Arriviamo a questa convocazione elettorale dopo tonnellate di polemiche di vario tipo e titolo, e dopo forzature, strozzature e pronunciamenti vari e ad ogni livello, anche quello Ministeriale. Molto, moltissimo fumo e chiacchiere inutili, a nostro personalissimo avviso, e poca, davvero scarsa sostanza, sono passate sotto i ponti, in questi ultimi contrastati mesi. Così come poco senso e sostanza hanno, purtroppo, i – a dire il vero – pochi, programmi che abbiamo visto circolare online, a firma dei vari gruppi e formazioni che si presentano a queste votazioni. Il giornalismo del presente o meglio la funzione d’uso della nostra professione, – che vorremmo tanto fosse preservata e tutelata sopra ogni cosa – rimane l’unico modo, a nostro avviso, per salvare la professione – da una parte –  e garantire la corretta e completa diffusione delle informazioni fra le persone, dall’altra. Solo partendo da questo presupposto si potrà davvero fare qualcosa di concreto per il comparto dell’informazione e i suoi oltre centomila addetti in Italia.
Con l’ esplosione degli strumenti di comunicazione in rete, scriviamo continuamente su GigaOM, chiunque è in grado di diventare un giornalista in qualsiasi momento – e in teoria questo significa che chiunque dovrebbe avere la protezione del Primo Emendamento quando sta facendo giornalismo. Come la Corte di Appello degli Stati Uniti ha stabilito nel 2011:
“I cambiamenti nella tecnologia e nella società hanno reso i confini tra privato cittadino e giornalista estremamente difficili da segnare [e] le notizie hanno ormai le stesse probabilità di essere diffuse da un blogger attraverso il suo computer e da un cronista in un grande quotidiano. Tali sviluppi rendono chiaro perché la protezione del lavoro di raccolta delle informazioni giornalistiche assicurata dal Primo Emendamento non possono basarsi su credenziali o status professionali “.
E non è proprio questo ciò che gli artefici della Costituzione volevano? Nel momento in cui quel documento è stato scritto, la “stampa†consisteva più di pamphlettisti come I. F. Stone (e quindi di blogger) che di testate come il New York Times. Questo può rendere difficile – se non impossibile – definire in via definitiva chi è giornalista e chi non lo è, ma alla fine penso che finiremo con una sfera mediatica molto più aperta (e sì, anche molto più caotica) e che, nel lungo periodo, questa sia una buona cosa.
Sono circa 110 mila i giornalisti italiani iscritti all’Ordine, e solo una piccola e oramai trascurabile parte, poco più del dieci
C’è una differenza enorme, soprattutto nei paesi anglosassoni, su come sono organizzate le strutture imprenditoriali del giornalismo e su come queste strutture sono protette/tutelate dalle leggi e dagli Stati. Ma non ci sono differenze anzi non ce ne possono essere sulla “funzione del giornalismo”, ora più che mai. E gli estratti dall’articolo del 2013, pubblicato su questa piattaforma, oggi come allora, ci aiutano a far chiarezza su temi importanti, fondamentali, di cui ancora adesso si sente l’esigenza di parlare.
Il giornalismo non è i contenuti. Non è un sostantivo. Non ha bisogno di essere una professione o un’attività industriale. Non è un bene raro che va controllato. Non capita più nelle redazioni. E non si limita più alla forma narrativa.
Allora che diavolo è il giornalismo?
Il giornalismo è un servizio. Un servizio il cui fine, ancora una volta, è formare un pubblico informato. Ai miei studenti di giornalismo imprenditoriale fornisco una ampia definizione-ombrello: il giornalismo aiuta le comunità a organizzare le loro conoscenze in modo che possano meglio organizzare loro stesse.
Così tutto ciò che serve in modo concreto a una comunità informata alla fine è giornalismo. Chiunque può aiutare a farlo. Il vero giornalista dovrebbe desiderare che chiunque possa partecipare a questo compito. E, alla fine, è per questo che ho scritto Public Parts: perché io celebro il valore che emerge dalla dimensione pubblica, dalla capacità di chiunque di condividere con tutti quello che lui o lei sa e l’etica che dice che la condivisione è un atto generoso e sociale e la trasparenza dovrebbe essere una caratteristica del tutto normale per le nostre istituzioni.
C’ è un ruolo che i cittadini possono svolgere per contribuire a questo processo? Assolutamente sì. Io dico che le redazioni possono aiutare favorendo il flusso e la raccolta delle informazioni, che ora può avvenire senza di loro, offrendo piattaforme su cui le comunità possono condividere ciò che sanno. Poi, certo, penso che spesso c’ è bisogno di qualcuno per aggiungere valore a questo processo con queste pratiche:
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* Porre le domande che non trovano risposta nel flusso dell’ informazione,
* Verificare i fatti,
* Smascherare le voci,
* Aggiungere contesto, spiegazione e sfondo,
* Fornire funzionalità che consentano la condivisione,
* Organizzare iniziative per la collaborazione da parte delle comunità , di testimoni ed esperti.Â
Allora, non sto facendo altro che ricostruire la descrizione del giornalista? Sto cercando di dire che forse non dovremmo chiamarlo così, perché è chiaro che la parola “giornalista†si porta dietro un bagaglio di qualche secolo e il conflitto su chi lo controlla. Queste funzioni – e varie altre – non hanno bisogno di essere cristallizzate in un tipo specifico di persone o di organizzazioni.
Beh, e per quanto riguarda la questione giuridica? Non sarebbe meglio alla fine avere una definizione di giornalista in modo da poter sapere chi è protetto da una legge scudo? No. Perché in questo modo si definirebbe anche quelli che non sono protetti, esponendoli quindi a dei rischi. Quelli che chiamiamo a volte â€whistleblowers †(informatori) e contro cui il nostro governo, invece di proteggerli, è in guerra: ma che cosa diffondono? Informazioni, informazioni sul nostro governo, informazioni su di noi, le informazioni che ci aiuteranno a organizzare meglio noi stessi come una società libera.
- Compensi trasparenti e dignitosi. Serve un tariffario professionale della categoria, ragionato e plausibile. Da poter applicare in ogni sua singola parte, e ovunque sul territorio nazionale.
- Una legge dello Stato a difesa e a tutela dell’attività professionale dei giornalisti. Solo dopo l’approvazione di una legge di settore sarà poi possibile mettere a punto una assicurazione professionale per la categoria che le Istituzioni e lo Stato dovranno concordare con le maggiori compagnie nazionali e internazionali.
- Una revisione generale e profonda dell’Istituto pensionistico del comparto – Inpgi - a favore dei non contrattualizzati. Ricalibrare il tutto perché sia adeguato alle reali esigenze del settore e in particolare dei lavoratori autonomi.
- Una revisione della mutua dei giornalisti in funzione dei veri protagonisti del settore, gli autonomi.
Solo ridando dignità e sicurezza ad ognuno dei 100 mila giornalisti italiani, non sotto contratto, potremmo risalire la china e riportare l’informazione al centro del dibattito pubblico e soprattutto al servizio del Paese, in un momento così delicato, per la stampa e per l’informazione “libera”, in ogni luogo e posto del mondo, e soprattutto sul web.
Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)