Ricette per il caos – una rilettura dal 2006

 

Rieccoci a Voi con il secondo dei  tre articoli tre, ripescati dal nostro archivio e riproposti. Siamo ancora nel 2006, anno di profezie e felici intuizioni – almeno qui -  e ci troviamo a parlare di un libro. Un testo davvero molto particolare che introduce un concetto innovativo, anzi rivoluzionario, ma che da allora troveremo e ritroveremo in continuazione, non solo su questa bacheca ma ovunque nel mondo.  Essere o non essere giornalisti e/o comunicatori oggi? Dopo l’avvento di internet. Dopo la rivoluzione digitale. Dopo la transizione del mondo – più o meno rotondo -  da società dei consumi a società dell’informazione. Nel 2006 arriva questo testo che ci induce a ripensare, forse una delle prime volte, il rapporto fra informazioni/notizie/giornalismo e persone/consumatori/produttori. E ci invita a renderci “media”, noi medesimi, dentro a questo nuovo ecosistema digitale in cui è stato trasformato il nostro mondo. Rileggere quell’articolo potrebbe essere utile per rimettere un minimo di ordine – si fa per dire – fra le cose che sono davvero avvenute dopo l’avvento del digitale, e farci pensare un momento, con calma, al futuro, e a come vorremmo davvero relazionarci con esso. Alla rilettura, poi,  abbiamo aggiunto alcune chicche  – in realtà come vedrete si tratta di un racconto, molto doloroso e rievocativo – estratte dal testo medesimo e in particolare dal capitolo del libro  che viene citato nell’articolo del 2006, dedicato ai “media indipendenti”.   Buona lettura e rilettura e ancora buona estate e buon riposo a Voi tutti!

 

 

 

 

Un ‘’manuale di resistenza urbana’’ pubblicato da Arcanalibri spiega come fare a diventare ‘’intrepidi giornalisti indipendenti’’.
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Ognuno di noi ha le potenzialità per diventare giornalista, operatore video, tecnico radio, tecnico informatico o fotografo senza andare in costose università o scuole di specializzazione. Smettete di aspettare che i media ufficiali seguano le vostre storie e cominciate a costruirvi i vostri media!

Risuona di nuovo la parola dÂ’’ordine  che ha accompagnato in questi anni lo sviluppo, sia teorico che pratico, della informazione di movimento – ‘’donÂ’t hate the media, become the mediaÂ’Â’ – che è stata alla base dellÂ’’esperienza, fra lÂ’’altro, di indymedia.

Informationguerrilla ha messo online – vedi qui – alcuni capitoli – in traduzione italiana – di “Ricette per il caos. Manuale di resistenza urbana” a cura di CrimethInc. (un collettivo anarchico di Bloomington – Indiana), pubblicato da Arcanalibri .

Un capitolo è dedicato ai media (‘’Media indipendenti: come e perché crearsi i propri canali di comunicazione’’ è il titolo).

‘’Creare i vostri canali di comunicazione – spiega il libro – vi permette di diffondere informazioni senza essere censurati o travisati, liberando voi e le persone a cui vi rivolgete dalla dipendenza dai media istituzionali. I media center indipendenti possono essere centri di attività radicale dove si aggregano gruppi altrimenti eterogenei e separati e si collegano le iniziative di intrepidi giornalisti indipendentiÂ’Â’.

 

 

 

Come era verde la mia valle, verrebbe da dire, alla luce di quello che è davvero successo nei 15 anni successivi a questo pezzo. Gli afflati di indipendenza e libertà evocati nell’articolo e nel libro recensito, sono finiti tutti o quasi dentro alla pancia della balena blu o bianca, fate Voi, delle OTT, e noi, e la società dell’informazione che fine abbiamo fatto?  Una fine misera, o miserrima, purtroppo, al punto che pure sir Berners Lee, come abbiamo scritto più volte anche qui, evoca scenari catastrofici e chiede nuove coesioni, nuovi impulsi indipendentisti, promuovendo, lui medesimo, nuovi strumenti – addirittura – una “nuova internet”.  Ma intanto noi proviamo a riprendere alcuni passaggi di quel libro del 2006, giusto per provare a riflettere ancora e insieme, sul ruolo dei media e sul nostro  – di noi tutti cittadini/abitanti e non sudditi – rinnovato ruolo dentro alla società dell’informazione,  a vent’anni esatti da Genova e dal terribile, sanguinoso, e devastante  G8 di quel lontano, eppure così vicino, luglio del 2001.

 

 

 

 

 

