Raccontando per sommi capi il 2021 non possiamo certo dimenticarci dell’ennesimo colpo di coda di Google/Alphabet a “favore” dell’industria dell’informazione. Si chiama showcase, si legge “pochi denari, per giunta anche maledetti, però erogati immediatamente” per mangiarsi tutto il giornalismo prodotto e quello ancora da venire, – nel mondo intero - ancora “con le scarpe addosso e il paletot”, senza che nessuno se ne accorga, anzi con la totale complicità di enti e istituzioni del settore, e pure di buona parte delle autorità pubbliche. Leggere per credere. Ma soprattutto, vedere cosa è successo quasi un anno dopo. E cosa sta ancora succedendo nel mondo dell’informazione. Abbiamo paura – purtroppo – di non aver sbagliato le previsioni. Semmai siamo stati troppo positivi nella nostra visione, eppure c’eravamo impegnati davvero molto per creare il terrore fra gli addetti. Vabbè consoliamoci con il “recovery plan”, non lo ricordate? Dai su, sono passati solo 8 mesi e già ci siamo dimenticati che l’arcinoto e pluridecorato PNRR, prima di essere adattato alle necessità del BelPaese si chiamava ancora così. Che dite? Non Vi consola neanche un po’ pensare ai bei temi del Recovery, e gli scenari lussuriosi e a nove zeri del PNRR? Eh, Vi capiamo.
Anche noi qui a bottega avevamo seri dubbi sul funzionamento del nuovo piano Marshall all’europea e purtroppo col passare del tempo non abbiamo mutato atteggiamento, casomai, siamo ancora più preoccupati “sul dove e come” saranno spesi tutti questi soldi. Ad esempio, ora che una parte dei “pesanti” fondi della UE sono arrivati, e con essi pure la quarta ondata del Covid – quella caratterizzata dalla diffusione della variante Omicron – ci confonde non poco vedere che gli ospedali sono nuovamente al collasso e che il personale medico e infermieristico – i nostri eroi, ve li ricordate? – non solo non sono cresciuti di numero e nei propri guadagni – premiati per la loro abnegazione e resi più efficienti dopo aver combattuto come leoni durante la Caporetto virale del primo momento – ma stanno addirittura peggio di prima.
La sanità che doveva tornare a decentralizzarsi per riuscire a contenere meglio e con maggiore precisione ed efficacia l’ondata virale, nonostante i fondi promessi e poi in parte anche arrivati, è sempre lì – congestionata e fragile – che cerca di sopravvivere a se stessa.
Fra “disastri digitali” – rigorosamente in smart working – e conseguenze della pandemia, troviamo, bello bello, un cigno. Maestoso ed elegante, l’uccello acquatico, nuota e poi dispiega le ali. Ma non di un cigno qualunque si tratta, almeno non da queste parti, trattasi di “cigno nero” e di un bellissimo intervento su come dovremmo iniziare ad educarci “all’imprevidibilità “ del filosofo e sociologo Piero Dominici:
L’errore degli errori sta nella confusione, talvolta voluta e portata,  tra sistemi complicati e sistemi complessi. Una distinzione destinata ad essere spazzata via dall’arrivo dell’intelligenza artificiale. Questa distinzione che definisce sistemi complicati quei sistemi che riguardano, che attengono, al mondo degli oggetti, delle cose: i sistemi meccanici, artificiali, governati da relazioni lineari. In cui le relazioni lineari, spiegabili, rappresentabili, modellabili e visualizzabili di fatto rendono questi sistemi ugualmente osservabili, misurabili e quindi prevedibili, gestibili e controllabili fino in fondo.
Al contrario di quelli che poi anche in fisica vengono definiti sistemi dinamici non lineari – sia quelli caotici, sia quelli complessi – che sono, non soltanto sensibili alle perturbazioni degli ambienti e degli ecosistemi, ma che, di fronte a una piccola variazione delle condizioni delle variabili di partenza, si determinano, si auto determinano. Addirittura si possono anche auto organizzare, auto generare, secondo derive ed evoluzioni non lineari e del tutto imprevedibili.
