Generali non saprei, forse sergenti maggiori
Partiti con gran fragore di zoccoli e tintinnio di spade alla fine di marzo dell’anno corrente, il 25 per l’esattezza, con una mega convocazione pubblica in diretta streaming presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri cui hanno preso parte nell’ordine: il premier Conte, il sottosegretario all’editoria Vito Crimi, il Capo Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Ferruccio Sepe, e alti esponenti della Federazione Italiana Editori Giornali, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Ordine dei Giornalisti, Associazione Nazionale Stampa Online, Unione Stampa Periodica Italiana e Utenti Pubblicità Associati. Gli Stati Generali dell’editoria si sono consumati mese dopo mese, incontro dopo incontro, nel generale silenzio-assenso, fino all’ultimo convegno sul tema tenutosi il 4 luglio scorso alle ore 10 presso la Nuova Aula dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati. Un incontro finale dedicato alle proposte dei giornalisti. Un ultimo appuntamento, quello con i giornalisti, che ha deluso tutti, Crimi per primo, come ha dichiarato lo stesso vice ministro al termine del convegno durante il suo intervento conclusivo. Un appuntamento al quale i rappresentanti delle istituzioni del giornalismo: Ordine e Sindacato, hanno deciso di non partecipare. A deludere particolarmente è stata certo la mancata presenza dei rappresentanti delle istituzioni del giornalismo, ma anche la scarsa presenza di pubblico, ovvero di giornalisti. Sulla scarsa partecipazione dei colleghi vorremmo azzardare una spiegazione, peraltro non richiesta. Il mercato del lavoro professionale in ambito giornalistico è composto da un universo di circa 110 mila persone di cui; gli assunti, i dipendenti, assommano a non più di 15 mila persone. I dati sono dell’Inpgi che proprio a causa di questi dati “terrificanti” rischia il collasso. L’ultimo bilancio dell’ente è stato chiuso, per la prima volta nella storia dell’istituto, in passivo. Dunque se l’85% degli iscritti all’Ordine dei giornalisti è free lance o meglio precario, o comunque non contrattualizzato, come è possibile pensare di far saltare una o più giornate di lavoro a queste persone, e di farli venire a proprie spese a Roma per partecipare agli Stati generali dell’informazione? A questo proposito e a chiarimento di cosa significhi - se ce ne fosse ancora bisogno - essere un precario/free lance/libero professionista nel giornalismo; arriva questa considerazione personale condivisa su facebook dalla collega giornalista Chiara Baldi:
Spesso mi chiedono come si fa a lavorare e vivere da freelance. Onestamente non lo so, nel senso che non credo esista una regola o un insieme di regole – salvo: prendere tanti calmanti – penso semplicemente che ognuno trovi la quadra come può, come riesce. Spesso mi capita anche di parlarne con colleghi e mi rendo conto che dopo un po’ non c’è manco più tanto da dire, da sviscerare, i discorsi son sempre quelli e, a parte qualche illustre giornalista con qualche ruolo che pare non volerli comprendere, direi che ormai il tema del precariato giornalistico è più che sdoganato.
Ma oggi mi è successa una cosa, banale, che può capitare a tutti in qualsiasi momento, e ve la voglio raccontare perché per me spiega più di mille altri discorsi che cosa voglia dire oggi lavorare come giornalista freelance, cioè precario, cioè mal pagato e sempre lì a contare se manca qualche euro nei pagamenti a fine mese.
Premessa: ho un’auto che mi ha regalato mio padre anni fa a patto che qualsiasi cosa riguardasse il mezzo, qualsiasi problema, qualsiasi impiccio, fosse a carico mio. All’epoca vivevo a Roma, l’auto mi era comoda per spostarmi sia in città ma anche per tornare in Toscana evitandomi la scocciatura del treno (che non arriva a Sansepolcro – e grazie sempre Italia!). Vabbè, quindi, da qualche anno ho questa macchina che alla fine mi sono portata a Milano e devo dire che, salvo ogni maggio in cui mi dissanguo per pagare l’assicurazione e il bollo, le cose sono più o meno andate sempre bene: io mi prendo cura di lei e lei, in cambio, non mi svena. Fino a dicembre, quando nel quadro si è accesa una inquietante spia del motore. Per via della mia ansia ho subito spulciato il libretto e portato, il giorno dopo, la macchina dal meccanico. Primo responso: è una cosa che riguarda l’inquinamento. Passa qualche giorno e la spia si spegne. Per circa tre mesi non si riaccende più. Poi in primavera ricompare e a quel punto, dato che dovevo fare anche la revisione (sempre a maggio, tanto per non farsi mancare nulla), ho preso appuntamento a un Centro Citroën per capire cosa fosse. Responso numero due: oltre alla revisione (90 euro), devi fare il tagliando (350 euro!) e devi cambiare il catalizzatore, che costa 870 euro. Totale: 1300 e rotti euro.
