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Di Alan Turing si sa tutto, ma, in definitiva, anche poco, e spesso quello che si sa non corrisponde a verità . La breve vita del genio matematico inventore della portentosa macchina che ha preso il suo nome e che viene considerata da tutti il primo computer dell’Umanità , è stata a lungo coperta dal massimo riserbo, proprio a causa delle ricerche e scoperte a cui lavorava Turing. Studi effettuati in un’epoca contrastata e terribile come quella della seconda guerra mondiale, studi in cui, come molti di Voi sapranno, lo scienziato era alla ricerca di un meccanismo che aiutasse l’Inghilterra a decodificare il codice segreto usato dai nazisti nelle comunicazioni al fronte. L’identità sessuale dello scienziato, che all’epoca era ancora un grave reato, anche nella civilissima Inghilterra, gli ha complicato non poco la vita e forse ha concorso a renderla più breve del previsto. Noi proveremo a raccontare questo genio assoluto a modo nostro usando citazioni che parlano di lui estratte da libri non espressamente dedicati a lui. Testi in cui l’opera del matematico inglese prende corpo e si manifesta. Libri che non celebrano la vita di Turing ma che ne raccontano il genio assoluto, indirettamente, spiegando al “mondo†quanto importanti siano stati i suoi studi e le sue ricerche. Come è successo nell’ultimo film, in cui proprio Turing era il protagonista centrale. Un’opera in buona parte romanzata, ma grazie alla quale la figura dello scienziato si staglia nitida e precisa. Una figura di valore indiscutibile anche se ammantata di mistero, nel film, ambientato nel particolare periodo della vita di Turing in cui il matematico studiava segretamente il codice di cifratura dei nazisti e metteva a punto il macchinario per decifrarlo. Un periodo oscuro, misterioso – in parte ancora oggi – coperto dal segreto militare, in cui si raccontano appunto le lunghe settimane, i mesi di lavoro, di Turing e degli altri scienziati coinvolti nel progetto di decodifica, denominato: enigma.
Partiamo dunque dal film, “The imitation game”, che ci porta in una realtà romanzata e in buona parte distorta per esigenze “scenicheâ€, ma che narra due fatti reali e centrali della vita del matematico inglese: i suoi studi sulle macchine di calcolo automatiche, che sfoceranno nella costruzione del primo computer e la sua morte prematura, per cause incerte e mai spiegate del tutto, e per molti causata più o meno direttamente, dalla sua confessione di omosessualità che lo portò ad essere sottoposto ad un trattamento di castrazione chimica, che gli avrebbe procurato tali e tante conseguenze di salute da costringerlo al suicidio. In realtà la versione del film non è quella ufficiale e sulle cause della morte di Turing permangono ancora un riserbo e un mistero molto fitti.
Partiamo dalla macchina di Turing e dal Test di Turing due lasciti che condizionano e condizioneranno ancora per molto, molto a lungo, i nostri tempi passati, presenti e futuri. Prendiamo a prestito, come altre volte abbiamo fatto, le definizioni “ufficiali”, tratte dall’enciclopedia Treccani :
Modello di agente di calcolo adatto a simulare la logica di qualsiasi algoritmo computazionale. La macchina formale fu proposta nel 1936 dal logico e matematico britannico Alan Turing, come sistema astratto che, opportunamente programmato, era capace di eseguire ogni tipo di operazione (l’idea di Turing era di rendere automatica una macchina da scrivere). Oggi ne esistono molte varianti, la più semplice delle quali è la macchina di Turing a nastro, formata da un’unità di controllo contenente un programma con un numero finito di istruzioni, da un nastro di lunghezza illimitata suddiviso in celle e da un’unità di lettura e scrittura sul nastro in grado di spostarsi avanti e indietro di un numero qualsiasi di celle e di leggere e scrivere in una qualsiasi delle celle un simbolo di un alfabeto prefissato. Questa macchina, pur nella sua semplicità , può calcolare in un numero finito di passi elementari qualsiasi funzione computabile. Il nastro si estende idealmente in modo infinito nei due versi e risulta diviso in celle, ciascuna contenente un simbolo appartenente a un insieme finito di simboli detto alfabeto.
