La nostro riflessione di oggi prova a mettere insieme queste tre diverse componenti, confrontando il nostro pensiero con quello di altre – molto autorevoli – fonti. Per introdurre l’argomento OTT, attingiamo ad un’intervista realizzata dall’Huffington Post a Luciano Violante. L’ex presidente della Camera, ed ex ministro, ora presidente della Fondazione Leonardo, rispondendo a domande sulla vicenda Trump/Twitter segnala una serie di problematiche importanti - a suo modo di vedere – scaturite da quella vicenda. Temi scottanti e oramai al centro del dibattito pubblico mondiale. Estraiamo come al solito alcuni dei passaggi dell’articolo che ci sono apparsi particolarmente significativi:
“Queste aziende hanno la sovranità digitale in uno spazio nuovo colonizzato solo da loro.
Le “compagnie del digitaleâ€, potremmo definirle così, hanno un potere politico di fatto che nessuno ha mai avuto: hanno una funzione regolatrice della vita dei privati e degli Stati, rendono servizi indispensabili e per questo condizionano la qualità dell’attività privata e pubblica. Se decidessero di staccare la spina tutte insieme il mondo smetterebbe di funzionareâ€.
“Con il Digital Service Act la Commissione di Ursula von der Leyen sta trattando il problema sotto il profilo della democrazia, dei diritti e delle libertà . Si va verso una riconversione totale dello spazio digitale ponendoci un problema di democrazia. La direzione è quella giusta perché bisogna disciplinare questi soggetti senza impedirgli di fare il proprio lavoro, perché ci serve. Per questo penso che serva un Authority a livello europeo che stabilisca delle linee guida leggere, costruite e discusse costantemente con le “compagnie del digitaleâ€. Decidiamo insieme a Facebook, Twitter, Google, Apple, Amazon, quali sono i sei, sette punti che segnano un buon digitale
Infine è necessario affiancare alle regole formali una pedagogia del digitale: il cittadino deve essere in grado di usare nel miglior modo possibile il digitale e di conoscere i rischi che corre”
Nelle parole dell’insigne uomo politico, si evince chiaramente l’esistenza di un “questione algoritmica” in capo alle techno corporation. Ma la scelta di – secondo una posizione molto comune – formulare le nostre prossime scelte di vita assieme alle OTT, o peggio, affidandole direttamente alle techno corporation, dando per scontato che sia questa l’unica realtà possibile e – come dice anche lo stesso Violante – si debba per forza pensare ad un mondo filtrato attraverso il modello proposto dalle meta nazioni digitali; non ci sembra la scelta migliore. Internet è certamente un’altra cosa rispetto alle compagnie che lo hanno colonizzato e poi monopolizzato, e il web pure. Può anche sembrare vero che le OTT siano al nostro servizio, ma,
Ispiriamoci invece al nuovo contratto con l’Umanità per l’uso consapevole della rete, redatto nel 2018, da uno degli inventori del web, Tim Berners Lee. Sono nove semplici regole, tre per i Governi, tre per le Aziende e le ultime tre per le Persone, che ridefiniscono in modo coerente e consapevole i nostri usi e consumi dentro agli spazi di connessione digitale:
Per i Governi:
Assicurati che tutti possano connettersi a Internet
Mantieni disponibile la rete Internet, tutta e sempre
Rispetta e proteggi il fondamentale diritto delle persone alla privacy e al controllo sui propri dati
Per le Aziende:
Rendi internet conveniente e accessibile a tutti
Rispetta e proteggi la privacy e i dati personali di ognuno per creare fiducia online
Sviluppa tecnologie che supportino il meglio dell’umanità e contrastino il peggio
Per Noi tutti
Cerchiamo di essere tutti creatori e collaborativi sul web
Costruiamo comunità forti che rispettino la civiltà e la dignità umana
Lottiamo per il web in modo che rimanga aperto e sia una risorsa pubblica globale per le persone di tutto il mondo, ora e in futuro
Non si tratta di una mera questione di principio, e i fatti degli ultimi giorni lo hanno dimostrato in modo circostanziato e preciso. La necessità di intervenire per ripristinare la giusta logica, la giusta direzione, la corretta direzione nel nostro approccio al mondo – oramai – quasi del tutto digitale, è divenuta imprescindibile e improcrastinabile.