Sudo freddo.
Avevo già pagato bollo e assicurazione, ci mancava solo questa. Prendo tempo, decido di consultare un centro a Sansepolcro che altre volte mi ha fatto il tagliando.
Oggi porto la macchina. Responso numero 3: il tagliando costa 100 euro in meno e… il catalizzatore non va cambiato perché è più che apposto!
Confesso – senza imbarazzo – che per qualche secondo mi sono tremate le gambe e mi sono commossa. Sarà stata la tensione, per carità , sarà stato il crollo di adrenalina di sei mesi a pensare quanto avrei dovuto sborsare… ma davvero questa è stata la notizia più bella della settimana. Perché se sei precario quello che succede è questo: che passi le tue giornate, le tue settimane, i tuoi mesi a organizzare nel dettaglio tutto, a controllare che le spese non superino le entrate e quando qualcosa va storto sei fottuto. Anche un piccolo imprevisto – tipo: l’auto che dopo sei anni deve cambiare un pezzo – che per gli altri può essere al massimo una rottura, per te diventa un vero grattacapo. Di quelli che ti fanno dire: ok, o cambio sto pezzo o vado in vacanza per due settimane invece che per una.
Questo per dire che quando vi trovate davanti un freelance – che poi è un precario – dovete essere gentili sempre, perché chissà quali immani rotture di coglioni gli sono capitate quel giorno
E se ancora non bastasse, ma direi che dovrebbe, come mai – ci domandiamo - proprio il movimento politico che professa la democrazia diretta e ne fa una propria cifra stilistica, e usa in maniera smart il web e le risorse digitali – vedi la piattaforma Rousseau ad esempio – non ha messo in campo le proprie risorse e competenze, per cercare di raggiungere il numero maggiore di persone possibili, affinché si realizzasse per davvero questo circolo virtuoso della democrazia diretta – direttamente esercitata dalle persone senza intermediari – a favore in questo caso dei giornalisti? Primi e più diretti interessati, fra tutti i professionisti coinvolti, nella prossima riforma dell’informazione che questi colloqui pubblici denominati Stati generali dell’editoria dovranno arrivare infine a far produrre dal Governo in carica?
L’idea generale che ci siamo fatti è che nulla sia davvero successo, nulla di particolarmente importante o decisivo sia emerso da tutti questi incontri. Soprattutto nessuno ha davvero provato a sbrogliare la matassa della “vera” o “presunta” crisi del settore, e tutti hanno invece, più o meno diligentemente, raccontato la propria posizione, riportato il proprio stato, ragionato a voce alta sull’andamento della propria attività . Del resto i meccanismi della democrazia diretta propugnati e sostenuti dal Movimento 5 Stelle di cui il vice ministro Crimi è esponente di spicco, questo prevedevano, non altro, se abbiamo ben capito? Una ricognizione live con tutte le parti interessate, per accumulare spunti, pareri, idee e opinioni durante tutti questi incontri. Va anche ricordato che insieme ai convegni organizzati c’è stata anche una raccolta online di pareri, proposte e documenti vari, aperta a tutti: esperti, addetti ai lavori e cittadini “semplici”; che si è svolta parallelamente sul sito del dipartimento per l’editoria e l’informazione del ministero. E che ha portato alla raccolta di circa 800 proposte, 150 dagli addetti ai lavori e il resto da privati. In ogni caso, e al di là della nostra personalissima idea, sapremo presto come è andata a finire, visto che la conclusione di questo percorso di consultazioni pubbliche, è già stato fissato ed annunciato. La fase finale degli Stati generali si terrà il 19 e il 20 ottobre prossimi a Torino. Un ultimo incontro pubblico aperto a tutti in cui saranno – immaginiamo – formalizzate, le conclusioni del percorso di indagine intrapreso in questi mesi. Quello che è già  successo e che abbiamo visto accadere, scandito e riportato con dovizia di particolari su siti online, giornali, e radio e tv, è stata invece, la vicenda del finanziamento pubblico a Radio Radicale: revocato in prima istanza dal Governo, e poi nuovamente concesso, sotto altra forma, grazie all’approvazione di un emendamento presentato dal Pd e approvato dalla Commissione Bilancio e Finanze della Camera. Va detto che sulla questione Radio Radicale e a difesa del finanziamento pubblico alla radio, avevano preso posizione in molti. Sia esponenti della politic,a sia della società civile e del mondo del giornalismo e delle istituzioni, ma anche molte persone comuni. Una vicenda finita in questo modo grazie ai voti degli alleati di Governo del Movimento 5 Stelle.
