità . In Danimarca sono 6 mln di abitanti circa da noi dieci volte tanti. Un modello come questo è proponibile dunque anche da noi con margini di successo anche superiori al loro. E’ molto importante sottolineare che il valore che posso ricavare dai miei lettori non sono solo i soldi. C’è molto di più che molto spesso viene ignorato ed è su questo che si basa la riflessione di Jeff Jarvis sul Reversed Paywall.
L’incontro si conclude con l’intervento di Pierluca Santoro che introduce il tema dei “reversed paywall”:
Più il contento ha alto valore aggiunto e più le persone sono disponibili a pagare questi contenuti. Bisogna sottolineare il fatto che sebbene la propensione all’acquisto di contenuti nel mondo dell’informazione ci sia in alcune fasce di lettori, sempre che i contenuti siano appunto ad alto valore aggiunto, le stime dei possibili fatturati in tal senso per le aziende sono comunque molto basse e molto più basse dei possibili fatturati pubblicitari.
Io sono filosoficamente contrario al full e al metered paywall perchè come dimostrano i dati c’è una scarsa disponibilità effettiva a pagare le notizie. Questi sistemi penalizzano il lettore fedele. Chi non  legge spesso le notizie su quel sito le leggerà sempre gratis. Se sono un lettore che legge sempre dallo stesso sito le notizie mi tocca invece pagarle.
L’idea del reversed paywall è quella di premiare comportamenti virtuosi da parte dei lettori. Comportamenti che premiano il lettore ma anche l’editore. Ci sono gli ad blocker ad esempio, bene, il lettore che non usa gli ad blocker ed è abbonato al mio reversed paywall è un lettore virtuoso e quindi io editore ho la possibilità di profilare molto meglio il mio pubblico per poi proporlo ai miei inserzionisti usando il reversed paywall.
Lo stesso posso dire se il lettore attraverso il reversed paywall cliccaa su un determinato link che io ho inserito nella mia home page o fuori dal mio sito.
Promuove il mio giornale sui social media condivideno gli articoli. Concorrendo a creare notorietà di marca.
Compra prodotti o servizi nella mia sezione di e-commerce del sito aziendale.
Compra biglietti per un evento organizzato dal giornale.
Offre i propri dati spontaneamente per aumentare la profilazione dei lettori del giornale.
Scrive buoni commenti in calce alle notizie
Sosteniene progetti di interesse pubblico
Risponde alle domande dei giornalisti sui social
Segnala un errore
Offre uno spunto valido per un articolo
Si parte con una dotazione di base di “n” articoli al mese su cui applicare tutte queste regole per implementare il numero di articoli visualizzabili e leggibili sul sito del quotidiano.
L’editore non otterrà mai in questo modo dei pagamenti diretti in denaro dai propri lettori ma avrà ma in cambio tutti questi servizi a valore aggiunto.
Non è un’idea originale, non è un’idea mia, è un’idea che viene in larga parte da molto tempo utilizzata nel mondo dei videogiochi.
Un tempo i giochi si compravano, off o online, si comprava tutto. Adesso i giochi non si comprano. Ognuno può giocare su tablet e smartfone gratuitamente. Se poi ad un certo punto del gioco si vuole progredire è necessario pagare. O sborsando direttamente del denaro, oppure guardando un video pubblicitario, oppure mettendosi a disposizione per sostenere delle azioni in cambio di progressi nel video-game. Sondaggi, ricerche, acquisto prodotti, abbonamenti etc.etc.
Per il mondo dell’editoria fra tutte le formule reversed propenderei per quella che prevede la miglior profilazione dei miei lettori. Che tradotto significa:
- Vuoi leggere un articolo? Come ti chiami ?
- Vuoi leggere un altro articolo? Mi dai la tua e-mail?
- Vuoi leggere ancora un articolo? Di che sesso sei?
Domande brevi, dirette, semplici che non infastidiscano l’utente e che gli diano un immediato e diretto beneficio.
In poco tempo potremmo scavalcare qualunque social.
Siamo seduti su una miniera d’oro e invece di sfruttarla stiamo lì a inventarci – non io – come fare clickbaiting sui social per portare traffico di valore scarso, per usare un eufemismo, verso il sito del nostro giornale.
Siamo passati dall’economia dell’attenzione all’economia dell’intenzione. Il fenomeno dell’ad blocking dimostra che se si è troppo invadenti l’utente si ribella. Non è un problema di attenzione ma  dobbiamo fare in modo di portare l’utente ad agire intenzionalmente rispetto al problema delle news. Fare scelte. Realizzare il proprio operato consapevolmente. Collaborare con piacere nel fornire tutti i propri dati all’azienda editoriale.
Questi gli elementi di valore a mio avviso su cui bisogna lavorare nel settore dell’editoria:
- Contenuti unici e di qualitÃ
- Contenuti personalizzati
- Distribuzione ( i social non sono piattaforme di distribuzione, blendle è una piattaforma di distribuzione olandese ora è anche in Germania e anche negli Stati Uniti che vende i singoli articoli non gli abbonamenti alla testata)
- Reputazione (alle aziende interessa anche nel nostro Paese vedi l’esempio di Eni; ai giornali italiani sembra proprio di no basta andare sugli account social dei principali quotidiani mainstream e vedere come non venga in alcun modo gestita la reputazione dal newsbrand)
- Facilità di pagamento e accesso ai media digitali (provate a scaricare Prima Comunicazione online a pagamento e poi mi dite)
- Abbondanza di offerta ( il modello dovrebbe essere “All you can eat†stabilisci una soglia di accessibilità per garantire un’offerta molto abbondante )
Di seguito il video integrale dell’incontro: