La consapevolezza digitale in dieci mosse
Per noi, come sa bene chi ci segue anche solo un pochino, la questione della consapevolezza, della cultura digitale, del capire prima di porre in essere nuove regole, nuove leggi, gabbie, gabbiette, reti e steccati; è centrale. Da anni ma che dico, mesi, ma che dico, giorni, ma che dico? Ci battiamo in lungo e largo, cercando di non prenderci troppo sul serio, per provare a fare in modo che il centro del contendere quando si parla di innovazione digitale non sia dentro agli scontri sulle “scorciatoie tecnologiche” ma passi dalla cultura e dalla formazione. Quindi va da se che quando ci siamo imbattuti in questo “manifesto per la consapevolezza digitale” l’abbiamo immediatamente messo da parte con cura proponendoci di approfondire la materia e magari scriverci anche un pensierino: a modo nostro. L’iniziativa è delle migliori, non c’è dubbio. Lo sviluppo della medesima, così come viene raccontato in questo articolo da Sonia Montegiove, è quanto di meglio si possa sperare, sempre dal nostro parzialissimo punto vista. Come si evince in modo chiaro in questo passaggio dell’articolo:
“La peculiarità del progetto, al quale è collegata anche una attività di ricerca, consiste nel fatto che il percorso formativo non si propone di “illustrare†ai ragazzi buone prassi d’uso della rete che sono state codificate da esperti, ma nel supportare i ragazzi in un percorso partecipato che vede gli esperti coinvolti nel mostrare le dinamiche di funzionamento di internet e dei social media, e gli studenti a ragionare su ciò che tali dinamiche comportano. Il risultato è un percorso formativo rivolto ai ragazzi delle terze medie e finalizzato a scrivere in modo collaborativo un decalogo della consapevolezza digitale. Una raccolta di domande da porsi prima di postare qualcosa sui social che stimolano la curiosità , la conoscenza e l’approfondimento. Domande che sono i ragazzi, forti del loro buonsenso e della acquisita consapevolezza delle dinamiche della rete, a porre e a porsi”.
Formare per capire, formare per riuscire ad avere accesso agli strumenti e ai percorsi di apprendimento per orientarsi in modo consapevole dentro alla “rivoluzione digitale”. Questa la filosofia che da sempre sosteniamo e che ci sembra essere alla base anche di questo progetto didattico. E allora andiamo a vedere insieme punto per punto cosa prevede questo “manifesto della consapevolezza digitale” vergato direttamente dai ragazzi. E in particolare in questo specifico caso dagli studenti delle scuole medie dell’istituto Cocchi Aosta di Todi in Umbria. Andiamo a scoprire cosa hanno evidenziato le riflessioni dei ragazzi umbri, aggiungendo ad esse, alcune nostre specifiche considerazioni, e altre ricavate da documenti scritti da altri studenti, anche loro umbri – ma è solo un caso –  dell’Università di Perugia, che abbiamo sollecitato sulla materia durante il laboratorio che il nostro Marco Renzi ha tenuto nelle scorse settimane presso l’ateneo umbro dedicato alla diffusione della cultura digitale.
1) Ciò che condividi rimarrà visibile per sempre
(Sai che quello che posti resterà per sempre? Sai che potranno vederlo i tuoi figli, i tuoi nipoti, il tuo datore di lavoro, potenzialmente tutti? Può danneggiarti o ti crea imbarazzo?)
Ponendo l’accento sul fatto che la rete non dimentica si cerca di informare tutti rispetto ad un rischio che nel mondo analogico era molto più contenuto: quello legato alla propria privacy,  sia che si sia noi stessi a violarla nostro malgrado, sia che venga violata da terzi. Si evoca anche se non in modo diretto la problematica del cosiddetto “diritto all’oblio”, una questione molto più complessa e articolata, che in occasione del nostro primo digit nel 2012 l’insigne giurista Giusella Finocchiaro spiegò, a nostro avviso, in modo chiaro rifacendosi ad una allora recente sentenza della Corte di Cassazione italiana :
” Per la prima volta la suprema Corte si pronuncia su questo tema; e lo fa sapendo di muovere i primi passi, la decisione lascia soluzioni aperte. Un politico nel ’93 viene indagato per corruzione. Al processo viene assolto e prosciolto. In anni successivi sul motore di ricerca trova tracce dell’indagine in cui è stato coinvolto ma non della sentenza di assoluzione. Agisce sul tribunale e tutti respingono le sue doglianze. Per i giudici vale il diritto di cronaca. Il politico chiedeva che la notizia fosse oscurata. Diritto all’oblio. La Cassazione dice: certamente la notizia è stata pubblicata correttamente ma oggi quella verità va completata con un’ altra informazione e bisogna contestualizzare la notizia. In quale modo non lo sappiamo. Non si tratta di diritto all’oblio ma di contestualizzazione. Non vanno riscritti gli archivi storici ma vanno completate le informazioni in nostro possesso. Una verità parziale non è una verità . Si tratta di una sentenza interessante perché non si basa sulla privacy e sulla protezione ai dati personali. Questa sentenza è basata sul diritto all’identità personale, una norma degli anni ’60. La mia identità è anche quella digitale e quindi deve essere aggiornabile. Come si fa a contestualizzare? Non va fatto per qualunque informazione e in modo automatico. Certamente non va fatto per le opinioni. Bisogna agire solo su fatti certi supportati da un dato incontrovertibile. Questa sentenza avvia un’epoca”
2) Ciò che condividi ha conseguenze. Positive e negative
(Quale effetto avrà ciò che stai postando? Sei sicuro di quello che affermi? È vero? È utile ad altri? Farà star male qualcuno o te stesso?)
