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Passione e saperi per la libertà

Riceviamo e pubblichiamo con  piacere questo contributo di Michele Mezza in cui viene riassunto in modo chiaro il significato dell’ultimo appuntamento pubblico da noi organizzato e realizzato lo scorso 2 febbraio a Roma presso la sala Walter Tobagi della Federazione Nazionale della Stampa Italiana denominato #digitRoma. Una giornata di cui siamo fieri e per la quale vorremmo ringraziarVi.

 

 

Ringraziare Voi per primi, i nostri lettori, che siete da sempre i nostri primi sostenitori ed estimatori e di cui noi andiamo molto fieri. Un ringraziamento a tutti i relatori, e a tutti coloro che hanno partecipato alla giornata e ai quali ci auguriamo sia piaciuta. E infine un ringraziamento a chi ha reso possibile questa giornata: l’Ordine dei giornalisti del Lazio e la Fnsi.  Le parole di Michele Mezza che di #digitRoma è stato uno dei relatori sono estremamente significative e mettono insieme con grande chiarezza e precisione spunti diversi e diversi operati da parte di persone, di enti e istituzioni che stanno dentro al nostro mondo, quello del giornalismo, od operano in settori limitrofi e contigui a quello dell’informazione. Persone, enti e istituzioni che se riuscissero sempre di più a rendersi complementari, a mettere in piedi sinergie e collaborazioni, renderebbero un servizio davvero utile alla “comunità“.

 

 

Buona lettura e grazie a Michele Mezza per questo contributo:

 

 

“Due giorni importanti, forse addirittura storici quelli di venerdi e sabato scorsi alla FNSI.

 

 

Lo spiegava il presidente del sindacato dei giornalisti, Giulietti, quando inntervenendo sabato alla convention sulle mafie e la lotta dei giornalisti per poter informare liberamente sugli inquinamenti malavitosi , promossa da Libera e Ossigeno, insisteva nel collegare questo movimento con quanti aveva riempito lo stesso salone il giorno prima, rispondendo all’appello di LSDI  su giornalismo e algoritmi.

 

 

Due facce della stessa medaglia: una mobilitazione di saperi e competenze per la libertà.

 

 

Venerdi, insieme a docenti di informatica, economisti, sociologi, si è discusso di come rimettere il mestiere al centro della nuova scena digitale, rendendolo un fattore di literacy dell’informazione, ossia di consapevole e critica negoziazione delle potenze tecnologiche. Troppo spesso, proprio chi appare più impegnato sul fronte professionale, tende a considerare le nuove forme di tecnologie intelligenti come neutre e oggettive, affidandosi acriticamente a modelli algoritmici che ormai cadenzano e determinano la struttura del nostro linguaggio e dunque del nostro pensiero.

 

 

Come scrive Frank Pasquale nel suo saggio Black Box, “oggi l’autorità e il potere si espromo attraverso gli algoritmi”. Basti pensare che da metà del 2017 i contenuti generati automaticamente da bot hanno già superato in quantità quelli generati da esseri umani. Un bot è un agente di intelligenza artificiale programmato per allagare aree digitali con flussi di contenuti mirati ad una determinata lista di destinatari, alterando ogni sistema relazionale. Il caso più banale lo abbiamo visto , recentemente, sotto i nostri occhi: la polemica sui sacchetti bio previsti da una norma governativa, che adegua l’Italia alla legislazione europea, è stata innestata fra il 1 e il 2 gennaio da batterie di centinaia di bot che hanno rovesciato su bacheche di influencer non meno di 160 mila messaggi in solo 4 ore.Troviamo qui il primo , elementare e concretissimo tema di battaglia dei giornalisti: i service provider, che guadagnano con il traffico dei bot, devono rendere visibile all’utente se il contenuto che gli arriva in bacheca è stato elaborato da un umano o da un (ro)bot, di proprietà di altri umani.

