Quando il cane da guardia non fa la guardia
The Watchdog That Didn’t Bark: The Financial Crisis and the Disappearance of Investigative Journalism (Il cane da guardia che non abbaiò: la crisi finanziaria e la fine del giornalismo investigativo) è il titolo di un saggio di Dean Starkman pubblicato dalla Columbia University Press.
Il sito online della CJR ne riporta un estratto in cui si denuncia come i giornalisti economici delle grandi testate fossero talmente integrati con i responsabili della grande recessione del 2008 da non riuscire a vedere i segnali abbondanti della crisi che si avvicinava.   Â
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The great story
La stampa economica americana non è riuscita a indagare e a far luce sulle responsabilità delle banche di Wall Street e delle grandi società finanziarie nel campo dei mutui negli anni precedenti alla crisi finanziaria del 2008. Ecco perché la crisi è scoppiata come uno shock per il pubblico e per la stessa stampa.
Il cane da guardia insomma non abbaiò. Che cosa era successo? Come è stato possibile che un intero segmento della cultura giornalistica, considerato particolarmente sofisticato e ben addentro alle cose, si sia lasciata sfuggire una vicenda così rilevante? E perché accadde che qualche giornalista, soprattutto al di fuori del mainstream, era stato in grado di mettere individuare i cambiamenti radicali che stavano scuotendo il sistema finanziario, mentre la stragrande maggioranza del mainstream non era riuscito a farlo?
Questo è un libro sul giornalismo investigativo e su cosa succede quando il cane da guardia non fa la guardia. Succede che il pubblico viene lasciato al buio e impotente contro problemi tanto complessi da travolgere importanti istituzioni nazionali. Non c’ è bisogno di ricordare, ancora oggi, i costi della crisi: 10 milioni di americani che persero la casa, 23 milioni di disoccupati o sottoccupati , intere comunità costrette a cancellare una intera generazione, una forte polarizzazione politica e la instabilità , dentro e fuori gli Usa. E così via.
Le radici della crisi erano davvero un segreto? Era tutto così complesso da essere al di là della capacità di comprensione del giornalismo convenzionale e, attraverso di esso, dei cittadini? Era tutto così nascosto? La risposta a queste domande è “no “. Il problema – gli stimoli distorti che avevano danneggiato il sistema finanziario – era semplice, ma non per i dirigenti di Wall Street, gli uomini d’ affari, le agenzie di rating, gli analisti e gli altri addetti ai lavori. Ma era chiaro agli outsiders: le agenzie statali, gli avvocati civilisti, i mutuatari truffati e, soprattutto, gli ex addetti delle istituzioni finanziarie, quelli che poi facevano le ‘’soffiate’’. Ma erano pochi i giornalisti che parlavano con loro e che avevano capito la metastasi che aveva attaccato il sistema. E che ne parlavano. Sfortunatamente quei giornalisti non lavoravano per le grandi testate economiche.
All’ indomani del fallimento di Lehman Brothers, nel settembre 2008, scoppiò un grande conflitto sulle cause della crisi, una lotta che ora più o meno si è conclusa, con Wall Street e i boss dei subprime sul banco degli imputati. Ma parallelamente era nato anche uno scontro, meno ampio ovviamente, sul ruolo della stampa economica. (…)
Per i giornalisti finanziari, la crisi fu qualcosa di più di una sorpresa e c’ è qualcosa di inquietante al riguardo. Una intera generazione di professionisti era, in effetti, cresciuta con le grandi società di Wall Street e le aveva messe sulle copertine di Fortune e Forbes, sulla prima pagina del Wall Street Journal e del New York Times e così via. Con tanto di classifiche. Quelle aziende erano diventate assai familiari e la stampa, nel corso degli anni, le aveva ampiamente antropomorfizzate: Morgan Stanley, l’ elite Wasp del paese; Merrill Lynch, l’ irlandese-cattolica; Goldman, la grande finanza ebraica; Lehman, l’ ebreo rissoso; Bear Stearns, il cattivo, ecc. Amati od odiati, però erano lì, benedetti dalle società di revisione, le agenzie di rating e di controllo, luccicanti torri del potere. Finché un giorno, sparirono.