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Racconti di guerra e di pace

Se riuscissimo per  davvero a fare tesoro di quello che ci accade, chessò poniamo una guerra,  e fossimo in grado di dare un senso a espressioni retoriche come:   “la Storia è maestra di vita”, forse riusciremmo tutti insieme a vivere davvero molto meglio in questo nostro piccolo/grande mondo. Perdonate il preambolo un tantino pomposo ma il fatto che vorremmo raccontarvi oggi è davvero intrigante e nasce da una ricerca internazionale cui stanno lavorando due studiosi  dell’Istituto di studi asiatici dell’Università  australiana di Melbourne e riguarda un argomento  pesante e assai controverso come la Seconda Guerra Mondiale. Lo facciamo a modo nostro, dal punto di vista dell’informazione e del giornalismo, e anche della rivoluzione digitale.  E lo facciamo provando ad illustrarVi il contenuto di questo progetto ideato da questi due professori, dell’ateneo australiano: una italiana e un giapponese,  che si occupa di studiare come il racconto “ufficiale” del dopo guerra – quello contenuto nei libri di storia per intendersi – , e le narrazioni  realizzate via via dai diversi mezzi di comunicazione,  abbiano influenzato la creazione di una memoria collettiva e promosso, a vario titolo e misura, azioni di riconciliazione dentro la società. In particolare la ricerca prende in esame quello che è successo dalla fine del conflitto ad oggi nei tre Paesi usciti sconfitti dalla guerra: l’ Italia, la Germania e il Giappone.

 

 

 

“La riconciliazione duratura con gli ex nemici dopo una guerra è un processo difficile e spesso angosciante.

 

La pace non è una pratica top-down e l’intera società civile deve essere coinvolta per riuscirci.

 

Le scuse ufficiali sono state spesso percepite come uno strumento simbolico ma efficace per promuovere la pace e la riconciliazione, e i regimi internazionali sono spesso citati come la struttura ottimale per consolidare la stabilità.

Questo progetto risolve le connessioni tra le scuse formali, la costruzione del regime e la pace nei contesti post bellici, illustrando il ruolo fondamentale dei media e della società civile nell’influenzare la memoria collettiva e promuovere la riconciliazione.

Gli studi dei casi  di Giappone, Germania e Italia forniscono prove empiriche su come i media hanno modellato criticamente la narrazione degli eventi del secondo dopoguerra e come questa interpretazione sia strumentalmente legata alla retorica sulla pace e la stabilità.

Interviste e ricerche archivistiche sono utilizzate per elaborare nuovi quadri cognitivi e paradigmi per trasformare i media, e in particolare i nuovi media, in potenti strumenti per diffondere nuovi valori e prospettive, incorporando la società civile in un processo virtuoso di riconciliazione “.

 

 

Questo in estrema sintesi il senso della ricerca così come viene raccontato dagli stessi studiosi in un passaggio della documentazione del progetto. Per riuscire a comprendere meglio tutti i particolari di questo importante lavoro abbiamo realizzato una breve intervista a Claudia Astarita  la ricercatrice italiana che assieme al collega giapponese Akihiro Ogawa ha ideato lo studio:

 

 

 

 

“Il progetto nasce dalle nostre idee, dai nostri comuni interessi e dalla comune passione per la materia. Lo spunto definitivo ci è venuto quando il Presidente Obama, per la prima volta per un presidente degli Stati Uniti, ha visitato Hiroshima. Il modo in cui lui ha raccontato la guerra e  la conclusione del conflitto con le esplosioni nucleari, e  di come le sue parole siano state interpretate dai media e dal governo giapponese. Da queste riflessioni siamo partiti cercando di realizzare un progetto che avesse un respiro internazionale. Lo abbiamo scritto e poi abbiamo partecipato ad un bando per trovare i finanziamenti necessari per la sua realizzazione presso la fondazione Toyota.  Un bando estremamente  selettivo che siamo riusciti a vincere.

