Giornalismo online. Maistrello, siamo ancora alla preistoria di una nuova era
Il giornalismo in rete? “La maggior parte dei prodotti professionali disponibili oggi è ancora molto deludenteâ€. I social? “Fondamentali. Il sito in sé è sempre meno strategico, quasi un ostacolo. Oggi tutto si gioca sulla capacità di animare flussi di informazioni e di facilitare la generazione di contesti, ovunque sia utileâ€. Il fact checking? “Aiuterà a mettere in circolo anticorpi rispetto alle falsità e le bufale in una società che costruisce sempre più il suo futuro sulla circolazione delle informazioniâ€.
E poi citizen journalism, la vendita di YouReporter, urban blog, informazione iperlocale e il futuro del giornalismo, sempre più caratterizzato dall’ integrazione tra l’on-line e la carta: “L’integrazione è ormai nei fatti. L’ online non può che crescere. La carta non può che contrarsi, ripensando profondamente il suo senso, ma non credo sparirà del tuttoâ€.
Sergio Maistrello affronta questi e molti altri argomenti chiave della situazione attuale e del futuro del giornalismo in questa intervista a Lsdi.
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Giornalista professionista, Maistrello è specializzato in applicazioni e implicazioni sociali di internet oltre ad essere consulente sulla comunicazione digitale e social media. Al suo attivo ha cinque libri l’ultimo dei quali, Fact checking. Dal giornalismo alla Rete, è uscito lo scorso anno.
Cofondatore e organizzatore della conferenza internazionale State of the Net , Maistrello insegna social media al Master in Comunicazione della Scienza della Sissa (TS) dove è stato docente, dal 2011 al 2013, anche nel Master in Giornalismo scientifico digitale. Membro della Online Journalism Association, è stato docente anche all’Università di Trieste dove ha insegnato, fino al 2011, Giornalismo e nuovi media: era lui il relatore della tesi di Claudia Bolboceanu sull’Huffington Post di cui Lsdi si è occupato qui.
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a cura di Fabio Dalmasso
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D – Giornalismo e internet: qual è la situazione secondo lei?
R – Siamo alla preistoria. Viviamo questa fase come se fosse l’ acme di una civiltà , mentre stiamo facendo i primi passi in un’ epoca completamente diversa. L’ informazione è uno dei processi fondamentali di questo passaggio, ma il modo in cui la pensiamo, la elaboriamo e la diffondiamo è ancora enormemente legata alla dimensione industriale da cui proveniamo.
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Come giudica il livello attuale di giornalismo sulla rete?
Sono combattuto tra la delusione nel constatare quanto tempo stiamo perdendo per resistenze e banali fraintendimenti riguardo al funzionamento di internet e, per contro, l’entusiasmo di fronte alle prime manifestazioni di un’ epoca in cui una quantità inaudita di informazione è al tempo stesso prodotta e disponibile a molte più persone che mai nella storia. La maggior parte dei prodotti professionali disponibili oggi è ancora molto deludente. Più interessanti sono le esperienze di chi possiede una specializzazione e la condivide in rete con la sua comunità .
Qual è il ruolo dei social media nell’attuale giornalismo secondo lei?
Fondamentale. Ma io non vedo la divisione tra siti, blog, giornali online e social media che mi sembra di leggere nei progetti editoriali e nei commenti di molti colleghi. È un unico ecosistema in cui le informazioni hanno tanto più valore quanto più esse sono libere di entrare in relazione con le persone e con altri luoghi della rete. Il sito in sé è sempre meno strategico, quasi un ostacolo. Oggi tutto si gioca sulla capacità di animare flussi di informazioni e di facilitare la generazione di contesti, ovunque sia utile.
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 Se dovesse definirlo, che cos’è secondo lei il citizen journalism? Esistono, secondo lei, dei possibili pericoli per la qualità del giornalismo?
A conti fatti non so definire il citizen journalism, perché non riesco più a distinguere un’ informazione fatta da professionisti e un’ informazione fatta dai non professionisti. Tutti fanno informazione, secondo diversi livelli di qualità , precisione e indipendenza. L’ aspetto professionale subentra a un diverso livello, ovvero nella capacità e nella continuità del professionista di andare a fondo nelle questioni e assistere il filtro comunitario della rete a far emergere il meglio, i dati di fatto, le notizie verificate. Ma il cuore della funzione informativa, nel momento in cui il metodo giornalistico è rispettato, non credo sia più definita dall’inquadramento contrattuale o dalle nostre precarie definizioni legate a un’industria che non c’è più.
Cosa ne pensa della vendita di YouReporter?
Ne penso bene. Sono contento che un gruppo che ha lavorato tanto in questi anni per trovare nuove sintesi tra fermenti della rete e cardini della professione abbia trovato un approdo. Spero liberi creatività per andare oltre un prodotto che comunque è nato a sua volta in un’ epoca diversa, quando autopubblicare notizie e video sui social network non era ancora così comune. Mi sembra poi positivo che un grande giornale si sia portato in casa competenze mature. Ora le può soffocare, oppure le può far crescere, moltiplicando le scintille di innovazione all’ interno dei propri processi editoriali. Basta che non si fermino al prodotto, perché non è nel prodotto che sta l’ innovazione.
