Usa, una ‘shield law’ per il giornalismo: ormai è chiaro che non basta proteggere solo i giornalisti
Josh Stearns in un recente studio realizzato per l’ organizzazione non profit Free Press, descrive tre esempi concreti di giornalismo fatto da persone che non erano e non si sognavano neanche di essere dei giornalisti. Il Rapporto ha fatto riaccendere il dibattito su quale obbiettivo una eventuale ‘’legge scudo’’ dovrebbe avere: proteggere i giornalisti o gli ‘’atti di giornalismo’’?  Ne abbiamo parlato diffusamente qui ad esempio).
Stearns – spiega Mathew Ingram su Paidcontent.org–  approfondisce ora la questione, mostrando come sia difficile trovare delle definizioni legali che coprano tutti i possibili modi in cui gli individui possono agire da giornalisti – senza avere addosso nessuna etichetta professionale formale.
Concludendo che quello che conta è la protezione del giornalismo. I cosiddetti ‘’atti di giornalismo’’ non sostituiscono il giornalismo tradizionale, lo allargano, lo espandono. Come possiamo garantire che anche questi tipi di attività siano protetti ?
I tre casi descritti da Stearns. Â
• Karina Vargas, 19 anni. Sta prendendo il treno per tornare a casa, in California, quando vede la polizia fare un uso eccessivo della forza su un giovane uomo alla stazione di Oakland. Tira fuori il cellulare e filma le fasi dell’ aggressione, che si conclude con il ferimento dell’ uomo, Oscar Grant . La polizia cerca di sequestrare il video, ma lei rifiuta , e il filmato viene poi utilizzato al processo contro il poliziotto che ha sparato a Grant.
• Justin Auciello del New Jersey. Un urbanista senza nessuna esperienza nel campo del giornalista, crea una pagina Facebook per documentare i danni degli uragani sulla Jersey Shore: la pagina diventa a tutti gli effetti un sito di informazione giornalistica per quella zona, tanto che la Casa Bianca lo ha segnalato per il suo servizio alla comunità ed è stato utilizzato dagli altri media quando avevano bisogno di occuparsi di quei problemi.
• Lee Roy Chapman, uno storico dilettante dell’ Oklahoma, avvia una ricerca sul fondatore della città di Tulsa e scopre delle informazioni su di lui che non erano mai state diffuse prima: passa anni a scavare negli archivi pubblici in diversi stati e mette insieme una storia sulla violenza e il razzismo del fondatore della città che nessuna testata mainstream probabilmente avrebbe mai pubblicato.
La ‘’legge scudo’’
Una cosiddetta ” legge scudo ” federale per i giornalisti – normativa che dovrebbe proteggerli dall’ obbligo di rivelare le loro fonti quando fossero spinti a farlo da parte del governo o dei giudici – potrebbe sembrare una grande idea. Giornalisti di vario tipo sono stati presi di mira dall’ amministrazione Obama in relazione alle ‘’soffiate’’ di informazioni riservate e ci sono molte persone che sostengono una legge del genere. Ma il grosso problema è che essa presuppone che il governo e / o i tribunali  decidano chi è un giornalista .
Perché è un problema? Perché – risponde Ingram – il giornalismo non è più qualcosa che viene praticata solo da uno specifico gruppo di persone che lavorano per un relativamente piccolo e facile da definire gruppo di pubblicazioni e mezzi di comunicazione – giornali, reti televisive , e così via. Che siano giornalisti tradizionali o facciano ” citizen journalism “, la realtà è che i blog , i social media e altri strumenti danno praticamente a chiunque la possibilità di fare quelli che Andy Carvin di NPR, in un commento su Poynter,  ha chiamato ‘’atti casuali di giornalismo’’ (random acts of journalism).
La questione non è tanto se questi tipi di atti – come quello del programmatore di computer in Pakistan che twittò in tempo reale il raid americano al compound di Osama bin Laden, o le cronache in diretta da Egitto e Tunisia – sostituiscono il giornalismo tradizionale. Essi invece lo allargano, lo espandono. Come possiamo garantire che anche questi tipi di attività siano protetti ? David Carr , esperto di media del New York Times,  sostiene che una legge scudo è meglio di niente.
Ma è vero?
Esaminando i tre episodi citati all’ inizio, Ingram osserva che filmare o registrare i comportamenti della polizia o di altre autorità e renderli pubblici è un aspetto cruciale del problema, tanto che ci sono numerosi casi in cui le forze dell’ ordine hanno sequestrato video analoghi ritenendo erroneamente di essere legalmente autorizzati a farlo. In una sentenza su uno di questi episodiil giudice Kermit Lipez, della First Circuit Court of Appeals, spiegava perché la protezione della libertà di parola prevista dal Primo Emendamento deve essere applicata a chiunque, non solo ai giornalisti accreditati, osservando:
” I cambiamenti nella tecnologia e nella società hanno reso i confini tra privato cittadino e giornalista estremamente difficili da tracciare. La proliferazione di dispositivi elettronici con funzionalità di video-registrazione comporta che molte delle immagini degli avvenimenti attuali provengono da astanti (e) e le informazioni giornalistiche hanno ormai le stesse probabilità di essere diffuse da un blogger al suo computer che da un reporter in un grande quotidiano. Questi sviluppi rendono chiaro perché la protezione dell’ attività giornalistica prevista dal Primo Emendamento non può basarsi su credenziali o sullo status professionale ” .
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E’ il giornalismo che bisogna proteggere
In poche parole, il problema più complesso al centro del di battito sulla ‘’shield-law’’ è: come possiamo definire chi è o non è giornalista? Nella versione originale del progetto di legge del Senato proposto da Dianne Feinstein , c’ erano una serie di parametri necessari per far scattare il diritto alla protezione – fra cui l’ arco di tempo passato a lavorare in qualche struttura giornalistica o il requisito di essere stato pagato per il suo lavoro. Nessuno degli esempi utilizzati nella ricerca per la Free Press sarebbe rientrato in quelle previsioni.
La definizione del disegno di legge era diventata meno restrittiva prima di passare alla Camera a settembre: come la Electronic Frontier Foundation ha osservato in un’ analisi delle norme (ancora ferme alla Camera), il testo non richiede più che il giornalista debba essere un ” lavoratore dipendente ” o che il soggetto sia una redazione giornalistica, e dà ai giudici un ampio margine di discrezionalità per definire chi possa godere della protezione, anche se non corrisponde alla definizione, se la Corte ritiene “che tali protezioni sarebbero nell’ interesse della giustizia e necessarie per proteggere attività di raccolta di notizie svolte in maniera lecita e legittima”.
Nel suo Rapporto per la Free Press, Josh Stearns compara i casi da lui citati  a quello giudicato dal magistrato della Corte d’ Appello Usa Kermit Lipez: la conclusione è che la portata di possibili atti di “citizen journalism” sono così ampie che è quasi impossibile includerli tutti sotto una unica definizione:
“Nella situazione di oggi, non ha senso applicare la protezione della libertà di stampa solo a una classe ristretta di professionisti. Ogni giorno migliaia di americani sono fondamentali per il futuro del giornalismo come consumatori, distributori e creatori di notizie. Abbiamo bisogno di spingere verso politiche che proteggono questi nuovi protagonisti. Non basta proteggere i giornalisti tradizionali; dobbiamo proteggere tutti gli atti di giornalismo’’.