 

 

 

Il nostro punto di partenza è capire se ancora oggi la storia della seconda guerra mondiale venga raccontata diversamente in Giappone,  Germania e Italia. Lo accerteremo – speriamo – grazie alla nostra ricerca. Noi come presupposto di partenza un poco lo pensiamo. Riteniamo che effettivamente ci sia un diverso modo di raccontare la storia a seconda del Paese in cui questa viene affrontata e che  questo diverso modo di narrare i fatti abbia portato al consolidamento di nozioni non necessariamente giuste e corrette e che queste nozioni inesatte rendano più difficile la diffusione di un messaggio di riconciliazione e di pace dentro la società. In particolare a nostro avviso fatti non detti o rielaborati in maniera non completamente neutra possono creare storture nell’interpretazione della storia da parte delle persone.

 

 

 

Come facciamo a verificare questo presupposto?

 

 

 

Attraverso lo studio del modo in cui sia variato il racconto dei fatti nel corso dei passaggi di  generazione dal dopoguerra a oggi. E lo realizzeremo analizzando i testi di storia in uso nelle scuole e intervistando docenti scolastici ed esperti della materia.

 

 

Lo strumento principale del nostro studio è un questionario suddiviso in 5 parti che distribuiremo in alcune università giapponesi, italiane e tedesche ad un campione di circa 500/600 studenti per ogni paese per capire cosa conoscono effettivamente i ragazzi di quel periodo. E per riuscire a mettere insieme una vasta mole di dati per comprendere il livello di conoscenza della materia nei diversi paesi.

 

 

Lo stesso questionario in una forma leggermente diversa è già  disponibile online e può essere compilato da chiunque in modo da riuscire a realizzare un campione di dati diverso da poter comparare con quelli raccolti nei campus, e arricchire i risultati della ricerca.  Attraverso la comparazione dei diversi dati raccolti vorremmo  capire quale tipo di relazione o differenza ci sia fra le diverse tipologie di risposte in base alle differenze di età, censo e professioni delle persone che accederanno e compileranno il questionario rispetto  agli studenti.  In  particolare ci interesseranno i risultati che emergeranno dalla compilazione  della sezione 4 del questionario che riguarda proprio il modo in cui si conosce la storia e il modo in cui si vorrebbe fosse raccontata.

 

 

Le Università coinvolte nel progetto al momento in Italia sono Trento, Bologna,  Venezia – Cà Foscari, e La Sapienza di Roma, mentre in Germania siamo in contatto con gli atenei di Lipsia, Amburgo, e la Freie Universitat di Berlino. Oltre alle Università stiamo anche lavorando con alcune strutture di ricerca private specializzate nello studio dell’Olocausto situate a Berlino.

 

 

A partire da luglio ci recheremo personalmente  in Italia, Germania,  e Giappone per prendere contattato con  le Università partner e distribuire il questionario agli studenti. Nel corso di quel periodo  avvicineremo anche gli  esperti dei vari paesi interessati alla ricerca per capire come sia cambiato nel corso degli anni il modo di insegnare  e il modo di raccontare il conflitto sui media e sui nuovi media. In Giappone ad esempio si conosce molto poco dell’Europa e della storia del continente europeo e anche alle nostre latitudini la storia giapponese non è certo molto nota. Quindi forse anche grazie al  nostro lavoro sarà possibile provare a colmare un poco questa evidente lacuna.

 

 

Il progetto è partito  da quasi un anno. Prima di tutto abbiamo fatto una ricerca su quello che è uscito sul tema  nell’istruzione scolastica e sui media. La materia è vastissima. Per questo abbiamo fatto una selezione molto accurata dei materiali. Le nostre  fonti sono libri e media italiani, giapponesi e tedeschi. Per capire come dentro i tre paesi è stato raccontato il conflitto. Ma abbiamo abbinato a questi materiali anche altri libri e materiali di documentazione giornalistica provenienti da paesi diversi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e l’Asia.