Criterio ideato da A.M. Turing per dimostrare la capacità di pensare di una macchina. Fu proposto nel 1950 in un articolo pubblicato sulla rivista «Mind». Si tratta di una situazione sperimentale consistente in un gioco a tre partecipanti: un uomo A, una donna B e una terza persona C. Quest’ultimo è tenuto separato dagli altri due e, tramite una serie di domande, deve stabilire qual è l’uomo e quale la donna. Dal canto loro, anche A e B hanno dei compiti: A deve ingannare C e portarlo a fare un’identificazione errata, mentre B deve aiutarlo. Affinché C non possa disporre di alcun indizio (come l’analisi della grafia o della voce), le risposte alle domande di C devono essere dattiloscritte o similarmente trasmesse. Il test di Turing si basa sul presupposto che una macchina si sostituisca ad A. In tal caso, se C non si accorgesse di nulla, la macchina dovrebbe essere considerata intelligente, dal momento che sarebbe indistinguibile da un essere umano. La macchina cioè dovrebbe essere considerata come dotata di una “intelligenza†pari a quella dell’uomo. Il criterio proposto da Turing è ritenuto alla base della → intelligenza artificiale; tuttavia per stabilire l’intelligenza esso si basa su un presupposto meramente osservativo e quindi necessita di ulteriori precisazioni data la complessità del concetto stesso d’intelligenza e l’impossibilità di una sua definizione universalmente accettata.
Quello che ci interessa molto, nel provare a delineare il nostro ritratto del genio matematico inglese, è dimostrare quali e quante “cose†studiate da lui siano parte delle fondamenta di tutta o buona parte della nostra tecnologia, del nostro modo di vivere, e anche del futuro prossimo venturo in cui abiteremo e vivremo. Dagli studi, dalle idee, dalle dimostrazioni matematiche, dalle macchine e dai test redatti dal genio inglese sono nate intere branchie della tecnologia, e sono scaturite scuole di pensiero e di ricerca. Tutto nasce da una riflessione, che riportiamo qui di seguito, attribuita allo stesso Turing, sul rendere calcolabile il mondo, in altre parole: digitalizzarlo,
“le macchine di calcolo universale
… rispondano a un mondo di pensiero e niente affatto di materia. (…) L’essenza delle loro macchine è altrove, in un universo in cui i simboli sono guidati da simboli in base a regole che sono a loro volta espresse in simboli.
Il luogo in cui risiedono queste macchine è la mente umanaâ€
(Ed Finn Cosa vogliono gli algoritmi)
Come già scritto proprio su questa bacheca in alcuni altri post e articoli precedenti: “Da quando il mondo è diventato calcolabile, al fianco dell’Uomo sono apparsi i computer e la vita non è mai stata così facile. O anche così difficile. Dipende. Certamente è tutto diverso, cambiato, differente. Ogni azione, ogni attività , ogni oggetto, non ha più solo una sua tangibilità fisica ed evidente, ma esiste anche dentro i calcoli di un mondo di silicio e di transistor. Anzi esiste: “meglio e in modo meno costoso e più facile da realizzare†dentro ad un computer. L’aver tradotto il mondo fisico in un mondo immateriale costituito da numeri e calcoli ci ha reso molto, molto più potenti. Quello che prima era riservato a pochi, ora è per tutti, e ognuno può cimentarsi a costi irrisori in qualsiasi tipo di attività , impresa, azienda, studio e ricerca; prima riservati ai soli specialisti/professionisti. Tutto questo ha dato il via alla cosiddetta “società dell’informazioneâ€. Un luogo dove le cose sono diventate “anche†dati, e sono finite dentro ad un calcolatore elettronico, o meglio, sono state reinventate, “ri-modellateâ€, grazie alla matematica e ai computer”. Tutto questo è stato reso possibile grazie a Turing e ai suoi studi. Grazie alle sue macchine e ai suoi test, grazie alle interpretazioni, alle ricerche e alle tecnologie scaturite dalle riflessioni di Turing, che
Ciò che non era stato ancora percepito divenne chiaro con il lavoro di Alan Turing, il padre della quarta rivoluzione.
Turing ci ha deposto dalla posizione privilegiata ed esclusiva che avevamo nel regno del ragionamento logico, della capacità di processare informazioni e di agire in modo intelligente. Non siamo più gli indiscussi padroni dell’infosfera. I nostri dispositivi digitali svolgono un numero crescente di compiti che richiederebbero da parte nostra una certa attività intellettuale se ci fossero affidati. Ancora una volta siamo stati spinti ad abbandonare una posizione che ritenevamo “unicamente†nostra. La storia della parola “computer†è in tal senso indicativa. Tra il XVII e il XIX secolo era sinonimo di “persona che svolge calcoli†per il semplice motivo che non vi era nient’altro al mondo che fosse in grado di svolgere calcoli in modo autonomo.Â
Allorché pubblicò il suo celebre articolo intitolato “Macchine computazionali e intelligenzaâ€, Turing dovette specificare che, in taluni casi, stesse parlando di un “computerumanoâ€, poiché a partire dal 1950 sapeva che la parola “computer†non si riferiva più soltanto a una persona che calcola. Proprio grazie a lui, la parola “computer†perse la sua accezione antropologica e divenne naturalmente sinonimo di macchina programmabile, con fini generali, nota anche come macchina di Turing.