Un’altra storia parallela – e convergente – con gli Stati generali, che in questi mesi ha vissuto momenti di grande tensione e pathos, ha riguardato proprio l’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani. L’Inpgi a rischio commissariamento, necessita di una riforma che i vertici stessi dell’istituto hanno presentato e che prevede l’allargamento della base dei propri iscritti anche ad altre categorie professionali, in particolare ai comunicatori, come si legge in un dossier recentemente diffuso dall’Inpgi stessa:
E proprio analizzando i processi di trasformazione in atto nel mondo della professione giornalistica che si è nitidamente individuato il principale fenomeno che sta determinando l’erosione della platea assicurata presso l’ente e che consiste nella progressiva migrazione dell’informazione verso forme e canali di comunicazione sempre meno legati al sistema dei media tradizionali. Al giornalismo, inteso come attività di raccolta, analisi, diffusione e commento di fatti e notizie, rivolta verso la pubblica opinione, si sta da tempo affiancando – fino quasi a cedere il passo – una nuova tipologia di interlocuzione con il pubblico i cui canoni essenziali differiscono, in quanto sempre più influenzati dalla finalità di confezionare e orientare il messaggio informativo verso esigenze di specifico interesse dei committenti. E’ il mondo della comunicazione, improntato a diffondere – con qualunque mezzo di interazione interpersonale e avvalendosi, in particolare, delle nuove tecnologie telematiche e digitali – messaggi finalizzati non tanto a “informare e formare†l’opinione pubblica quanto, piuttosto, a rappresentare e promuovere l’immagine e la reputazione – di una Istituzione, di una libera associazione espressione di pensiero ovvero di un operatore economico, di un brand, ecc – veicolando valori positivi da associare agli stessi “committentiâ€. In tale scenario si sono, nel corso del tempo, sempre più affermate e consolidate nuove figure professionali, talvolta altamente specializzate, di operatori qualificati nell’utilizzo delle tecniche e degli strumenti di comunicazione, nell’ambito delle quali hanno spesso trovato collocazione – quasi “riciclandosi†– anche giornalisti iscritti al relativo albo professionale, in quanto spesso dotati delle competenze necessarie a sviluppare tali nuove attività .
I nuovi operatori di questo settore, sussumibili nella figura del “comunicatore professionale†e inquadrabili giuridicamente nel contesto delle professioni non regolamentate in albi di cui alla legge 14 gennaio 2013 n. 4, al D.lgs. n. 13 del 16 gennaio 2013 e alla norma UNI 11483, sono identificabili mediante l’individuazione del perimetro di attività che vengono concretamente svolte dagli stessi, secondo un percorso giuridico argomentativo del tutto analogo a quello che, nel corso degli anni, è stato elaborato in ambito giornalistico.
E’ sempre più evidente l’assoluta osmosi presente tra i due ambiti di attività , che determina con sempre maggiore frequenza – sul piano concreto – una interazione sinergica tra le due funzioni. Appare, pertanto, in primo luogo, coerente con il quadro che emerge dall’analisi del sottostante tessuto socio economico, intercettare tale forma di stretta interazione tra le due figure professionali riconducendole entrambe nell’alveo di un medesimo ente di previdenza in grado di garantire, in armonia con il sistema generale, livelli di welfare “customizzati†verso platee affini sia in termini di realtà e contesti lavorativi che, quindi, di specifiche esigenze di tutela. L’inclusione dei comunicatori nella platea degli iscritti all’INPGI, pertanto, oltre a garantire – così come certificato dalle proiezioni tecnico attuariali elaborate da esperti indipendenti – quella modifica strutturale in grado di assicurare l’equilibrio finanziario nel medio lungo periodo della gestione previdenziale, costituisce una straordinaria occasione per intercettare e governare in anticipo un fenomeno – quello delle nuove forme di comunicazione e informazione – che svilupperà inevitabilmente esigenze di welfare specifico di settore che difficilmente potranno trovare adeguate risposte nell’ambito del sistema generale, per definizione ontologicamente rivolto a soddisfare istanze di tutela di più ampio raggio.