Siamo arrivati a Genova qualche giorno prima che iniziassero le manifestazioni, per aiutare ad allestire il media center di Indymedia. Viaggiavo a bordo di un minuscolo camper con una mia amica tedesca, Maria. Ai confine non abbiamo avuto problemi: abbiamo detto alle guardie che andavamo in vacanza sulla costa. Invece quando siamo arrivati a Genova, la presenza della polizia era immediatamente evidente. Vicino alla spiaggia stavano allestendo il punto di raccolta per i manifestanti. Allo stadio, che distava appena un centinaio di metri, c’era un enorme quartier generale della polizia. Dopo aver girovagato un po’,
ci siamo accampati per la notte parcheggiando in un punto poco in vista, accanto a uno dei tendoni del centro di convergenza ancora in allestimento. Al mattino, dopo esserci riuniti con altri gruppi, ci siamo
diretti al media center della scuola Diaz.
Abbiamo trovato un posto dove sistemarci. La sala video era piena di attrezzature tecniche, ma nessuna sembrava disponibile per uso pubblico. Per fortuna sono stati “requisiti” due computer da altre stanze ed è stato installato il software di video editing necessario … anche se, come c’era da aspettarsi, uno dei computer si è rotto quasi subito e non ha più dato segni di vita. Io e Maria siamo scesi in strada per fare il primo resoconto dal centro di convergenza. Dopo poco tempo, mentre facevamo le riprese, un gruppo di poliziotti in borghese ci ha fermato e trattenuto. Eravamo all’esterno dello stadio dove alloggia tutta la polizia, che guarda caso si trovava misteriosamente proprio accanto al centro di convergenza. Ci hanno trattenuto in stato di fermo per qualche ora e intanto arrivava altra polizia in borghese, finché a un certo punto attorno a noi c’erano dieci o dodici poliziotti e due macchine.

 

 

 

Maria ricorda: “Era la prima volta che partecipavo a una grande manifestazione di protesta come questa, e quindi ero anche abbastanza ingenua.. . All’improvviso sembrava di essere dentro un film. Per fortuna ho trovato delle persone che mi hanno spiegato nel dettaglio cosa aspettarsi dalla polizia durante il giorno dell’azione, come fare con i lacrimogeni e via dicendo … in quel senso il media center era un posto un po’ incasinato, ma molto utile e accogliente”.

 

 

 

Dopo una pesante giornata di scontri segnata dalle violenze della polizia e dalla morte di Carlo Giuliani, sono tornato di nuovo al media center. Dopo l’uccisione di Carlo la tensione stava crescendo, insieme alla paranoia sulla repressione poliziesca. C’era chi cominciava a lasciare sia il media center che Genova. Si discuteva molto sul da farsi, ma non si riusciva a trovare un punto di consenso. Molti hanno deciso di andarsene, tanto che nel media center il numero dei presenti al calar della notte si era dimezzato.

 

 

 

A mezzanotte, si sente gridare che la polizia sta arrivando. Mi sono affacciato alla finestra e non si vedeva niente, ma gli altri cominciavano a correre da tutte le parti prendendo cose e barricando le porte. Sono andato di corsa a cercare Maria e le ho ricordato il nascondiglio sul tetto che avevo prima controllato. Lei ha preso i nastri e l’attrezzatura e si è diretta verso il nascondiglio. Guardando fuori dalla finestra non ho visto polizia attorno al portone, così ho gridato questa informazione alle persone che bloccavano la porta, cercando di calmare la situazione. Sono salito sul tetto e ho ripreso i carabinieri che facevano irruzione nell’edificio della scuola di fronte. Dall’altra parte della strada le cose stavano sfuggendo di mano: un furgone della polizia ha sfondato il cancello d’ingresso e i poliziotti hanno cominciato a spaccare le finestre con le sedie e a sfondare le porte con i tavoli che trovavano nel cortile.
Preoccupato per la mia incolumità e per quella dei video che avevo appena registrato, ho deciso di tornare giù per vedere se la polizia veniva a cercare anche noi che eravamo nel media center.

 

 

 

 

Le urla continuavano e sembrava che andassero avanti da ore. Maria ricorda: “Ero sicura che stessero ammazzando qualcuno. Non erano solo urla di dolore, erano urla di terrore per la paura di morire. Così sono rimasta seduta iì aspettando che arrivasse il mio turno. Poi i rumori si sono mescolati in un insieme convulso ed esasperante di urla terrorizzate, grida di rabbia al coro di ‘Assassini, assassini’, sirene di ambulanza e motori di elicottero sopra la testa. Ail’improwiso abbiamo sentito rumori di movimento all’esterno. La polizia stava perquisendo il tetto. Siamo rimasti muti e immobili per quasi quattro ore. Quando finalmente l’elicottero è scomparso, abbiamo avuto il coraggio di uscire dai cassone”. Abbiamo incontrato altri sopravvissuti all’irruzione che vagavano sul tetto in stato di shock. Abbiamo impugnato la telecamera e abbiamo intervistato due inglesi che erano nel media center durante il raid. Poi siamo scesi giù per esaminare i danni: porte divelte, computer in frantumi, hard disk strappati e monitor fracassati. Dall’altra parte della strada ci aspettava molto peggio. I1 pavimento era coperto di sangue, coa-
gulato in pozze e schizzi sulle pareti. Strisce di sangue fino agli angoli, vestiti sparsi in disordine, effetti personali lasciati sul pavimento e macchiati di sangue. Gente sconvolta cercava tra mucchi di cose mentre giornalisti locali facevano capannello. Sulle scale c’erano brandelli di pelle e ciuffi di capelli appiccicati alle pareti lungo una scia di porte sfondate e barricate di fortuna. La polizia aveva svuotato gli armadi e rovesciato i tavoli, cercando in tutti i posti dove potevano nascondersi
persone. Avevano sbattuto teste al muro e si sentiva dappertutto distintamente l’odore del sangue.

 

(Ricette per il caos – Manuale di resistenza urbana  Collettivo Crimethlnc)