Questo è il punto nodale della questione: la complessità non si può gestire. Dovremmo dunque ripensare l’educazione e la formazione anche dei manager, dei tecnici. Non nella direzione di un’educazione al controllo, e nemmeno nella convinzione che tutto possa essere osservato, misurato e gestito. Dovremmo educare e formare all’imprevedibilità .
Un intervento davvero formidabile quello dell’amico e sodale Piero Dominici, ancora più interessante e premonitore, se letto oggi, dopo che il mondo intero ha scoperto la complessità , grazie al premio nobel per la fisica Giorgio Parisi. Un mondo complesso il nostro, post rivoluzione digitale, un mondo che va riprogettato e ricostruito seguendo nuovi criteri di conoscenza. Un mondo che va soprattutto studiato e compreso, prima di essere “riformulato”. Un posto dove non si dorme mai, e dove i ritmi dell’uomo, sono cambiati, profondamente, come spiega in modo approfondito il critico d’arte Johnathan Crary nel suo saggio “24/7”
Un ambiente 24 /7 ha solo le sembianze di una società vera e propria, ma in realtà rappresenta un modello non sociale di performance automatiche e una sospensione dell’esistenza che dissimula i costi umani necessari a sostenerne il funzionamento.
Un cambiamento che potrebbe improvvisamente farsi chiaro e semplice – non difficoltoso e imposto dai potenti di turno – poiché reso comprensibile a tutti. Un cambiamento che, in questo modo, non si realizzerebbe solo in relazione agli “upgrade” tecnologici e all’uso sempre più massiccio di apparati e supporti informatici, bensì, come mutamento profondo della cultura del nostro tempo. Come ha scritto molto bene Eric Sadin in un passaggio del suo libro “La siliconizzazione del mondo”:
bisogna rimanere in ascolto non restare abbacinati e pronti a privilegiare il nostro bisogno di confort
Oggi bisogna essere in grado di operare una distinzione netta. Da una parte chi partecipa, in un modo o nell’altro, piú o meno deliberatamente, alla generalizzazione e alla banalizzazione di un modo d’essere eminentemente restrittivo, che si presume incarni il futuro. Dall’altra chi intende rimanere in ascolto delle memorabili tracce dell’eredità del passato, in grado di ispirare una invenzione del quotidiano che celebri l’irriducibile, indefinita complessità del mondo e dei viventi.
Come dice un grande poeta contemporaneo come Franco Arminio : “le persone hanno il diritto di essere almeno vagamente capite per quelle che sono. Sembra facile e invece non accade quasi mai. Anche nelle scuole bisognerebbe occuparsi di questo problema: l’ora di religione non riscuote molto interesse, ci vorrebbe un tempo in cui sin da bambini si facciano esercizi per capire ed essere capiti. Non si tratta di accrescere i nostri saperi, ma la nostra comprensione ed empatia”.
Mentre il senso delle cose va via via scomparendo. Diviene una massa indistinta ed evanescente. Si perde nell’intento. Fino a sparire del tutto venendo completamente sostituito dall’involucro. L’incarto prende il posto della sostanza, la rimuove e la rimpiazza facendoci dimenticare mano a mano il motivo, la ragione di quel comportamento. Di quella scelta. Di quell’agire. Ricordate avere o essere? Rimodulato poi in essere o apparire? E infine ora divenuto sola apparenza che qualcuno furbescamente ha ribattezzato narrazione o anche in quell’altro modo così pacchiano e grossolanamente “marketingaro”: storytelling? Avete presente l’effetto Dunning-Krueger: “una distorsione cognitiva ipotetica, a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità “.
In questo mondo che non dorme, che corre impazzito senza una meta apparente, definire spazio e tempo per ciascuno di noi fa e farà la differenza. Trovare tempo e modo, per essere e non limitarsi ad apparire. Trovare motivazioni e nuove energie nella ricerca di ideali e obiettivi altri, questo è l’augurio per tutti che ci sentiamo di fare col cuore. Buon 2022 :)