E’ ancora il 2004, anno di fondazione di questo blog, e di questo gruppo di studio, ricerca e lavoro sul giornalismo che risponde al nome di Lsdi. Il nostro fondatore e mentore Pino Rea, registra altri importanti fatti, in quello scorcio dell’anno. Fatti che avranno ripercussioni fino ai giorni nostri e “oltre” per usare un eufemismo direttamente estratto dall’epica di Star Trek (si scherza). Il primo fatto, citato in un annuncio/articolo a firma proprio del nostro maestro, datato 18 settembre 2004; è la nascita/fondazione ad Ancona dell’Associazione Nazionale della Stampa Online. Dal settembre del 2004 l’acronimo Anso comincia a girare per siti, giornali, festival e convegni. Ma soprattutto le testate giornalistiche native digitali “locali e iperlocali” si riuniscono in un’aggregazione, un’associazione, un gruppo, per cominciare a contarsi e a contare “qualcosa”, nel panorama, ancora assai sbilanciato verso l’analogico, della stampa e dell’editoria “professionale”. Un innovatore, un attento osservatore dei cambiamenti, uno studioso di giornalismo come Pino Rea non poteva certo non registrare questo evento e non raccontarlo da scafato cronista, seguendo i dati, le cifre, e i numeri, da par suo:
I quotidiani telematici locali, anche se germogliati in luoghi diversi e sviluppando ognuno una propria identità , presentano delle caratteristiche comuni: vengono pubblicati esclusivamente online, si occupano di informazione a livello locale (città , regioni, a volte circuiti interregionali) e spesso hanno l’aspetto di veri e propri portali verticali.
Oltre la metà delle testate considerate ha iniziato le pubblicazioni tra il 2000 e il 2001, proprio in coincidenza dell’avvento delle connessioni gratuite ad Internet.
le testate censite, considerate nella loro totalità , hanno registrato nel mese di febbraio 2004 oltre 5 milioni di pagine viste. Questo risultato, in riferimento allo stesso mese, è stato raggiunto solo da portali di informazione nazionali come Panorama.it, Quotidianiespresso.it, Tg5.it (dati Audiweb).
Il livello di produttività quotidiano di ogni singola testata supera, nella maggior parte dei casi, le 30 notizie, che significa, su scala generale, un flusso di contenuti superiore alle 500 notizie al giorno, più di quanto fa un’agenzia di stampa nazionale.
Il fondatore e primo presidente dell’Anso è stato Luca Lorenzetti, editore online, sviluppatore di siti, formatore, e fondatore di Gomarche, uno dei primi siti di informazione iperlocale nativi digitali delle Marche. Un sito attivo ancora oggi dopo essere stato ceduto al circuito delle edizioni Vivere di Senigallia.
Ecco cosa diceva proprio Lorenzetti, ancora nel 2004, e ancora in un pezzo ripreso da Pino Rea per Lsdi, ma uscito in prima battuta su Infocity (un portale che nel corso degli anni si è trasformato e dentro al quale il link all’articolo originale “giornali online o la borsa o la vita” di Chiara Principe,  oggi non è più attivo) :
“E’ già da qualche annoche ci si è resi conto che gli italiani hanno preso l’abitudine di utilizzare il web come primo strumento di informazione. Ma chiedere al lettore di pagare per l’informazione, su Internet, non sarà la ricetta che permetterà all’editoria online di trovare il suo vero modello di business.”
Profezia quanto mai esatta, a giudicare da quello che è successo – o meglio – non è successo in tutti gli anni che sono seguiti. Non vi pare? L’estratto delle dichiarazioni di Lorenzetti proviene da un pezzo di archivio di Lsdi del 20 settembre del 2004 – ancora a firma del nostro fondatore - in cui sulla scorta dei dati dell’osservatorio di Ipse.com si fa il punto sull’andamento dei siti di informazione online: all’epoca, veri, nuovi e importanti agenti del cambiamento in corso nel settore dell’editoria di informazione dentro alla rivoluzione digitale. I risultati completi della ricerca sono ancora consultabili a questo link ancora attivo e funzionante : https://www.ipse.com/osserva/osserva03-4.html, noi come sempre estraiamo un breve passaggio che ci sembra particolarmente significativo dalla ricerca di Ipse.com:
Secondo le rilevazioni di Ipse.com, le testate online più numerose sono quelle di cronaca locale: 174 (a cui si aggiungono diverse centinaia di portali locali, all’insegna del motto un sito per ogni campanile). Al secondo posto, nei numeri, le webzine culturali (159), seguite da quelle di attualità (150), spettacolo (136), economia e finanza (122) e satira e fumetti (114).