Internet si potrebbe paragonare ad un grande contenitore che viene riempito di milioni di fatti e situazioni che avvengono in tutto il mondo. Quando si pubblica qualcosa sul web, poi non sarà più possibile eliminarlo dalla rete e quindi prima bisognerebbe pensare alle varie conseguenze che ci potrebbero essere.
3) Ciò che condividi deve essere vero
(Sei sicuro che ciò che condividi sia vero? Sei certo della fonte della notizia che condividerai? Hai fatto delle verifiche? Sei sicuro di voler scrivere una cosa non vera su una persona? Hai valutato le conseguenze?)
Vero, falso e soprattutto, verosimile. In questi tre concetti e in particolar modo nella definizione del terzo, sta racchiusa una buona fetta dei nostri comportamenti on e off line. Non siamo tutti giornalisti e quindi quelli di noi che condividono informazioni senza alcuno scopo professionale non sono tenuti a verificare che le informazioni che condividono siano fondate. Non è cercando di istituire commissioni o di elaborare regolamenti o leggi che impediscano alla gente di postare quello che gli passa per la bacheca che si risolve il problema delle fake news. L’unica strada possibile – a nostro avviso - passa per la formazione capillare di tutti al saper stare online coscienziosamente e consapevolmente. Alla comprensione completa dei propri atti. Al mettere assieme la propria esperienza nel mondo e nella vita con quella che è la nostra attuale vita che si svolge in buona parte in forma digitale e dentro mondi virtuali.
4) Ciò che condividi deve essere utile
(Stai condividendo una cosa di valore per gli altri? Ciò che stai condividendo può aiutare qualcuno a conoscere qualcosa di nuovo o di interessante? Sarà utile alla crescita della tua Io SpA? Ti aiuterà a costruire una rete di contatti basata sugli interessi?)
5) Ciò che condividi ti rappresenta
(Stai condividendo post, commenti, video e foto che danno una idea corretta di te? Oppure ciò che condividi può dare un’idea sbagliata su come sei? Le persone potrebbero vederti in modo diverso da quello che realmente sei?)
Questo punto, secondo me, fa parte del concetto più ampio di personal branding. Riuscire a fare un buon personal branding nei propri profili social è importante per l’immagine che vogliamo dare di noi stessi a chi ci conosce ma soprattutto a chi non ci conosce. Ad oggi, molti si basano su quello che si vede sulle piattaforme social per poter inquadrare qualcuno, anche chi vorrebbe/potrebbe offrirci un lavoro. Per questo motivo è importante stare attenti in questo senso a ciò che si condivide sui social, a mio parere è necessario dare una visione generale di chi siamo, senza fornire dati sensibili (cosa che non tutti fanno) come ad esempio sbilanciarsi sull’orientamento politico o sessuale.
6) Ciò che condividi ti profila
(Sai che fine faranno i dati che stai cedendo? Sai per quali scopi saranno utilizzati e da chi? Sai che ciò che condividi può essere usato per disegnare un profilo di te e delle tue abitudini? Ti sei chiesto se valga la pena fornire i tuoi dati come pagamento per il servizio che vuoi usare?)
Prima e soprattutto dopo lo scandalo Cambridge analytica e poi dopo l’entrata in vigore del GDPR, il nuovo regolamento sulla privacy della Unione Europea, tutti siamo diventati improvvisamente molto esperti di dati e privacy. O forse no? Abbiamo davvero compreso dove sta il bandolo di questa intricata matassa? Ci piacerebbe avere in qualche modo contribuito a fornire qualche piccola indicazione in merito. Ma quello di cui saremmo veramente fieri è l’aver instillato un dubbio nei nostri lettori. La voglia di capire meglio e in modo più approfondito la questione. I dati sono i nostri comportamenti e stando sempre di più connessi difficilmente potremo mettere un freno, un tappo, un qualsivoglia limite a quello che facciamo e quindi alla mole di informazioni che più o meno consciamente forniamo e forniremo a destra e a manca. Quello che però potremo fare d’ora in poi è agire avendo contezza dei nostri comportamenti e magari andare alla ricerca di nuove risposte per allargare la nostra visione in tal senso.
7) Ciò che condividi ti potrebbe far correre dei rischi
(Sei sicuro di voler condividere informazioni personali? Qualcuno, oggi o in futuro, potrebbe utilizzare questo contenuto per danneggiarti o farti del male?)