Non crede che ci possano essere dei pericoli?
A quale proposito in particolare? Pericoli ci sono nei giornali e nelle televisioni, ci sono nella corporazione professionale, ci sono nell’attività quotidiana di qualunque giornale di provincia. Figuriamoci se non ci sono anche in rete.
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Tra le diverse attività si occupa di fact checking al quale ha dedicato anche il suo ultimo libro: potrebbe spiegare di cosa si tratta e perché è così importante per il giornalismo? Potrebbe fare degli esempi?
Il fact checking è il distillato del metodo giornalistico. Vuol dire semplicemente controllare i fatti: una pratica che sarebbe rivoluzionaria perfino in molti ambienti professionali tradizionalissimi. Espulso dalle aziende editoriali per contenere i costi, il fact checking è rientrato dalla finestra sotto forma di start up giornalistiche che passano al setaccio soprattutto le dichiarazioni dei politici, come PolitiFact negli Stati Uniti o Pagella Politica in Italia. O in piattaforme collaborative come Fact checking di Fondazione Ahref. Un mondo interessante da conoscere e approfondire.
Ma, di nuovo: se è solo un giocattolo nuovo per abbaiare al potere, un format tecnologicamente maturo per sbeffeggiare il rappresentante impreparato, allora non servirà granché. Molto più interessante è se il fact checking aiuterà a mettere in circolo anticorpi rispetto alle falsità e le bufale in una società che costruisce sempre più il suo futuro sulla circolazione delle informazioni. Nel momento in cui ciascuno di noi può rendere pubblico il proprio pensiero con enorme facilità , il principio isolato nei servizi per la verifica dei fatti ci stimola al rigore di quanto diffondiamo, alla precisione dei riferimenti, al link che facilita l’ accesso alle fonti, alla collaborazione con le competenze altrui. Il fact checking comincia scrivendo le proprie cose, prima ancora che commentando quelle altrui. È una scuola di ecologia.
 Che cos’è l’ informazione iperlocale?
È l’ informazione che si concentra su una comunità molto specifica. Non necessariamente la regione o la città , come nel caso dei nostri giornali locali tradizionali, ma il quartiere, la via, il condominio. Non cambia tanto la dimensione, che è relativa, ma la genesi dell’ informazione stessa. L’ informazione non è più qualcosa che un professionista prende, elabora e ricaccia dentro, magari dopandola. Grazie agli spazi della rete in cui sempre di più la comunità si esprime spontaneamente, è qualcosa che emerge spontaneamente, e a cui un professionista può eventualmente contribuire a dare forma o a integrare. Sembra una banalità , in realtà significa spostare l’ asse dell’informazione locale e ripensare completamente i prodotti.
Sul suo sito scrive che sperimenta processi di informazione e partecipazione iperlocale su Arca di Naon: può dirci di cosa si tratta?
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Arca di Naon è un urban blog con cui negli avanzi di tempo sperimento modelli di informazione iperlocale sulla comunità che conosco meglio, Pordenone, la città in cui vivo. Aggrego contenuti e interazioni che emergono dai social media, rilancio materiale interessante, provo a contestualizzare alcuni macrotemi, produco contenuti originali laddove ho competenze specifiche da mettere a disposizione della comunità . C’ è dietro una riflessione ancora in fieri sul momento particolarmente fecondo che potrebbero vivere comunità di dimensione contenute e ricche di fermenti eterogenei, se imparassero a servirsi in modo maturo gli strumenti della rete per valorizzare le proprie esperienze e competenze, moltiplicando le relazioni al proprio interno e sulla scena globale.
Se avessi a disposizione anche solo un centesimo della forza e del budget di un giornale locale tradizionale, invece che qualche scampolo di tempo libero autofinanziato, ci sarebbe da divertirsi.
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Che cos’è l’Online Journalism Association e di cosa si occupa?
ONA è un’associazione internazionale e no profit con base negli Stati Uniti che riunisce giornalisti che operano in rete e che ragiona sulle interazioni tra giornalismo, tecnologia e innovazione. Organizza una conferenza annuale che è il punto di riferimento del settore e diverse attività di formazione e divulgazione in molti paesi. Il gruppo italiano, per esempio, organizza ogni anno alcuni workshop e convegni al Festival di Perugia, ma anche giornate a tema, come il laboratorio sul giornalismo dei dati che si terrà il 5 aprile a Torino.
Come vede il futuro del giornalismo: solo web e niente carta o un’integrazione tra i due?
L’ integrazione è ormai nei fatti. L’ online non può che crescere. La carta non può che contrarsi, ripensando profondamente il suo senso, ma non credo sparirà del tutto. Ma mi è sempre sembrato un problema di gran lunga secondario, rispetto alle ridefinizioni di processi che coinvolgono l’ informazione postindustriale.