Una rapida verifica sul sito di Ipse.com oggi, ci riporta un panorama diverso – ovviamente – composto al momento, e secondo i rilevamenti del sito in questione, da 306 quotidiani online locali. Testate, come vengono definite nel sito stesso che le ha catalogate: “I quotidiani solo online (senza edizione su carta) di attualità e cronaca locale”. Un patrimonio davvero ingente di lavoro e lavoratori, di dati e informazioni, di flussi di notizie e pubblicità , di opinioni, opinionisti, politica ed economia. Un mondo intero a cui Anso certamente offre un pulpito. Un punto di emersione e visibilità  per avere, insieme, una voce più forte, o forse solo una voce. Un universo composito che l’associazione nazionale della stampa online, a tutt’oggi, non rappresenta per intero. Un universo cui vanno aggiunti i giornali online nazionali, che sono numericamente molti meno, circa una sessantina sempre secondo il portale Ispe.com, ma che proporzionalmente assorbono forse più manodopera dei giornali locali, fra tecnici e giornalisti. Una somma di persone, cose, interessi e contenuti cui si comincia a guardare con sempre maggior attenzione – mai abbastanza purtroppo – ma che anche nei recenti – e scarsamente utili – stati generali dell’informazione, voluti dal precedente governo, è stata rappresentata, citata, e raccontata, molte e molte volte. E se allora provassimo a fare un “ardito” accostamento? Proviamo a mettere assieme queste 400 ca. testate giornalistiche nazionali e iperlocali – in realtà sono molte, ma molte di più – ma prendiamo per buono il dato censito da Ipse.com e tralasciamo ulteriori approfondimenti e riscontri e incroci fra testate – on/off line, quotidiane e periodiche, generaliste e specializzate – e aggiungiamo a questo dato quello proveniente da un’indagine europea del 2004 pubblicata in un post ad hoc anche qui a bottega, da Pino Rea, e che può essere, ancora, scaricata e consultata a questo link: https://www.lsdi.it/dossier/freelance/index1.php
Un indirizzo che porta al nostro primo – primissimo – sito. Un sito oramai off line da tempo, ma che, grazie ai più o meno misteriosi, corsi, ricorsi e rimbalzi, della tecnologia digitale e del web, è ancora parzialmente raggiungibile, consultabile e utilizzabile. Come accade, appunto, per questo dossier, che racconta – all’alba del 2004 – l’Europa, la professione giornalistica e i free lance. E spiega come il mestiere del giornalista, non sia più svolto nella maggioranza dei casi, da professionisti assunti in seno a redazioni strutturate dentro a giornali, televisioni, radio e siti web; bensì da giornalisti precari, “free lance”, autonomi, non strutturati, non garantiti, sovente senza contratto, che agiscono in autonomia. Un’autonomia – “vera” – quando si tratta di avere garanzie, soldi e appoggi – molto meno - quando si tratta di lavorare in proprio “le notizie”. Come recita un passo dell’introduzione a questa ricerca europea realizzata da Gerd Nies e Roberto Pedersini per la Federazione europea dei giornalisti:  “l’età d’oro dei giornalisti o dei reporter tradizionali che lavoravano in un ambiente sicuro e stabile è stata sostituita da una nuova fase, in cui il lavoro giornalistico o la produzione di contenuti sono sempre di più subappaltati all’esterno dagli imprenditori dei media”.
Ma osserviamo più d’appresso, la ricerca, estraendo alcuni passaggi, a nostro avviso, particolarmente significativi, dal rapporto del 2004:
ll lavoro free-lance è diventato una caratteristica preminente dell’industria mediatica e tra i giornalisti. Questa trasformazione avrà probabilmente delle conseguenze rilevanti: se i media dipendono sempre di più dal contributo dei giornalisti free-lance, l’organizzazione del lavoro giornalistico subirà dei cambiamenti rilevanti con effetti probabili sul contenuto delle relazioni professionali così come sulla rappresentanza sindacale e sulla contrattazione collettiva. Queste sfide non riguarderanno solo i sindacati, ma il settore dei media nel suo insieme e i modi di gestione standard dell’impresa giornalistica, così come la qualità e l’indipendenza dei media.
la maggior parte degli studi su questo processo partono dalla constatazione che una parte sempre crescente del lavoro non salariato è caratterizzato da livelli più deboli di protezione rispetto al lavoro dipendente, sia in termini di regolamentazione giuridica che di copertura da parte di contratti collettivi. I lavoratori indipendenti non beneficiano di livelli elevati di potere negoziale e di quelle indennità che sono legate alle professioni tradizionali, a riconoscimento delle conoscenze specifiche, dell’ alta qualificazione e, in alcuni casi, delle normative che certificano, in qualche misura, questa qualificazione e limitano l’accesso alla professione.
in un’attività così delicata come quella del giornalismo sono proprio la stabilità dei rapporti professionali e la stabilità economica che ne deriva che contribuiscono in modo significativo all’efficacia dell’indipendenza e dell’autonomia nell’esercizio di questa professione. È quindi importante garantire un quadro di regole che accordi a tutti i giornalisti, compresi i free-lance, un insieme di diritti e di protezioni fondamentali.
