Musica per vecchi animali
Quale potrebbe essere il brano, la canzone, l’opera, la sinfonia, l’aria leggiadra e sontuosa, per sottolineare la ricerca del luogo dove i vecchi animali vogliono andare a morire? E cosa ha a che fare questa domanda con il testo di questo articolo, che sarà dedicato al giornalismo e ad alcune pratiche in uso nel mondo del giornalismo, perlopiù nostrano? Ce lo siamo chiesti anche noi mentre scrivevamo, e abbiamo pensato che forse l’immagine di un vecchio animale che cerca un posto dove andare a morire ben si adatta al giornalismo, o meglio alla macchina giornalistico/imprenditoriale del nostro Paese. Il testo e poi il film di Stefano Benni, sono ancora ben impressi nella nostra memoria. Il peregrinare lieve di un magico Dario Fò e le sue disavventure fanta-politiche in un’universo distopico e surreale, assieme ad una adolescente ribelle e ad una ciurma di improbabili post apocalittici eroi “lumbard”, sono lo sfondo ideale per raccontarVi alcuni fatti ugualmente apocalittici e surreali che stanno avvenendo nel mondo del giornalismo italico.
Il primo fatto riguarda le prossime elezioni per il rinnovo del consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. In un’atmosfera cupa e glaciale, resa ancor più rigida dagli effetti della pandemia sul mondo, si è svolta una vera e propria guerra per la conquista del diritto di voto. Una diatriba non meglio precisata e sulla quale non abbiamo elementi per esprimerci, ma solo tanta rabbia e disgusto per come è nata, è cresciuta, è stata combattuta e poi si è conclusa questa “battaglia”. Sulla newsletter di Franco Abruzzo trovate tutte i particolari sul tema e anche tutti i passaggi iniziali e intermedi e conclusivi della guerra, compresi alcuni pronunciamenti dello Stato attraverso i propri organi di controllo che sovrintendono, per legge, l’attività dell’Ordine dei giornalisti, che, come ben sappiamo è un ente di diritto pubblico e quindi soggetto a questo tipo di controllo, secondo l’ordinamento del nostro Stato. Perché parliamo di questo fatto? Perché ne parliamo se non vogliamo prendere posizione in merito? Perché è un fatto. Un dato certo e incontrovertibile sul quale riflettere, indipendentemente dal partito che avete deciso di sostenere e dalla parte a cui avete deciso di aderire, ammesso che la questione vi appassioni e vogliate farne parte. A noi non appassiona, affatto, e anzi ci getta nello sconforto vedere questo tipo di accanimento e i fiumi di inchiostro riversati da tanti “maggiorenti” delle nostre istituzioni, su una questione così poco edificante.
A renderci ancora più perplessi è un altro fatto ascrivibile completamente al rispetto delle regole e delle norme nazionali e statali dentro a cui deve stare l’ente di diritto pubblico denominato Ordine dei giornalisti. Un fatto che riguarda la formazione professionale dei giornalisti, divenuta obbligatoria alcuni anni fa con apposita legge dello Stato. Tale formazione obbligatoria è regolata da una serie di norme scritte in un regolamento licenziato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e approvato dagli organi statali competenti che – come detto in precedenza – regolano e sorvegliano l’attività dell’Ordine. Ebbene secondo questo regolamento è impossibile attribuire crediti formativi ai giornalisti che abbiano frequentato seminari “a distanza”. O meglio. Solo alcuni specifici corsi - per motivi oscuri e davvero difficili da spiegare – possono erogare quei crediti, sebbene non siano realizzati in presenza. Quali sono questi corsi? Li trovate sul sito dell’Ordine, li riepiloghiamo di seguito per completezza dell’informazione e li mettiamo anche in foto per illuminare ulteriormente il nostro articolo. I corsi provvisti di crediti formativi sono i seguenti:
- La tempesta perfetta (corso deontologico 10 crediti)
- Geopolitica della libertà di stampa (corso deontologico 10 crediti)
- Violenza contro le donne: le regole dell’informazione (corso deontologico 10 crediti)
- Lo sviluppo sostenibile oltre la pandemia: le prospettive economiche, sociali, ambientali e istituzionali per un futuro diverso alla luce dell’Agenda 2030 (parte 1)
- Lo sviluppo sostenibile oltre la pandemia: le prospettive economiche, sociali, ambientali e istituzionali per un futuro diverso alla luce dell’Agenda 2030 (parte 1)
- Codice rosso: i nuovi reati (prima parte)
- Codice rosso: i nuovi reati (seconda parte)
- Corso Deontologia – prima parte
- Corso Deontologia – seconda parte
