Cpj: 2007 anno più sanguinoso per la stampa
Il Committee to Protect Journalists ha appena presentato alle Nazioni Unite il suo annuale Rapporto dal titolo “Attacks to the Press” e sottolinea come l’ anno passato sia stato il periodo più tragico degi ultimi decenni per i giornalisti – In Cina il primato per le detenzioni, mentre minacce, aggressioni e repressione governativa colpiscono ormai anche i blogger e i semplici cittadini che cercano di esercitare il diritto all’ informazione
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New York – Il 2 marzo 2007 Ivan Safronov, ex colonnello della aeronautica militare russa viene trovato morto a Mosca da due studenti. Safronov scriveva di affari militari per il quotidiano economico-finanziario Kommersant. Aveva fiutato una storia interessante: la vendita di jet militari e di missili da Mosca a Damasco, passando per la Bielorussia. Uno scoop che avrebbe fatto scandalo: cosa avrebbe detto la comunità internazionale di fronte ad una vendita simile, con un paese che è accusato assieme all’Iran di rifornire i “terroristi” di Hezbollah? Gli affari sono ciechi alla politica? E quale sarebbe stata la reazione di Washington?
Forse era meglio che l’ex uomo dell’aeronautica non parlasse. O magari che tacesse per sempre. Lo stesso Safronov aveva detto ai colleghi, in privato, che qualcuno lo aveva avvertito: non pubblicare quella storia, le conseguenze internazionali sono troppo grandi. Più volte era stato interrogato da agenti di sicurezza per aver “divulgato segreti di stato nei suoi articoli”
Ufficialmente, all’inizio delle indagini, l’ufficio del pubblico ministero del distretto moscovita di Taganka aveva detto: suicidio. Quindi aveva cambiato idea: “istigazione al suicidio”. A settembre, ritornava ancora sui propri passi: è suicidio. Sposato, due figli, Safronov non ha lasciato alcun messaggio che spieghi perché si sarebbe suicidato.
Questa storia – assieme a molte altre simili – è raccontata dalla Committee to Protect Journalists (CPJ), una organizzazione a difesa della libertà di stampa che ogni anno pubblica un rapporto sulla stato di salute nel giornalismo nel mondo. Il volume Attacks to the Press (pubblicato anche online) è stato recentemente presentato alle Nazioni Unite, a New York.
Inutile dire che il malato non sta bene. Secondo la CPJ, il 2007 è stato l’anno più sanguinoso dell’ultimo decennio per la libertà di stampa. L’anno scorso sono stati ammazzati almeno 65 cronisti, ma si sta ancora indagando su altri 23 casi irrisolti. L’anno prima erano stati registrati 56 morti. Il record precedente risale a più di dieci anni fa, nel 1994, quando furono uccisi 66 reporter.
L’Iraq, per il quinto anno di fila, rimane il paese dove muoiono più giornalisti: l’anno scorso sono stati 32. Il bilancio dal 1992 è di 125 giornalisti ammazzati.
Il rapporto denuncia anche la sempre minore libertà di stampa in Russia (emblematico l’episodio di Anna Politkvoskaja), dove “il presidente Vladimir Putin ha creato nuove leggi secondo cui la critica di funzionari pubblici attraverso i media è considerato un crimine”.
Se non uccisi come la Politkvoskaja e Safronov, spesso i giornalisti vengono zittiti con la prigione.
Fino al 1 dicembre 2007, la CPJ ha registrato 127 arresti: il 17 per cento senza alcun tipo di accusa, il 57 per cento con accuse di “crimini contro lo stato”.
La Cina continua a mantenere il triste primato delle detenzioni per il nono anno consecutivo. Nonostante l’impegno a diminuire gli arresti in occasione delle Olimpiadi della prossima estate, il governo di Pechino ha imprigionato 29 giornalisti.
Il volume registra altri casi inquietanti in Africa – in Etiopia sono stati chiusi tre quotidiani su quattro e sono stati esiliati una trentina di cronisti – e in Pakistan, dove si sta indagando sulla morte di una decina di reporter locali. A differenza degli anni scorsi, non sono stati denunciati episodi in Italia.
Christiane Amanpour, uno dei volti più noti della CNN e membro del CPJ, ha sottolineato che le minacce non colpiscono più soltanto i giornalisti professionisti, ma anche comuni cittadini che tentano di divulgare informazioni scomode per i governi autoritari.
La Amanpour ha ricordato “i blogger della Cina e gli eroi civili della Birmania che hanno documentato la repressione delle manifestazioni pacifiche con foto spedite attraverso i
cellulari”.
Dei 29 giornalisti arrestati l’anno scorso dal governo di Pechino, 18 scrivevano su Internet.
Rapporti analoghi sono stati pubblicati in questi giorni da WAN e da IFJ.
Matteo Bosco Bortolaso