Internet è il “luogo” in cui chiunque può esprimere le proprie idee, pensieri, azioni; proprio perché chiunque può dire la sua, tutti noi siamo anche soggetti a critiche, spesso feroci. Il fatto che internet sia un luogo libero per tutti o quasi, fa si che molti non comprendano, specialmente i più giovani, quale sia il limite da porre ai propri atti.
8) Ciò che condividi può fare molto male
(Con ciò che condividi stai offendendo qualcuno? Stai minacciando? Stai disturbando? Come ti sentiresti al posto della persona della quale stai parlando? Sei certo di voler condividere qualcosa che fa male?)
Spesso purtroppo si parla di cyber bullismo. Grazie alla protezione dello schermo molti pensano erroneamente di poter dire quello che vogliono e quando vogliono, senza pensare che dall’altra parte ci sia una persona fisica che potrebbe esserne offesa. E’ dunque importante, prima di commentare qualcosa, o di condividere qualcosa, pensare al linguaggio che si utilizza, pensare bene al messaggio che veicoliamo attraverso quello che condividiamo.
9) Ciò che condividi può fare molto bene
(Con ciò che condividi farai felice qualcuno? Rispondendo in modo gentile ed educato ti distinguerai in meglio dagli altri? Stai contribuendo alla discussione in maniera tale da creare accordo invece che stimolando disaccordo o addirittura odio?)
10) Ciò che condividi deve essere sensato ma soprattutto pensato
(Sicuro di voler postare? Sicuro di voler commentare? Sicuro di voler partecipare alla discussione? Sicuro di dover rispondere? Pensaci prima di postare)
… Dopo aver letto il Manifesto della Consapevolezza digitale si conferma ancora di più il mio pensiero sull’ estremo bisogno di un’ educazione alla digitalizzazione. Il Manifesto riassume molto bene i punti cardine che ciascuno di noi dovrebbe valutare bene prima di condividere sul web la propria vita.
Per quanto riguarda la mia esperienza essendo una nativa digitale quando ho iniziato ad usare i social erano una assoluta novità e nessuno ancora si preoccupava dei dati che stava condividendo sul web e la stessa cosa è successa a me. Ho aperto il mio profilo Facebook nel 2009, quindi all’ età di 13 anni e riguardando indietro il mio profilo Facebook noto una grande differenza da allora e non soltanto perché sono cresciuta di età ma soprattutto perché la mia e anche la concezione del mondo sui social network è cambiata. Inizialmente condividevo molto, sia cose simpatiche e futili come post sull’ amicizia dove taggavo le mie amiche del cuore ma anche video e miei pensieri personali sullo sport, la quotidianità , la politica, la scuola e vicende del mio piccolo paese. Ora il mio profilo lo utilizzo principalmente per gironzolare dentro il social stesso. Pubblico abbastanza raramente sul mio profilo e se lo faccio sono principalmente foto, immagini relative ai miei interessi personali (particolarmente immagini tratte dalle mie serie tv preferite), canzoni e a volte quando leggo degli articoli particolarmente interessanti li ri-condivido in modo da divulgare informazioni che ritengo possano essere interessanti…
… leggendo il decalogo e provando a rispondere personalmente alle domande, sono arrivata alla conclusione che c’è davvero poca consapevolezza su ciò che si scrive, sulle conseguenze e rischi che ne potrebbero derivare. Questa poca consapevolezza probabilmente deriva da uno scarso interesse da parte delle istituzioni, le quali dovrebbero attivarsi di più per far sì che l’uso del mondo digitale diventi più consapevole e così più sicuro …
E’ importante aver messo a punto un vademecum di consigli che facciano da linea-guida per i web user in tutte le declinazioni che possano assumere nel mondo di Internet da blogger a instagrammer. Non è un decalogo di regole prescrittive, impositive, quanto invece, una guida agli strumenti informativi che rendono più edotti, coscienti, consapevoli, responsabili, informati, i web user nella fruizione multimediale, in cui il web user è sempre più un prosumer.
Sono una fashion blogger e anche un influencer e per me è estremamente importante valutare qualsiasi contenuto prima di postarlo. Specialmente nel mio lavoro bisogna fare particolare attenzione ed evitare commenti negativi su aziende o persone, ad esternare idee e opinioni poco popolari. Ci vuole molta diplomazia, nel dubbio meglio astenersi dal pubblicare contenuti. Anche le foto potrebbero essere fraintese: spesso mi capita di dover pubblicizzare costumi, in questi casi sto sempre attenta alle pose per non rischiare di inviare messaggi equivoci. Mai ritoccare le foto per modificare il proprio aspetto e postare immagini che non corrispondono a quello reale: mi è capitato di sentirmi dire che sono uguale alle mie foto, perché tanta gente, soprattutto le influencer usano photoshop in maniera sbagliata, costruendosi un’immagine fasulla destinata prima o poi ad essere smascherata.