La verifica come rituale strategico

Stonehenge
Oltreoceano si ripropongono questioni che nel quotidiano italiano ed europeo sono  da tempo all’ attenzione dei professionisti.

Ma il risultato di questo nuovo lavoro sembrerebbe in qualche modo  indicare, volendo tirare a tutti i costi delle somme non richieste, come in questo ecosistema geneticamente mutato dell’ informazione, stiano venendo a mancare le componenti strutturali della metodicità e della sistematicità che, in ecosistemi precedenti, erano legati a valori come competenza e qualità.

di Antonio Rossano

 

Le questioni che ai tempi nostri risultano maggiormente dibattute, in relazione al giornalismo sono,  in ordine quantitativo:  la crisi del modello economico, il passaggio dal cartaceo al digitale, la deontologia, la tecnica e l’accuratezza del giornalismo. Su quest’ultimo argomento ne ho personalmente già scritto  qui e su European Journalism Observatory.

 

Come racconta Craig Silverman su Poynter, l’argomento è stato ultimamente oggetto di un “piccola” ma interessante  ricerca universitaria in Canada.

 

Tre ricercatori della Ryerson University School of Journalism di Toronto, hanno intervistato 28 giornalisti di lingua francese ed inglese, cercando di individuare i metodi da essi utilizzati nelle loro verifiche sui contenuti ed informazioni di cui andavano a scrivere.

 

In generale è stata rilevata in tutti i soggetti  una forte motivazione alla ricerca dell’accuratezza, consapevoli che essa costituisce uno dei baluardi della professione. Accuratezza che però viene posta in essere dagli intervistati con modalità e sistematicità molto diverse tra loro. Inoltre gli intervistati hanno descritto metodologie e criteri che spesso rappresentano un compromesso pragmatico nella ricerca e nella verifica.

 

Non sono state riscontrate regole sistematiche rispettate da tutti e le pratiche utilizzate sono fortemente personalizzate o addirittura idiosincratiche. Tra le motivazioni riscontrate per una tale significativa mancanza di sistematicità, probabilmente la mancanza di testi e manuali adeguati e specifici che superino le generica individuazione di verifiche relative ai luoghi ed alle date o a verifiche incrociate.

 

Insomma si fa un gran parlare di accuratezza ma pochi sono gli strumenti resi disponibili per definirne pratiche e percorsi di standardizzazione ed oggettivazione.

 

Alla fine, i ricercatori hanno paragonato l’impegno dei giornalisti alla verifica, ad un ippocratico giuramento di un medico di “non nuocere”:

 

“In altre parole, usando il linguaggio dell’ identità professionale, piuttosto che del l’etica, la verifica potrebbe essere vista come un ‘rituale strategico’, come Tuchman (1972) ha detto della  sopramenzionata (e forse ora un po’ antiquata) idea di  oggettività,- qualcosa che legittima come il ruolo sociale di un giornalista stia diventando evidentemente diverso da quello degli altri comunicatori.”

 

Oltreoceano si ripropongono questioni che nel quotidiano italiano ed europeo sono  da tempo all’attenzione dei professionisti. Ma il risultato di questa ricerca sembrerebbe in qualche modo  indicare, volendo tirare a tutti i costi delle somme non richieste, come in questo ecosistema geneticamente mutato dell’informazione, stiano venendo a mancare le componenti strutturali della metodicità e della sistematicità che, in ecosistemi precedenti, erano legati a valori come competenza e qualità.

 

Silverman conclude il suo post citando Tom Rosenstiel, (direttore dell’American Press Institute e co-autore del libro “I fondamenti del giornalismo”):  “ l’ aspirazione al controllo della notizia è un obiettivo essenziale per la maggior parte dei giornalisti, ma … i processi per giungere a questo obiettivo non sono ben definiti e non sufficientemente rigorosi. E per la sopravvivenza del giornalismo, c’è ancora molto da fare per dare maggior peso al processo di verifica.”

 

E, aggiungiamo noi, i rituali sono efficaci quando basati su regole precise e possono essere ripetuti da stregoni e sacerdoti generando tra i partecipanti fiducia e sicurezza.