La fiducia è il primo di tali elementi: il tema è quello della riqualificazione delle relazioni tra lettori e giornalisti, ma non solo; più in generale direi tra cittadini. E’ il tema, detto in altri termini, dell’aumento del Capitale Sociale.
Fino a qualche anno fa avremmo creduto che i Social Network avrebbero agevolato l’aumento del Capitale Sociale e che, in un ecosistema arricchito di relazioni di qualità , i quotidiani avrebbero potuto trovare un nuovo respiro.
Non è andata così, lo sappiamo bene.
E’ difficile riuscire a distinguere nettamente le ragioni: non credo, infatti, si possa guardare alle lacune – di investimenti, competenze, ma non solo – nel comparto editoriale e alla crisi di valori che ha colpito la società come se fossero domini ad intersezione nulla. Voglio dire che, per la quota di responsabilità (secondo me elevata) della crescita che bisogna attribuirgli, sono anche gli Editori, i Giornali e i Giornalisti ad avere inciso sulla deriva valoriale degli ultimi anni. Non tutti, certo, non tutti.
Non deve essere un alibi la questione, delicata e non meno trascurabile (posta per altro da diversi mesi al centro del dibattito da LSDI), della neutralità degli algoritmi delle piattaforme e del loro effetto negativo nel percorso cognitivo. D’altra parte, per quanto sia strano dirlo, per certi versi, è lo stesso Zuckerberg che proprio in questi giorni – per ciò che personalmente lo riguarda – un alibi lo sta togliendo: non lo starà sicuramente facendo per il Bene Comune, o almeno non solo per questo, ma pensare di premiare le relazioni a svantaggio del contenuto tout court significa prendersi cura del Capitale Sociale .
L’aspetto interessante della faccenda, poi, è che un buon metodo per accrescere il Capitale Sociale è coltivare le relazioni con e tra le persone intorno ad un contenuto giornalistico: una dinamica che online, grazie alle enormi potenzialità della piattaforme sociali, trova il suo terreno più fertile e si dimostra – proprio perché online – alleata del giornalista nello svolgimento del suo compito naturale di dare senso ai fatti.
Quando parlavo di investimenti e competenze mi riferivo alla necessità – che secondo me doveva esserci da sempre – di formare i Giornalisti a ché riescano ad andare oltre la mera pubblicazione della notizia. Non mi piace parlare di giornalismo e di editoria in termini di business, ma – se può servire – ho trovato un argomento convincente nella recensione di Fabrizio Galimberti nell’inserto Domenica de il Sole 24 Ore del libro di Fabrizio Onida “L’industria intelligente, per una politica di specializzazione efficace” quando dice che per sopravvivere all’urto competitivo dei nuovi concorrenti bisogna agire ora più che mai su fattori di competitività diversi dal prezzo come qualità , innovazione e servizi postvendita.
Cos’è la cura del ciclo di vita della notizia se non un servizio post vendita?Il modello sociale per l’Editoria di cui proveremo a discutere a Roma prevede che, in questo ciclo, siano parte attiva anche i lettori, opportunamente premiati se in grado di generare ulteriore senso per la notizia di cui si discute.(Il contributo che avete appena finito di leggere è dello studioso di giornalismo e nostro associato Marco Dal Pozzo )