Ma l’iter di allargamento al momento è ancora bloccato e l’ultimo pronunciamento ufficiale sull’ente contenuto in un emendamento dal Decreto Crescita approvato dall’esecutivo prevede altri 12 mesi di tempo per l’Inpgi per affrontare la propria crisi e mettere a punto interventi che riportino stabilità , a fronte però di una sospensione alla procedura di commissariamento dell’istituto medesimo, di “soli” 4 mesi, fino ad ottobre prossimo. Come fare dunque? Anche perchè, per quanto riguarda l’allargamento della platea degli iscritti, le notizie sono contraddittorie e prevedono un ok di massima dell’esecutivo ma nessun finanziamento per renderla esecutiva prima dei prossimi 4 anni. Staremo a vedere. Intanto registriamo che come accaduto per Radio Radicale anche sul caso dell’Inpgi le forze di Governo non sono schierate in modo uniforme. Noi nel nostro piccolo laboratorio proveremo ad analizzare nelle prossime settimane tutto quello che è emerso durante gli incontri pubblici degli Stati generali dell’editoria. Appuntamento per appuntamento. E in una serie di prossimi articoli proveremo a riportarVi, come sempre, la sintesi di quegli incontri, attraverso brevi estratti e resoconti degli interventi, a nostro avviso, più significativi. Nel salutarVi ringraziandoVi come sempre per l’attenzione e la pazienza vorremmo prendere a prestito un estratto da un pezzo di commento all’ultimo incontro degli Stati generali dell’editoria scritto dal collega e amico Stefano Tesi sul suo blog Alta Fedeltà all’indomani dell’incontro. Un breve estratto che a nostro avviso ben sintetizza alcuni degli atavici problemi della nostra categoria:
In questo contesto fluttuano editori che più o meno furbescamente hanno usato contributi statali e stati di crisi per abbattere il costo del lavoro e quindi l’occupazione giornalistica, anzichè aumentarla, e un equo compenso che, ridotto a strumento per giochini interni tra istituzioni e parrocchie giornalistiche, aleggia come un fantasma in attesa della riconvocazione della più volte evocata commissione. Nelle more, il paradosso di una professione ordinistica, la nostra, che però si dilettantizza ogni giorno di più perdendo uno dopo l’altro i connotati della professionalità .
Ma prima di chiudere del tutto questa prima nostra trattazione dedicata agli Stati generali dell’editoria vorremmo anticiparVi un documento di una delle molteplici parti in causa. Un documento sottoscritto nella specifica dai Fotoreporter Professionisti Associati FPA e da loro inviato al dipartimento dell’editoria e dell’informazione nell’ambito degli Stati generali. Lungi da noi voler esprimere giudizi di merito e soprattutto riferirci in particolare a questo specifico documento. Però non possiamo non notare che come spesso accade anche in questa richiesta si procede per esclusioni, limitazioni, privazioni, suggerendo non di comprendere cosa stia realmente accadendo, o formulando richieste di aiuto e sostegno per comprendere, ma suggerendo all’esecutivo di inserire nuovi paletti, recinti e regole in un settore già di per sè assai complesso. Regole per tutelare una professione certo. Ma permetteteci, in questo totale marasma che è la rivoluzione epocale in cui siamo tutti piombati, prima di recintare ulteriormente spazi già molto stretti non sarebbe meglio provare a comprendere tutti insieme il profondo cambiamento in atto? In particolare vorremmo segnalarVi un passaggio del testo a nostro avviso particolarmente emblematico e che ci provoca grande sconforto, e sul quale invitiamo tutti a riflettere, commentare e/o suggerire risposte e alternative.
Grazie e a presto:
E’ necessario sia vietata l’alterazione dei metadati ed impedito il download con tasto destro del mouse
Marco Renzi
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