Profezie spagnole
Prendiamo spunto quest’oggi da un articolo del nostro archivio del 2014. Si tratta di una riflessione, a dir poco, profetica, scritta da un grande giornalista spagnolo, Miguel Ormaetxea.  L’articolo era stato tradotto e in parte ripreso dalla nostra redazione,  in quell’anno oramai lontano, e prospetta un mondo davvero molto simile al nostro. Ragionando sul ruolo passato e presente del giornalismo, l’esperto e illuminato collega iberico, anticipa “cose” con una precisione davvero impressionante. Andiamo dunque a vedere alcune di queste “anticipazioni” estraendole da quell’articolo del nostro archivio, proviamo poi a fare il punto su quello che è realmente successo e come sono “andate” quelle profezie, e poi ridiamo “la linea”, metaforicamente – ma anche non –  al celebre giornalista spagnolo, andando ad estrarre un paio di passaggi da altri emblematici articoli, prodotti ancora da Ormaetxea, nelle ultime settimane, e vediamo l’effetto che fa, per dirla ancora una volta con quel geniaccio di Enzo Jannacci:
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I giornali così come concepiti ieri non valgono più nulla: fanno un tipo di giornalismo ‘’da obitorio’’; adesso dobbiamo creare giornalismo “di domaniâ€â€¦la base dei nuovi prodotti è in prospettiva: : nuovi prodotti per nuovi lettori bene informati, contenuti post-televisivi, post-radio, post-online, post-reti sociali…
Tutta la informazione è in Rete: la notizia esclusiva non esiste più. La notizia viene replicata, potenziata e moltiplicata; il fuoco è  sulla informazione chiarificatrice, la quale riunisce i frammenti dispersi e la infinità dei dati per dare senso a ciò che davvero sta accadendo.
Otto e più anni dopo, siamo ancora a parlare di cose come queste come se fossero novità assolute, di più, siamo ancora a pontificare a destra e a manca di “transizione digitale” e altre amenità simili, come fossero questioni urgenti, prioritarie. Se andassimo ad estrarre oggi, alcuni passaggi, “salienti”, – messo doverosamente fra virgolette in corsivo e grassetto - dei famigerati e relativamente recenti, “stati generali dell’informazione”, – ci accorgeremo che cinque anni dopo, era il 2019, quelle stesse cose scritte dal giornalista spagnolo erano ancora delle novità assolute, e se poi volessimo andare oltre e dare un’occhiata all’andamento delle “cose di giornalismo” in casa nostra oggi? Non troveremo novità . Niente di nuovo sotto il sole nonostante tutto. Tutti pronti a gridare al lupo, tutti disposti a coprirsi il capo di cenere rimuginando sulla crisi – drammatica e irreversibile – del giornalismo e dell’editoria di informazione; ma nessuno impegnato e pronto a fare qualcosa per invertire la tendenza e adeguarsi, davvero, al cambiamento. I giornali “obitorio”, per dirla con Ormaetxea, continuano a rimanere tali, le tv – vedi la narrazione sulla Guerra in Ucraina – continuano a raccontare se stesse, invece di dare spazio alla cronaca dei fatti; persino le radio – non tutte per la verità – non riescono a mutare la propria impostazione, o meglio, ritrovare, grazie al digitale e alla rete, la propria vocazione di base, che poi assomiglia in modo impressionante alla vocazione di base della rete stessa e in particolare di alcuni specifici luoghi della rete: i social network. Le notizie sono “commodity”, lo hanno detto in tanti, dopo/assieme/forse anche prima, di Ormaetxea, eppure il mondo dell’editoria “professionale” continua a cercare nei paywall la risposta determinante, l’unica, alla propria crisi economica, pontificando sul successo dei “muri a pagamento” del New York Times o del Washington Post, come se Corriere, Repubblica o Sole 24 ore, – per non fare nomi - fossero anche solo minimamente paragonabili alle due ammiraglie statunitensi. Come se: le novità introdotte a profusione dentro i due celeberrimi quotidiani – novità e impostazioni molto diverse fra i due – fossero in qualche modo paragonabili ai percorsi di “aggiornamento” intrapresi dai giornali nostrani. “Il fuoco è sull’informazione chiarificatrice” diceva Ormaetxea, e lì è rimasto, – il fuoco – ci permettiamo di aggiungere noi. Purtroppo è lì da solo – il fuoco - e sta per spegnersi, oramai. Come ci racconta lo stesso Ormaetxea in un suo articolo di poche settimane fa:
è essenziale passare dall’informazione alla conoscenza, quando i media sono devastati in modo schiacciante, in bancarotta e i giornalisti troppo spesso si perdono nelle peggiori condizioni di lavoro della storia. Dobbiamo cambiare paradigma: smettere di ripetere fino alla nausea la superficie delle informazioni come un pollo senza testa e concentrarsi sulle teste.