 

 

Ma poi ci sono temi più direttamente attinenti alla sicurezza e alla democrazia, quali ad esempio la pressione esercitabile su fasce elettorali mirate, in ambiti territoriali specifici, come i collegi contendibili, su cui si concentrano gli investimenti sia di contendenti, ossia di partiti in lizza alle elezioni, sia di soggetti esterni, esteri, che interferiscono nel dibattito politico nazionale. Vedi il caso Trump.

 

 

Anche in questo caso sono i giornalisti, come ha spiegato il presidente dell’Ordine Carlo Verna, in occasione della riunione del tavolo tecnico sulla comunicazione politica, promosso dall’Agcom, che per difendere la propria attività professionale interpretano l’esigenza di trasparenza e di autonomia dell’intero paese.

 

 

L’esperienza delle lezioni americane, ci insegna quello che ha sintetizzato Angela Merkel in una recente intervista al Guardian: la trasparenza e la negoziabilità degli algoritmi afferisce alla sicurezza e alla democrazia di una comunità.

 

 

Afferisce anche alla legalità.

 

 

Sempre più, come i colleghi che si occupano della materia sanno, la criminalità usa le forme più avanzate delle tecnologie e  delle procedure, per estendere il suo potere, incrementare la pressione sulla società, riciclare i suoi profitti.

 

 

Pensiamo al mondo delle criptovalute, o a quel sistema di decentramento delle decisioni che sono le blockchain, oggi alla studio del sistema finanziario globale. O pensiamo all’uso dei data base, e al controllo e intercettazione dei sistemi digitali dei giornalisti o dei magistrati. O ancora pensiamo alla sicurezza dei materiali secretati dalle procure, che vengono depositati in data base , le cui architetture sono affidate con bandi a società esterne che possono accedervi senza problema.

 

 

Ma ancora di più, pensiamo a quel mondo di immaginario e di senso comune che prende forma sulla rete, ormai il sistema neurologico del mondo, dove filmati e messaggi si incrociano e si sovrappongono ,determinando una coscienza connettiva, che come giornalisti ci ritroviamo poi dinanzi quando ci appelliamo all’opinione pubblica: chi controlla questo cervello collettivo? I service provider. E chi negozia con loro? Al momento solo chi li paga. Questo muro va rotto. I service provider e le grandi compagnie, le cosiddette Over The Top – Google, Facebook, Amazon per prime – devono essere in parte anche nostre, diventare  spazio pubblico, luogo di trasparenza sottratto ad ogni logica speculativa. Battaglie simili già le abbiamo condotte in passato, sul conflitto d’interessi, ma ancora prima.

 

 

 

Pensiamo alla straordinaria stagione dal ’75 al ’85 al Corriere della sera, dove il movimento dei giornalisti democratici, il cui leader era Raffaele Fiengo, aprì la black box della proprietà, creando un nuovo algoritmo di gestione del giornale, condiviso e partecipativo. Oppure alla stagione successiva, dal ’85 al ’95, in Rai in cui il movimento di Fiesole, fondato fra gli altri anche dall’attuale presidente della Fnsi Giuseppe Giulietti, aprì la black box della politica e della lottizzazione, elaborando un algoritmo del servizio pubblico, grazie alla straordinaria invenzione del giornalista massa, che sostituiva come base sindacale la figura del giornalista firma. Sono esperienze che oggi dobbiamo mettere al centro di una nuova elaborazione che faccia convergere e intrecciare la passione civile del giornalismo investigativo con i saperi e le esperienze delle nuove figure del giornalismo digitale.

 

 

E’ un itinerario che potrebbe, non solo culturalmente, ma anche sindacalmente, ridare forza e centralità ad una figura professionale come quella del  giornalista che ritornerebbe garante e tutor di una democrazia continua, come diceva Stefano Rodotà. Grazie al sapere e alla passione: i due “algoritmi” della libertà“.

 

di Michele Mezza

 

 

 

 

 

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