Questi corsi, sebbene realizzati da remoto e a cui i giornalisti possono prendere parte da casa usando la “famigerata” DAD – didattica a distanza – e gli ancora non meglio precisati strumenti “digitali”, di cui così tanto abbiamo parlato e sentito parlare in quest’epoca pandemica, caratterizzata dal ricorso massiccio allo “smart working”; erogano, non solo conoscenza e competenza, ma anche – per volere espresso dei vertici dell’Ordine – crediti formativi, oltretutto deontologici. E fin qui tutto ok. Quello che riesce più difficile comprendere è per quale motivo, al di fuori da questi specifici corsi, regolarmente autorizzati e calendarizzati, dall’Ordine, esistano altri corsi - non è dato sapere chi li abbia autorizzati e soprattutto per quale motivo – che pubblicizzati e realizzati da “altri” in remoto, erogano crediti formativi e per giunta, sovente, sono pure a pagamento. Il mistero è fitto. Sia sul perché nessuno possa realizzare corsi a distanza con erogazione di crediti per giornalisti, nemmeno gli stessi Ordini regionali dei giornalisti; sia perché questi corsi “autorizzati non si sa da chi” siano a pagamento – cosa esclusa a priori e in modo reciso e deciso da ogni Ordine, regionale e nazionale, dei giornalisti italiani, ovunque sul territorio patrio e forse anche all’estero – mentre queste fantomatiche società , aziende, enti, o non meglio precisate emittenti, possano fare “di tutto e di più”. E poi – e il mistero si infittisce ulteriormente – resta anche da capire come mai gli organi statali che sovrintendono all’operato dell’ente di diritto pubblico denominato Ordine dei Giornalisti, non abbiano notato “queste varie discrepanze” - come invece è successo per le elezioni sopra citate, o in altre occasioni - e non abbiano bloccato questa attività , che – apparentemente – viola, pesantemente, le regole.
Il terzo fatto, per chiudere il cerchio, di questo articolo dedicato al mondo del giornalismo: è un evento bello, una nascita, finalmente un lieto evento, in questo nostro piccolo/grande universo, in così grave crisi, epocale e globale. L’arrivo di un nuovo organo di informazione, in questa epoca così difficile – soprattutto per il giornalismo - non può che essere una buona, anzi un’ottima notizia. Peccato forse che nell’anno domini 2020, fondare un quotidiano con le stesse identiche regole e le stesse modalità che avremmo potuto usare cinquant’anni prima, non ci convinca molto. Andare dove sono le persone - la lezione della biblioteca pubblica di New York – che abbiamo provato a raccontare anche qui, su queste nostre colonne:
era, forse, una delle cose di cui l’editore e il direttore di Domani avrebbero dovuto tenere conto. Per non parlare dell’uso, consigliato e consigliabile del “reversed paywall” di Jeff Jarvis,
e – permetteteci la sottolineatura tutta nostra - la necessità di rilanciare e difendere ad ogni costo “la funzione d’uso del giornalismo” :Â
riappropriarsi serenamente della propria funzione d’uso. Fare i giornalisti nell’epoca digitale, nell’era della disintermediazione, dentro l’ecosistema: non è più trovare le notizie. La corretta funzione per il giornalista post avvento della rete, è quella di certificare la filiera della produzione e della corretta distribuzione delle informazioni. Meglio ancora: la formazione dell’opinione pubblica. Che significa fuori da ogni metafora, stabilire una volta per tutte, che il nostro mondo è davvero ipercomplesso – come dice il nostro associato, amico e grande esperto di complessità Piero Domenici – e che solo una corretta comprensione e decodifica di questo sistema complesso, che è il nostro mondo, ci permetterà di riaffermare i corretti valori in campo. Tradotto per la nostra professione, a nostro avviso significa, cominciare rapidamente a riconoscere nuove funzioni e capacità che ognuno dei professionisti del settore deve comprendere, e sviluppare, per affiancarle a quelle già in suo possesso. Se le notizie si trovano ovunque e gratuitamente, se le informazioni circolano dappertutto, senza alcun controllo e in grande abbondanza, il giornalista deve mettere in campo la propria professionalità per governare i sistemi, i processi, i percorsi tracciati dai dati; non perdere tempo a cercare le notizie.
Meglio dedicarsi alla ricerca di questa “funzione d’uso” e di quanto possa essere di reale utilità per il giornalismo e tutta la filiera della produzione dell’editoria di informazione, invece di incaponirsi ad utilizzare le solite logiche mercantili dell’era analogica - oramai davvero obsolete - che continuano, non si capisce come mai, a regolare e governare, l’attività di un organo di informazione. Grazie per l’attenzione e la lettura, e alla prossima ;)