Non acconsentire a conferenze stampa senza domande, facendo domande stupide quando il politico di turno dice sciocchezze
Se rischiamo la nostra pelle, sia per una causa: far emergere l’informazione che è conoscenza
Non sparate al pianista, anche se se lo merita. Guardate dietro le quinte, guardate i silenziosi labirinti del vero potere
Sembra quasi, otto e più anni dopo, che il maestro iberico, più che alle novità ci dica di stare attenti alle “basi” del giornalismo. Convinto, anche lui, come noi, che in questo periodo, le testate professionali non solo non si siano adeguate al cambiamento, ma abbiano, nel frattempo, perso pezzi importanti delle proprie compagini, lungo il cammino. La “transizione digitale” non ha portato le necessarie novità nelle redazioni, e, nel mentre, ha pure costretto quelle stesse redazioni a licenziare e non assumere, - come sarebbe stato auspicabile – molti dei propri giornalisti, abbassando di fatto, e inesorabilmente, la qualità dei contenuti prodotti giorno dopo giorno. Ma aggiungiamo qualche altra profezia estratta dall’articolo scritto dal giornalista spagnolo nel 2014 e puntualmente verificatasi:
I dati sono la materia prima della economia digitale globalizzata. Tutto il sistema economico viene de-materializzato e de-localizzato: si tenta e riesce a creare mercati globalizzati settoriali, ove venditori e compratori si incontrano in vasti spazi virtuali, digitali, senza frontiera alcuna: nuove, gigantesche imprese verranno create per affrontare – e trattare con – questi nuovi modelli di gestione dei dati.
Come si dirà in spagnolo: algoritmo? Battute a parte, ecco un altro vaticinio perfettamente azzeccato, o meglio, centrato “in bene” nelle intenzioni del giornalista spagnolo; e purtroppo – sigh e sob – realizzato “per male” e con risultati decisamente funesti, nella realtà dei fatti, dai signori degli algoritmi, ai giorni nostri. Ott, o techno corporation o metanazioni digitali, per usare al meglio le splendide definizioni coniate dall’amico e collega Nicola Zamperini , hanno fatto parecchio di più rispetto alle previsioni del collega spagnolo, e hanno ottenuto in breve il totale controllo – o quasi - dei dati medesimi. Inficiando il senso del cambiamento – digitale - e trasformandolo in un girone infernale in cui noi, e i nostri comportamenti, sono il carburante/dati – nostro malgrado - e loro, e solo loro, sono i petrolieri che si arricchiscono: sia sfruttando il carburante da noi medesimi prodotto; sia incassando denari che – ancora – noi stessi gli elargiamo, in modo più o meno consapevole, per i servizi che ci offrono. Ma tornando al giornalismo, in conclusione, esistono e si stanno affermando alternative di successo, al modello: Times e Post. Una di queste, ce la segnala in un suo recente articolo, proprio Miguel Ormaetxea: si tratta di Substack, una piattaforma specializzata nella produzione e distribuzione di contenuti informativi – soprattutto newsletter – con un modello di business molto interessante e piuttosto redditizio, non solo per i proprietari della piattaforma, ma anche per gli utenti/autori/iscritti. Se Voleste approfondire il tema c’è una vasta pubblicistica sulla materia online, a noi è piaciuto particolarmente l’articolo del Post intitolato: il successo di Substack.
Le previsioni di Ormaetxea sul tema della disintermediazione e del giornalismo, ancora una volta, davvero, profetiche, ci consegnano oltre al “fenomeno” Substack, una serie di altri scenari in cui all’orizzonte vediamo sfilare: meta universi, non fungible token, internet dei corpi, macchine “quasi” intelligenti e “cosi” di nuovo tipo e maniera, tutti immancabilmente “indossabili”. Scenari plausibili per il futuro e in buona parte già in atto o quasi, anche se, chissà quanto davvero utili e auspicabili per tutti noi.
Staremo a vedere, intanto grazie dell’attenzione e alla prossima ;)
È molto probabile che in quell’orizzonte abbastanza ravvicinato si formino cooperative di creatori di contenuti di ogni tipo, non solo giornalistici, gestite da blockchain. In seguito, forse, l’acquisto di contenuti, media, libri, album musicali, video, giochi e altre forme di software non coinvolgerà un oggetto fisico, emergeranno nuovi modelli economici per distribuire queste forme di informazioni, “camminando” per centri commerciali virtuali , come prevede l’insegnante Ray Kurzweil