Fase due e giornalismo
Cosa c’entra il giornalismo con la discussione principale su ogni bacheca social italica in corso in questo momento? Sappiamo tutti, o almeno dovremmo, cosa sia la cosiddetta “fase due”. Ognuno di noi, più o meno, si è espresso a piacimento sul tema, in attesa che diventi la “nostra” realtà di vita, a partire dal fatidico discorso del premier Conte in diretta televisiva qualche giorno fa. Da allora “fase due” e “giornalismo”, a nostro giudizio, sono divenuti letteralmente sinonimi. Ogni particolare, detto, e ancora da dire, dell’emergenza “virus”, e della seconda parte della gestione amministrativo/economico/politica della medesima, da parte del Governo del nostro Paese: starà proprio dentro la narrazione che di esso sarà fatta dagli organi di informazione. O almeno una parte di essa. Mentre l’altra, invece, la troveremo e la troviamo, nel racconto “disintermediato” e “liberamente” redatto e composto da ciascuno di noi, dentro i media sociali, le piattaforme, i siti, i blog – che secondo il disclaimer non sono testate giornalistiche – eccetera, eccetera, e che si trovano online. Due mondi, e due facce della stessa medaglia? May be, or may be not. La medaglia è unica e la faccia è una sola. E proprio i media mainstream dovrebbero comprenderlo, e invece non lo fanno, nemmeno ora. Anzi. Questo nostro essere chiusi e in clausura ha riattivato, come avevamo già sottolineato alcuni articoli fa, la rivincita della stampa “professionale”. La restaurazione – presunta e davvero poco realistica – dei media mainstream sopra ogni cosa. Un afflato reazionario che secondo molti esperti e competenti colleghi - uno fra tutti Marco Bardazzi con cui ci siamo confrontanti anche pubblicamente – in realtà segna proprio la fine, in modo assoluto e non più trattabile,
“se c’è una cosa che la pandemia ci sta insegnando, è che è meglio dire subito tutta la nuda verità , con trasparenza, e chiudere quel che c’è da chiudere per evitare i contagi. Se si vorrà preservare un’informazione di qualità e un nuovo ecosistema giornalistico sostenibile, purtroppo tra brevissimo tempo sarà necessario riconoscere che la carta è oggi la “zona rossa†del giornalismo”.
del giornalismo “non coerente” con il tempo e il mondo in cui viviamo.
“Il giornalismo non è neanche più primario dove dovrebbe esserlo, nelle imprese editoriali, nei grandi media, nei giornali, nei siti, nelle tv.
Allora su tutto questo sommovimento avvenuto e operante, sto avanzando da tre anni ovvie e naturali proposte, in diverse forme capaci di avere più giornalismo, dentro e fuori. Il giornalismo non può sopravvivere senza allargarsi, andando a responsabilizzare in rete chi fa informazione, i comunicatori, i non comunicatori, quelli che fanno i siti”.
Oltretutto, viene da sorridere, nel vedere come trattano la questione dentro le redazioni mainstream, usando a piene mani le dichiarazioni di tutti i politici e gli amministratori -Â primo fra tutti il nostro Presidente del Consiglio – diffuse via account social, nella fattispecie facebook, dai medesimi, Conte in testa.
Più che di giornalismo e di disintermediazione, servirebbe urgentemente coniare un terzo tipo di definizione plausibile per questo genere di pratica professionale, ben diversa dal giornalismo – comunque lo si voglia considerare – qualcuno ha qualche suggerimento o idea? Un tempo si parlava di “veline”, spacciate per notizie. Oggi come le definiremmo, perché come risulta evidente a molti, non siamo più dentro l’epoca dei comunicati stampa riciclati come notizie, senza nemmeno cambiare una virgola. Qui la notizia non esiste proprio. O meglio, nessuno si sforza di andarla a cercare, la notizia, dentro a queste propagandistiche dichiarazioni. E il ruolo del giornalismo non è certo questo. Non lo è mai stato, intendiamoci, ma adesso, confondendo la funzione giornalistica, con questo: non si capisce bene cosa, rischiamo di farlo estinguere del tutto: il nostro settore. Nessuno fa più nulla e tutti urlano contro tutti, mentre i buoi non solo sono usciti dalla stalla, ma l’hanno comprata, rasa al suolo, e trasformata in Spa, in cui sono tornati a vivere: prosperi e felici.