“Nello spazio digitale, l’esercizio del potere repressivo in capo a meta-nazioni che fanno il bello e il cattivo tempo, costituisce l’esercizio di un potere assoluto, senza appelli, lì dentro. Bisogna aspettare i tempi della giustizia ordinaria, nel frattempo si sparisce dalla circolazione. La possibilità per un’applicazione di accedere a un server per mettervi i dati dei propri utenti, oppure di comparire su uno store per poter essere scaricata, rappresentano le condizioni di esistenza in vita di un soggetto nello spazio digitaleâ€.
Sono parole di Nicola Zamperini, estratte dal suo ultimo articolo pubblicato nel blog Disobbedienze e intitolato “Techno-camaleontiâ€. La questione non è chi decide cosa, o ancora peggio, quale commissione o autority nominare perché decida al posto nostro. Il tema centrale è, come sempre, la consapevolezza. Il sapere essere digitali, non l’essere costretti ad agire secondo regole tecnologiche, imposte dai costruttori degli ambienti o delle macchine digitali. Consapevolezza – sempre più necessaria e irrinunciabile per vivere dignitosamente il nostro presente – cui va aggiunto, a questo punto, il terzo e cruciale
Ironicamente, ogni passo avanti delle tecnologie di guida autonoma aggrava il problema. Un pilota automatico di base che fa scattare un allarme ogni quindici minuti obbligherà il guidatore a prestare attenzione regolarmente e a non perdere mai la mano. I sistemi automatici da evitare sono quelli sofisticati in cui tutto funziona alla perfezione e che sono quasi sempre affidabili.
Ecco cosa ha dichiarato a tale proposito il responsabile del Toyota Research Institute, Gill Pratt:
Il caso peggiore in assoluto è quello di un’automobile che richiede un intervento da parte del conducente ogni 300000 chilometri… Al guidatore medio, che cambia macchina più o meno ogni 160000 chilometri, non capiterà mai di vedere il pilota automatico che cede il controllo del veicolo. Ogni tanto, però, diciamo una volta ogni due macchine, potrebbe capitarmi di sentire all’improvviso un “bip, bip, bip, tocca a te!â€. E non avendo avuto da anni un’esperienza simile… non saprei cosa fare
Strategie di marketing a parte, non posso fare a meno di chiedermi se non è la nostra riflessione sulle macchine a guida autonoma a dover essere rivista completamente.
Ormai sappiamo che l’uomo è bravissimo a cogliere le sfumature, analizzare il contesto, sfruttare l’esperienza e identificare i pattern. Invece siamo incapaci di prestare attenzione, essere precisi, coerenti e pienamente consapevoli della realtà circostante. In parole povere, le nostre capacità sono esattamente l’opposto di quelle di un algoritmo.
Ma allora perché non seguiamo la strada indicata dal software per il riconoscimento dei tumori e sfruttiamo le doti della macchina per integrare quelle umane e migliorare così le doti di entrambi? Finché non raggiungeremo la piena autonomia, perché non invertire l’equazione e puntare a un sistema di guida autonoma che aiuti il conducente anziché il contrario? Una rete di protezione – una sorta di ABS, un controllo della trazione – che controlli pazientemente la strada per vedere i pericoli che sono sfuggiti al guidatore. Un guardiano, più che un autista.
Una cosa, però, è certa: la guida autonoma finirà per insegnarci più di una lezione applicabile anche ben al di fuori del mondo dei motori, e non solo su quanto sia complicato cedere il controllo a un algoritmo ma anche su quello che ci si può attendere realisticamente da un algoritmo.
Se i sistemi di guida autonoma avranno successo dovremo rivedere il nostro modo di pensare. Dovremo rinunciare alla pretesa che un’automobile funzioni sempre alla perfezione e accettare che i guasti meccanici diventino eventi rari ma che gli algoritmi, prima o poi, finiranno per sbagliare.
C’è un mondo bellissimo fuori dai recinti delle techno corporation, è un posto aperto e libero. Un luogo per tutti. In cui poter lavorare, scambiare informazioni, cooperare, collaborare, e crescere insieme. Si chiama internet. Non si chiama google e nemmeno facebook. E non è di proprietà di amazon o di ali baba e nemmeno di microsoft o apple.
Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)