La Gadde, da brava fact checker di parte, ha la specialità di “Mettere l’informazione nel contestoâ€, strumento che giustifica la perfetta arbitrarietà di ogni decisione del fact checker anche la più errata.Â
Musk ha condiviso un diagramma di flusso – (In informatica il diagramma di flusso è una rappresentazione grafica delle operazioni da eseguire per l’esecuzione di un algoritmo. Ogni singolo passo è visualizzato tramite una serie di simboli standard) - di come la Gadde faccia funzionare il concetto di contesto
- Eccovi un esempio del pregiudizio della sinistraÂ
- Però deve essere visto nel suo contesto
- ma la considerazione del contesto è segnata dal pregiudizio della sinistra
- mi faccia un esempio di questo fatto
- ritornare al punto 1
In queste poche righe sono riassunte in modo formidabile - a nostro avviso – alcune delle tematiche che da sempre proviamo ad affrontare su questa bacheca. Si parla ad esempio di giornalismo, e in particolare di “funzione d’uso” del giornalismo. Un tema a noi molto caro e sul quale abbiamo speso articoli e sessioni dal vivo durante alcuni nostri eventi digit. Il passaggio sul “contesto”, mette nero su bianco quanto ci si stia allontanando da temi come “corretta informazione”, “approfondimenti”, “inchieste” o anche semplicemente “racconto dei fatti”. Cercare un contesto, creare uno scenario di credibilità , e farlo per mestiere – con uno stipendio a sei zeri - dentro ad una delle piattaforme nelle quali si crea – oggigiorno - il cosiddetto “senso comune”, significa perdere completamente di vista il senso profondo del giornalismo, la ragione che tiene in vita tutta la filiera di produzione professionale dell’informazione, e anche e soprattutto: il motivo per il quale esistono giornali e giornalisti. Tutto quell’articolo è un lungo e approfondito trattato di giornalismo, ma della nostra professione non si tiene minimamente conto. Il modo in cui agisce la manager di Twitter nel mirino di Musk – ricordate: La Gadde, da brava fact checker di parte, – l’analisi del lavoro svolto da questa persona realizzata dal miliardario americano, grondano giornalismo ad ogni passaggio, eppure nessuno si preoccupa di dirlo. E soprattutto – crediamo noi – nessuna delle parti coinvolte – la manager, Musk e lo stesso autore del pezzo - si accorge di quanto sarebbe necessario inquadrare i fatti narrati dentro alle logiche di bottega tipiche della nostra professione.
Dentro l’ecosistema in cui agiamo tutti dopo la rivoluzione digitale gli equilibri fra chi produce informazione e chi la fruisce
Una manager a sei zeri che di mestiere fa la “fact checker di parte” ovvero si occupa di verificare i fatti – vi ricorda qualcuno questa attività ? – e poi riconduce i medesimi fatti, ora “verficati”, dentro ad un contesto;  oppure lo crea appositamente, il contesto, in nome e per conto della sua “cara” azienda; svolge attività tipicamente giornalistiche snaturandole e addomesticandole, senza alcun rispetto per la deontologia o l’oggettività dei fatti narrati. Una procedura disastrosa che annichilisce il senso del giornalismo e lo trasforma in una sorta di pratica aziendale, strumentale e distorta, esercitata solo per compiacere i capi, e assecondare i sistemi algoritmici che alimentano le piattaforme. Nel mondo che descrive sullo sfondo l’articolo da cui abbiamo preso spunto, non ci sono fake news e nemmeno post verità che tengano; lì dentro si racconta un presente in cui ad essere stato messo in discussione è stato il senso stesso della realtà . Quel che viene rappresentato – sullo sfondo – in quell’articolo, è un simulacro di mondo a totale uso e consumo di quei pochi e selezionati soggetti che attraverso l’uso strumentale e distorto delle nuove tecnologie ne hanno preso il controllo a scopo di lucro.
Del resto uno di questi tycoon – Elon Musk per non far nomi – non ha intenzione di comprare una di queste piattaforme – Twitter per non far nomi - per renderla un posto più libero? Per dirla con l’antropologo Duccio Canestrini che nel suo libro Antropop cita Corrado Guzzanti : “siamo sicuri di aver bisogno di comunicare in tempo reale con gli aborigeni?” (Guzzanti, bontà sua, lo dice molto meglio).
La disponibilità di informazioni 24 ore su 24 non ha cambiato soltanto il modo di socializzare, ma anche di percepire la realtà che ci circonda, di esistere insomma. È nato un nuovo modo di essere: condividiamo la nostra presenza tra gli astanti e i distanti, tra il tatto reale e il contatto virtuale, siamo parzialmente presenti, un po’ con chi ci sta accanto e un po’ con il mondo intero. Parzialmente attenti. Parzialmente altrove. Connessi e disgiunti. Questo nuovo modo di vivere regala – voglio dire, vende – enormi e sorprendenti vantaggi. Avere informazioni è adorabile. In alcune circostanze, non tutte, è anche necessario. Ma, a parte la memoria, ne risente l’intuito, poiché le informazioni sono sì preziose, ma non sono tutto. L’intuito è capacità di percepire, quel senso che ci permette di captare segnali, linguaggi del corpo, misteri della natura, pericoli, sentimenti muti,
anomali movimenti di folla. L’intuito, così come la nostra memoria atrofica e svaporata, ha bisogno di essere ammaestrato, praticato, esercitato. Certamente iperconnessione mobile e intuito possono coesistere. Ma bisogna essere interessati a capire come. Dipende dalla consapevolezza con la quale ciascuno gestisce le nuove protesi. Per non dire del trascurabile problema dei contenuti, riassunto nell’ironico sketch televisivo dell’aborigeno di Corrado Guzzanti: “Se io ho questo nuovo media, la possibilità cioè di veicolare un numero enorme di informazioni in un microsecondo, mettiamo il caso a un abboriggeno dalla parte opposta del Pianeta, il problema è: abboriggeno, ma io e te che cazzo se dovemo di’?”
(Antropop Duccio Canestrini)
Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)