A partire dal lavoro rivoluzionario di Turing, l’informatica e le ICT hanno iniziato a esercitare un impatto sia estroverso sia introverso sulla nostra comprensione. E ci hanno dotato di conoscenze scientifiche senza precedenti sulla realtà naturale e artificiale, nonché della capacità di operare su tali realtà . Inoltre, hanno gettato una nuova luce su chi siamo, sul modo in cui ci relazioniamo con il mondo e tra di noi, e su come concepiamo noi stessi. (Luciano Floridi La quarta rivoluzione)
La nostra odierna riflessione, lungi dall’essere esaustiva, o anche solo parzialmente risolutiva, vuole, come sempre, provare a porre questioni, domande; suggerire ragionamenti, astrazioni e magari generare ulteriori studi e ricerche. Il mondo odierno è certamente complesso, secondo una definizione corretta di complessità . Invece, purtroppo, viviamo in un presente inutilmente complicato. Un presente, che ci viene presentato e venduto: come facilitato e semplificato. Un mondo alla nostra portata, o meglio “a portata di click o di app”, come il pensiero unico dei tecnocrati e di certe “aziende-meta-nazioni-digitali” ci vuole portare a credere. Ebbene nel concludere il nostro personale omaggio ad Alan Turing, Vi invitiamo a riflettere su quanto sia facile trasformare un’intuizione acuta e utile di un grande scienziato in una macchina per fare soldi – tanti – a nostra insaputa, magari facendoci lavorare nostro malgrado e gratuitamente. Buona giornata e grazie per l’attenzione ;)
Una delle conseguenze dell’avvolgere il mondo per trasformarlo in un luogo più adatto alle ICT sta nel fatto che gli esseri umani diventano inavvertitamente parte integrante del meccanismo. Il ragionamento è semplice: talora le nostre ICT richiedono di comprendere e interpretare ciò che sta accadendo, per questo hanno bisogno di congegni semantici, come noi, che facciano tale lavoro. Questa tendenza piuttosto recente è conosciuta come computazione basata sull’uomo. Ecco tre esempi.
Ciascuno di noi avrà probabilmente sperimentato e superato il CAPTCHA (il test di Turing pubblico
completamente automatizzato), che serve a distinguere esseri umani e computer. Il test è costituito da una stringa di lettere alquanto deformate, di regola mischiate ad altri segni grafici, la cui decifrazione prova che siamo un essere umano e non un agente artificiale, come quando, per esempio, vogliamo registrare un nuovo account su Wikipedia. È interessante notare che una buona strategia per il computer A per far credere a un computer B (diciamo Wikipedia) che A sia un essere umano consiste nell’adoperare un ampio numero di utenti umani come una sorta di motore semantico che possa risolvere il test CAPTCHA. Il computer A si connette a B, fornisce le informazioni necessarie (per esempio, per formulare la richiesta di un nuovo account su Wikipedia) e quindi affida il test CAPTCHA a un gruppo di operatori umani, che sono indotti a risolverlo dalla promessa di una ricompensa da parte di A, senza sapere di essere manipolati. È noto che i siti pornografici si avvalgono di questi “giochiâ€. L’importanza del test CAPTCHA sta nel fatto che in entrambi i casi (incluso quello in cui un computer ne inganna un altro) abbiamo a che fare con macchine che richiedono a esseri umani di provare che non sono agenti artificiali. Il naturale passo successivo è il reCAPTCHA, vale a dire macchine che chiedono a esseri umani di lavorare per loro come motori semantici. Lanciato da Luis von Ahn – che insieme a Manuel Blum aveva elaborato l’originario sistema CAPTCHA –, reCAPTCHA è brillantemente semplice: invece di chiedere a utenti umani di decifrare stringhe prive di significato, adotta stringhe, formate ora da testi dotati di significato, che non sono decifrabili dalle macchine. Gli utenti umani hanno così un duplice compito: possono provare di essere umani e al contempo contribuire a convertire in formato digitale testi non leggibili da parte di macchine (la decodifica “corretta†è registrata se suggerita da più di un utente umano). Le macchine hanno utilizzato più di un miliardo di utenti per digitalizzare libri in tal modo. Nel 2013, il sistema ha gestito 100 milioni di parole al giorno, l’equivalente di 200 milioni di libri all’anno, con un risparmio stimato di circa 500 milioni di dollari all’anno (se tale compito fosse stato affidato a lavoratori umani).
(Luciano Floridi La quarta rivoluzione)