Sul piano delle regole, l’aumento dell’impiego dei free-lance indica una deviazione verso dei meccanismi di mercato e, di conseguenza, la necessità di un rafforzamento del potere contrattuale individuale. Quale dovrebbe essere il potere negoziale di un giornalista free-lance di fronte a un editore? In termini di rappresentanza e di contrattazione collettiva, i giornalisti free-lance sono meno sensibili all’affiliazione ai sindacati e sono generalmente meno protetti dai contratti collettivi. Come i sindacati possono far fronte a queste situazioni? Per quanto riguarda le condizioni di lavoro ed economiche, i free-lance sono in genere svantaggiati rispetto ai giornalisti salariati. Mettendo da parte qualsiasi considerazione di equità , la realtà è che essi dovrebbero avere salari più elevati dal momento che è sulle loro spalle che ricade il rischio economico-imprenditoriale della propria attività . D’altra parte, viste le caratteristiche del giornalismo (indipendenza, autonomia, competenze professionali), è particolarmente difficile stabilire una distinzione fra giornalisti indipendenti liberi, falsi o forzati. I falsi free-lance possono andare in giudizio chiedendo che sia riconosciuta la loro condizione di lavoro dipendente. Però, a parte i costi diretti, le difficoltà e le incertezze di una tale azione, le prospettive di carriera del giornalista in questione potrebbero subire delle notevoli conseguenze, specialmente se il tribunale dovesse rigettare la sua istanza. È per questo motivo che una soluzione collettiva potrebbe essere molto più efficace rispetto a interventi caso per caso. I freelance forzati costituiscono un caso ancora più difficile in termini di protezione individuale e necessitano di una risposta istituzionale. Il fatto è che la diffusione del lavoro free-lance nel giornalismo rende il quadro normativo attuale poco capace di garantire l’indipendenza, l’autonomia, delle condizioni di vita decenti e dei livelli appropriati di protezione per i giornalisti. Quindi converrebbe puntare al seguente obbiettivo: interventi legislativi per imporre un quadro di diritti fondamentali e delle misure di protezione sociale che puntino a sostenere il potere di negoziazione dei giornalisti, tanto individualmente che collettivamente, in modo di fornire al settore del giornalismo un grado di stabilità e di regolamentazione che avrebbe un effetto benefico sia sulle condizioni di lavoro che sulla qualità e l’ efficacia della produzione giornalistica.
Benvenuti nel 2004! O forse sarebbe meglio dire: dove siamo stati dal 2004 ad oggi? Dove è stato il legislatore? Dove sono stati i sindacati e le istituzioni della professione? Dove abbiamo lasciato la questione degli autonomi e dei giornalisti imprenditori – molti dei quali obbligati a diventarlo per sopravvivere – contro voglia e senza avere alcun supporto dalle istituzioni e dal sindacato. Che posto hanno in tutto questo le testate online – nazionali, locali e iperlocali – che danno lavoro a migliaia di giornalisti, molti dei quali costretti a reinventarsi un mestiere e a diventare “imprenditori”, loro malgrado? E l’ossimoro “giornalista imprenditore” in tutto questo, che posto ha, oggi come allora, dentro le scelte delle istituzioni e del sindacato? Un giornale è un’impresa collettiva, che trae garanzia e forza dalla sua indipendenza e dall’essere prodotto da un collettivo di persone “libere e indipendenti” e ben pagate; oppure è un’impresa da single? Un’azienda in cui il giornalista è anche imprenditore di se stesso, è anche editore, e decide in totale autonomia cosa pubblicare e cosa omettere? Non sentite anche Voi una terribile puzza di bruciato? E cosa è successo – a proposito di giornalismo locale e iperlocale – in quelle province, regioni, comuni in cui nessuna impresa collettiva giornalistica è sopravvissuta alla crisi e dove le notizie sono totale gestione di siti one man band o peggio di account social gestiti dagli uffici stampa degli amministratori o dagli amministratori medesimi direttamente?
(scusate le molte, forse troppe, domande retoriche, ma mettere mano all’archivio di Lsdi ci rende particolarmente euforici, e parlare di queste cose del 2004, che volete, sò soddisfazioni)
Grazie dell’attenzione e della pazienza. Alla prossima settimana, quando parleremo di un’altra novità assoluta direttamente “dal 2004”. ;)