Al Arabiya, una ricetta per un giornalismo arabo moderato


Il New York Times fa un bilancio molto positivo della tv araba concorrente di al Jazeera e del suo attuale direttore, noto come un ‘implacabile critico della mentalità jihadista’

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(m.b.b.) – New York – Una cura di quattro anni per eliminare le simpatie verso radicalismo e violenza nella televisione araba. Così il New York Times definisce la missione compiuta da Abdul Rahman al Rashed, il 52enne capo di al Arabiya.

La televisione araba, ricorda al Rashed, “ha reso Osama bin Laden una celebrità, lo stesso è accaduto con al Qaeda, aiutando la sua attività di proselitismo e provocando la diffusione della violenza nella regione”. In realtà quella del giornalista è una frecciatina abbastanza trasparente verso la concorrente al Jazeera.

Rashed lavora al quartier generale della televisione saudita, nella cosidetta “Media City” di Dubai, che vanta pure un laghetto artificiale circondato dalle palme. Il capo di al Arabiya ha preso le redini dell’emittente nel 2004, quando tutti parlavano di al Jazeera come la televisione che non aveva remore a mettere in onda i video di bin Laden, oltre che le immagini delle vittime della guerra in Iraq.

Secondo il New York Times, al Rashed è stato assunto proprio per sfidare al Jazeera e tracciare una nuova direzione per il giornalismo in Medio Oriente. Nato in Arabia saudita ma londinese per 17 anni, Rashed ha percorso “tutta la scala sociale dell’espatriato arabo” fino a diventare direttore del giornale Al Sharq al Awsat, importante pubblicazione saudita.

Nella sua scalata verso le vette dirigenziali, il giornalista arabo si era guadagnato la reputazione di. Poco dopo aver accettato l’incarico ad al Arabiya, un suo editoriale provocò contemporaneamente rabbia e riconoscenza per la frase “non tutti i musulmani sono terrosti, ma è eugualmente certo ed eccezionalmente doloroso che la maggior parte dei terroristi sono musulmani”.

Al Jazeera continua a dominare la battaglia delle televisioni arabe, ma Rashed ha detto di aver vinto la battaglia più importante, perchè al Jazeera non è più quella di un tempo. Ora le regole sono cambiate. E questo è dovuto principalmente ad al Arabiya, che ha indicato la strada, ha utilizzato termini più neutrali, ha ospitato diverse opinioni cercando un equilibrio. E la concorrenza ha seguito queste scelte.

Gli insorti in Iraq non vengono più chiamati “muqaawama” (resistenza), ma “musulaheen” (uomini armati). Gli iracheni ammazzati dagli americani non sono necessariamente “martiri”, ma più semplicemente “civili uccisi”.

Al Rashed spiega che “tre anni fa la maggioranza di tv, giornali e siti web erano a favore della resistenza in Iraq e al Qaeda, se non celebrata, era accettata e in larga parte difesa”. “Ora (al Jazeera) – continua – è un’emittente più moderata, che ragiona”.

La BBC, che ha da poco riaperto una versione in arabo del canale televisivo, ha assunto 25 giornalisti da al Arabiya. In passato il canale britannico aveva un’edizione in arabo grazie al finanziamento di un’azienda saudita, ma la censura, tra le altre cose, aveva costretto alla chiusura. I giornalisti che lavoravano per la BBC erano emigrati in gran numero verso al Jazeera.

Il New York Times racconta che al Arabiya ha fatto passi verso la moderazione con programmi come “Sina’at al Mowt” (La morte dell’industria), in cui si discute proprio di terrorismo. La conduttrice, Rima Salha, ha ricevuto diverse minacce di morte dai jihadisti. Rashed ha dovuto affrontare resistenze anche tra i giornalisti, alcuni dei quali si sono licenziati in segno di protesta.

Alcuni criticano l’emittente televisiva chiamandola Al Hebraia, quasi difendesse gli interessi ebraici o quelli degli Stati Uniti come fa la concorrente Al Hurra, finanziata dagli Usa. Al Arabiya, invece, è di proprietà della Middle East Broadcasting Corporation, cioè dei regnanti sauditi che l’hanno spesso usata come strumento contro i loro omologhi del Qatar, che ospitano invece al Jazeera.

La faida tra le due emittenti prese una brutta piega nel 2002, quando al Jazeera mise in onda un dibattito sulla politica saudita e la questione palestinese, a seguito dell’iniziativa di pace del re Abdullah per risolvere il conflitto tra israeliani e palestinesi. I sauditi venivano criticati così tanto che decisero di ritirare il loro ambasciatore dal Qatar, paese che ospitava la tv critica.

Il controllo dei sauditi su al Arabiya è pesante. L’emittente aveva cominciato a trasmettere una serie di approfondimenti sulla famiglia reale, ma il programma è stato annullato dopo lamentele dalle alte sfere.

Probabilmente l’uomo più pagato nel mondo dei media arabi, Rashed non è sposato. O meglio, è “sposato con i media” (non a caso cita Yasser Arafat, che diceva di essere “sposato con la causa palestinese”).
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Per approfondire http://www.nytimes.com/2005/01/02/magazine/02ARAB.html?pagewanted=1&ref=middleeast