 

 

Rispetto allo studio dei testi storici ci siamo accorti che il racconto del conflitto varia davvero molto da paese a paese. In Giappone ad esempio la storia viene ancora raccontata in modo molto diverso da come si fa in Europa.  A proposito dell’attacco di Pearl Harbour ancora oggi i testi ufficiali di storia giapponese parlano di un attacco necessario per spezzare l’embargo, non si parla mai dell’aggressività giapponese. Questo è un tema che non emerge dai loro libri di storia.

 

 

Sui testi italiani subito successivi alla seconda guerra mondiale  non c’è traccia del conflitto. E anche quando anni dopo si comincia a raccontare la guerra sui libri di testo,  nei programmi di studio delle varie scuole sembra che i professori non facciano mai in tempo a parlarne, prima della fine dell’anno scolastico. La sensazione che abbiamo  è che di questi argomenti non si fosse mai pronti a parlare, anche quando il tema era poi divenuto comune nei libri di testo. Vedremo se i dati raccolti nella  ricerca ci forniranno delle conferme in tal senso oppure se verremo smentiti dai fatti.

 

 

Una parte significativa di questo progetto riguarda i new media e in particolare i social. La nostra idea  è che una parte del progetto possa servire per riuscire a mettere in atto una strategia per influenzare positivamente e in modo assolutamente trasparente i giovani – i principali utilizzatori dei social – su questi temi.  Noi confidiamo che questo possa essere possibile. A questo proposito dobbiamo ancora  fare una serie di verifiche sul corretto uso degli strumenti e per questo ci stiamo avvalendo della consulenza di esperti della materia. Del resto per comunicare in modo efficace, soprattutto ai giovani, la lezione frontale non funziona più. Quindi a nostro parere andrebbero promossi contenuti informativi interattivi e multimediali per orientare gli interessi dei giovani verso la pace e la solidarietà e una conoscenza meno polarizzata e più neutrale dell’argomento:  seconda guerra mondiale. C’è una parte del questionario che pone in modo indiretto  interrogativi in tal senso e i cui risultati  sottoporremo agli esperti di new media per capire come meglio usare questi specifici strumenti.  Non bisogna credere che sui social vengano veicolate solo false notizie o discorsi d’odio. Riuscendo a comprendere il corretto uso di questi strumenti e attraverso  le competenze e le modalità appropriate  messaggi come questi possono essere veicolati con grande incisività sul target giusto attraverso questi ambienti informativi.

 

 

 

Quello che questa ricerca si pone fra i suoi obiettivi principali è di promuovere la pace sociale attraverso l’uso di sistemi di informazione,  di istruzione,  di narrativa storica consolidata più neutrali, più inclusivi, più favorevoli:  la pace sociale. Confidando inoltre di essere  in grado proprio  con l’aiuto dei giovani che queste tematiche le studiano a scuola,  di riuscire a far passare anche sui social un messaggio di riconciliazione e non di distruzione.

 

 

Un obiettivo ambizioso in cui crediamo tanto. Se questo non accadesse vorremmo sperare in ogni caso di essere riusciti comunque a porre l’accento su questo delicato tema in modo costruttivo.

 

 

 

Una volta conclusa la raccolta dei dati realizzeremo un documentario che racconti passo passo tutta la realizzazione di questo progetto di ricerca. Parallelamente saranno realizzati una serie di articoli scientifici sulla ricerca da pubblicare su media e  canali specializzati. Inoltre realizzeremo nei Paesi interessati alla ricerca incontri pubblici e workshop per confrontarci e analizzare i risultati dello studio ” .

 

 

Dal nostro punti di vista ringraziando Claudia Astarita per l’intervista e l’ottimo lavoro proveremo a tenerVi informati sullo sviluppo della ricerca e sulle tappe di avvicinamento per la divulgazione dei risultati dello studio che speriamo possano riguardarci anche personalmente, magari dentro uno dei nostri prossimi appuntamenti digit. Qui di seguito trovate il link al questionario della ricerca:

 

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfDj07M0nzXogxgypGDqrD1QlXQ-knplxGU8lRsGVbVDAqibg/viewform

 

 

 

 

 

 

 

 

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