Scrive fra le altre cose Francesco Marino:
Il Corona virus è, per la mia generazione, – di trentenni - un evento di cesura forte, un evento che potrebbe rappresentare — auspicabilmente e al netto delle conseguenze economiche — la possibilità di avere un dopoguerra, un momento dal quale ripartire e ricostruire.
La notizia, però, è che una narrazione davvero condivisa non esiste.
In altre parole, non stiamo vivendo la stessa pandemia.
La rivista americana The Atlantic ha condotto un sondaggio proponendo a un campione di statunitensi 22 delle teorie del complotto più accreditate su Internet in queste settimane. Il 91% degli intervistati si è detto d’accordo con almeno una delle spiegazioni proposte per la pandemia.
Almeno una.
Di che cosa parliamo quando parliamo di Corona virus? Parliamo di una serie di cose diverse, con spiegazioni, colpevoli e cattivi differenti. Anche all’interno del mondo delle teorie del complotto.
Secondo un bellissimo articolo dell’editorial board del New York Times, il Corona virus deve essere un’occasione per ripensare il concetto di città , intesa come comunità di persone che condividono spazi fisici e servizi.
… lo spazio digitale non costruisce comunità . Ognuno sceglie le fonti da seguire, ognuno, anche involontariamente, è esposto a informazioni simili tra di loro, che l’algoritmo considera più adatte a lui. E continua a confrontarsi solo ed esclusivamente con le persone che conosceva prima, con le persone che gli sono in qualche modo vicine…
Il Corona virus, finora, ha solo amplificato quanto già vivevamo, velocizzando processi sociali già in corso da molti anni.
… se c’è davvero qualcosa da ricostruire quello è il nostro senso di comunità , la nostra capacità di uscire da qualunque tipo di bolla…
Solo così possiamo pensare di uscirne migliori
Fino a qui l’articolo, in sintesi e per punti salienti – a nostro insindacabile giudizio – scritto qualche giorno fa da Francesco
UNO
E’ vero che l’esperienza della pandemia è singolare e influenzata dalle diverse narrazioni e che, purtroppo, non pare essere un reale spartiacque, una concreta ripartenza intesa come ristrutturazione della società . E’ facile cadere nell’errore da molti paventato e riportato anche nel pezzo di Marino, quando si analizzano in modo Usa-centrico le esperienze, i dati socioeconomici e le reazioni delle persone alle fake news. La pandemia è democratica, nel senso che colpisce tutte le classi sociali, seppur con importanti differenze, sarà un’opportunità non colta se non sapremo riformare il tutto. Anche spostando il baricentro da cui partire per le analisi.
DUE
Il problema delle bolle cognitive esiste da decenni, da quando i social media hanno fatto capolino, ed è ciò che ha portato a quella che è stata definita l’era della post verità , ossia il momento in cui non è più possibile basarsi su una narrazione unica, condivisa della realtà . Roba vecchia di dieci anni. Purtroppo l’epoca della post verità non è anche l’epoca del dubbio, che è o può essere anche spinta alla ricerca di una verità personale, quanto piuttosto l’epoca delle mille verità personali, interscambiabili e identitarie come i brand. Questa estrema disponibilità di verità indirizzate al proprio target è alla base di tutti i movimenti post ideologici, come quelli “sovranisti”, che pur nella loro inconsapevolezza politica risultano tutti invariabilmente reazionari nelle loro conseguenze.
Quindi l’idea di ripartire da una narrazione condivisa richiederebbe, nell’ordine, la sparizione dei social media come li conosciamo e la re-imposizione di una narrazione “dall’alto”, su base teologica o ideologica, cosa difficile e anche un tantino pericolosa, a seconda della ideologia.
Resto della idea che senza una classe di intellettuali veri, capaci di inquadrare l’esistente in una weltanschauung coerente e con una visione chiara dei futuri possibili, non potremo indirizzare il cambiamento in atto.
Gli algoritmi, le AI, l’eliminazione del lavoro come paradigma di distribuzione delle ricchezze, la teologia del denaro ereditata dal calvinismo sono già “ieri”, occorre capire quali sono i mondi che possono scaturire da questo brodo primordiale e come noi, farfalle, possiamo sbattere le ali perché il risultato sia l’uno invece dell’altro.
TRE
Una bellissima riflessione. Questa pandemia – se possibile – sta dividendo ancora di più le comunità . Di qui l’appello a ricostruirle. Vivo però, da un punto di vista personale, questo appello in modo molto contraddittorio. Perché è vero che questa situazione ha accelerato un processo già in atto (sui social è bastato l’evento del ritorno in patria di Silvia Romano, per tornare a prima, addirittura a peggio di prima, se penso al sasso che hanno lanciato contro la sua finestra). E quindi, la pandemia, dal mio punto di vista, ha svelato aspetti delle persone che non mi piacciono.
Ma questo a me fa pensare alla voglia che ho di staccarmi da queste persone, non fa venire voglia di ricostruire con loro una comunità .
Questa cosa mi sta mettendo parecchio in crisi.
QUATTRO
Non conteniamo moltitudini, questa è un’idea romantica (non a caso la citazione da Whitman). Se così fosse non esisterebbero la grande distribuzione, gli exit poll, i target di riferimento, la religione, e via dicendo all’infinito. Come ormai definito dalle psico-socio-etnologie varie, ma soprattutto dai libri segreti dei pubblicitari, siamo solo “sette” persone. Tutto il resto sono sbrodolature di fuffa spalmate sopra una realtà che non ci permette di essere qualcosa che ci piacerebbe essere, ma che non siamo, purtroppo. Da questo evento ne usciremo come sempre. Intatti nella nostra natura. Che conosciamo bene e non concepisce il riscatto.
CINQUE
Penso che sia una delle infinite riflessioni che faremo o leggeremo nei prossimi mesi. Sarà interessante vedere come le sensibilità muteranno col tempo.
SEI
Sono d’accordo con l’idea che questa crisi potrebbe, dovrebbe, portarci a riflettere sul nostro modo di vivere e di interagire col prossimo tuttavia, quello che mi preoccupa davvero è la tendenza ormai generalizzata di preferire fonti di informazioni sfacciatamente faziose, e filtrare quelle neutre in maniera da farle diventare altrettanto surreali.
Io non vedo come sia possibile metterci al riparo da questa tendenza, ma vedo anche che questo atteggiamento estremamente controproducente ci porterà inevitabilmente a fare o a sostenere scelte sbagliate.
Credendo nell’istruzione, penso sia necessario tornare nelle scuole e puntare a far capire ai ragazzi l’importanza di analizzare i fatti in maniera neutrale, senza arrivare a conclusioni affrettate senza avere le prove. Ma siamo sicuri che gli insegnanti siano in grado di trasmettere questo messaggio?
Io lo faccio sempre, ma vengo regolarmente accusata di essere una spia del governo cinese da almeno il 20% della classe.
SETTE
Sono combattuta dopo aver letto l’articolo. Da una parte ha ragione, dall’altra, se penso a me, sono diventata un’eremita e non ho voglia di tornare a come ero prima. Non voglio incontrare gente, soprattutto, perché questa pandemia ha messo in luce il peggio delle persone. Ovviamente sto generalizzando. E vorrei poter fondare una piccola utopia in cui poter stare, attorniata, solo di persone sensibili e “umane”.
La community “digitale”, quella globale e capillarmente diffusa ovunque, viene spesso ridotta ad un chiacchiericcio diffuso e irritante su questioni di scarsa rilevanza come le “fake news” o “la polarizzazione“, mentre invece è, o almeno potrebbe essere, uno strumento di rara potenza al servizio della democrazia e della conoscenza. Quello che non dovrebbe succedere -  dal nostro punto di vista - è di confondere il concetto di comunità con quello di community, che la rivoluzione digitale ci ha consegnato recentemente. Il concetto di community è talmente potente, e contiene una mole così ingente di elementi positivi, che ogni passaggio teso a banalizzarlo, demonizzarlo, o peggio che mai a non comprenderlo; è davvero una inutile perdita di tempo, e sopratutto un modo molto stupido, di farsi del male, quando invece