A proposito di questo dualismo comunicativo, fra voce della rete e giornalismo mainstream, la nostra – come sempre – non vuole essere un’affermazione, ma soltanto una constatazione , che ora proveremo a suffragare con alcune osservazioni, estraendo materiali e testimonianze da dentro l’ecosistema. Partiamo proprio dal web disintermediato. E prendiamo in prestito alcune delle reazioni più o meno scomposte, pubblicate nelle ultime ore sulle bacheche delle nostre “cerchie” – a Google Plus questo avrebbe fatto molto piacere, approfittiamone per inviare un saluto composto in ricordo del social che non c’è più - nei nostri gruppi, dagli amici di tastiera non più di penna o di matita. Di tutti coloro che per motivi “algoritmici” e “filter bubblosi o bubblevoli”, stanno nelle nostre camere dell’eco e ci tartassano o ci deliziano, di commenti più o meno in tema. Estraiamo un campione significativo di alcuni di questi commenti sulla “fase due”, – sapete come fare no? #fasedue – freschi freschi dalle nostre bacheche social e buon divertimento: n.b. i commenti, post, tweet, etc.etc. saranno acclusi in forma rigorosamente anonima per non influenzare in alcun modo le vostre riflessioni sul tema (n.d.r.)
Un paese che parla di calcio e non di università è un paese pieno di palle, intese come coglioni#Conte: “Gli altri Paesi ci stanno chiedendo copia del provvedimento”. #KimJungUn: “Ahahahahahah muoio” #FaseDue
#Sicurezza vuol dire investimenti, soprattutto in formazione. Altrimenti “ripartire in sicurezza” è solo uno slogan vuoto #COVID19italia #FaseDueSe abbiamo problemi, vuol dire che siamo VIVI. Quindi le restrizioni della #FaseDue le osservo. Non voglio nuovi ammalati,nè tra i miei cari,nè tra gli altri. Nel frattempo posso diventare parrucchiera, sarta, cuoca, barista ecc. in casa per me. Basta lagnarsi! E la chiudo qua.
1) Sul sito di una importante emittente televisiva nazionale tutti i pezzi dedicati alla fase due riportavano solo e soltanto pareri governativi o filo-governativi: si parte da Palazzo Chigi, per andare a sentire esperti delle varie task force, commissari straordinari, governatori regionali, sindaci, prefetti, sindacati e associazioni di categoria.2) Il sito di un importante quotidiano al momento della scrittura del nostro pezzo rispetto alla prossima apertura del 4 maggio riporta nel pezzo d’apertura: la questione dei “congiunti”, e le spiegazioni e le indicazioni contenute nel DPCM; in altro box troviamo il parere di un ministro; poi il parere di un sindaco sui redditi d’emergenza e la loro gestione; inoltre tre pezzi diversi sulla questione economica durante e dopo il virus; a conclusione un pezzo sui lavoratori di nuovo in azienda dal 4 maggio.3) Sul sito di una grande radio nazionale, sempre al momento della scrittura del nostro pezzo, troviamo 5 news, tutte dedicate all’epidemia: si apre con “quattro buone notizie da un paese estero in attesa della fase due”; si prosegue con un pezzo di sport: calcio mercato e decisioni per il campionato ai tempi del virus; e poi un’intervista con un cantante famoso su: virus e suoi derivati; il titolo successivo è dedicato ad “assenza di rumore e benessere”, partendo dalle considerazioni sulla quarantena obbligatoria; e infine in chiusura, un pezzo su come la pandemia e la reclusione in casa abbiano aumentato il nostro stare online.
La modernità (iper)complessa, sconvolge, nel profondo, processi, assetti, gerarchie, vissuti: è il tempo dell’eterno presente, con la sua esperienza sempre più frammentaria che incrina le certezze del Soggetto, determinando un processo di sradicamento produttore di anomia.
In quel momento è venuto meno, per dirla con Habermas, (Teoria dell’agire comunicativo 1986), quel livello di mediazione tra sistema e mondo della vita che si fonda su un agire comunicativo in grado di tematizzare criticamente istanze sociali e opinioni, generatesi all’interno del mondo della vita e della società civile, dando loro piena legittimità oltre che rilevanza pubblica.
All’interno dei moderni sistemi sociali complessi, le dimensioni della comunicazione e della produzione sociale di conoscenza hanno assunto una rilevanza straordinaria anche se spetta ancora alla Politica, nonostante la profonda crisi in cui versa, individuare ed elaborare le strategie più adeguate per fare in modo che tutti i soggetti siano realmente inclusi, contrastando quella percezione diffusa di isolamento caotico ma anche di vulnerabilità e precarietà delle esistenze, delle appartenenze e dei vissuti sociali.
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 In termini pratici, ciò si tradurrebbe nel rafforzamento di un’opinione pubblica (locale e globale) sempre più critica e informata e, per questa ragione, sempre più partecipe e destinataria attiva delle scelte della Politica e del bene comune.
Perdonateci ma visto che si parla di “fase due” e non solo di giornalismo, in questo nostro breve e molto incompleto excursus, permetteteci di estrarre, ancora una volta dall’ultima pubblicazione a firma del sociologo nostro associato Piero Dominici, una sua riflessione sul problema della responsabilità e della responsabilizzazione, che pare essere centrale nelle molteplici narrazioni di questo particolare periodo della nostra vita, indicato per comodità dai più, come: “fase due”, appunto.
La rivoluzione tecnologica ha definito un nuovo rapporto tra l’individuo e la norma, tra la teoria e la prassi, fornendogli, in qualche modo, l’illusione di essere assoluto sovrano e padrone delle proprie scelte, con il rischio di non tenere nella dovuta considerazione, le interazioni, le interdipendenze sociali e le comunità di appartenenza. Diviene così urgente, ma allo stesso tempo problematica, la questione che Hans Jonas ben sintetizza nel concetto di autodeterminazione responsabile: un concetto probabilmente in grado di colmare il grande vuoto esistente tra le idee di autonomia e interdipendenza. In altri termini, il problema della responsabilità si pone nel momento stesso in cui esistono infinite possibilità legate al potere di agire, di scegliere e di comunicare o, in alternativa, di non comunicare (impossibile?). La responsabilità è un concetto relazionale (risponde alla logica del Noi) ed è quel principio universale che permette all’individuo di limitare le proprie possibilità di potere e di influenza sugli altri: agire e, di conseguenza comunicare, in modo responsabile significa allora accordare la massima importanza alle relazioni sociali di interdipendenza che ci legano agli altri, in una sorta di etica che potremmo definire interattiva, tutta basata su una comunicazione che consideri soprattutto chi ci ascolta. Nell’atto comunicativo, ciò indica il concetto fondamentale di reciprocità , cioè il rispetto di sé e di chi comunica con noi, anche perché prima - dice Jonas: “Nessuno era ritenuto responsabile per le conseguenze involontarie di un suo atto ben intenzionato, ben ponderato e ben eseguito. La leva breve del potere umano non richiedeva la leva lunga del sapere predittivo; la brevità dell’una era tanto poco colpevole quanto quella dell’altra. Proprio perché il bene umano conosciuto nella sua universalità è lo stesso in ogni tempo, la sua realizzazione o violazione ha luogo in ogni tempo, e il suo luogo completo è sempre il presente”.
E speriamo davvero col cuore, per il benessere di tutti noi, che fase due non faccia rima con Cimabue: