In questi giorni Caterina Malavenda uno dei più apprezzati, competenti e stimati esperti di diritto, giornalismo e informazione ha scritto una lettera sul tema al direttore del Corriere della Sera. E l’ Unione nazionale cronisti ha diffuso una nota piuttosto critica.
Ai due documenti ha risposto il Garante Antonello Soro.
Pubblichiamo qui di seguito tutta la documentazione.:
– la lettera dell’ avvocato Malavenda
– il documento dell’Unci
– la risposta del Garante
– il testo delle modifiche e integrazioni proposte dal Garante a confronto con le attuali norme.
Caterina Malavenda: ”Troppi divieti al diritto di cronaca”
Caro direttore, il Garante della privacy ha deciso di modificare il codice deontologico dei giornalisti, allegato alla legge sul trattamento dei dati personali. A regole condivisibili e rodate, ne aggiunge altre, alcune delle quali rischiano di complicare ulteriormente la vostra vita e meritano, perciò, qualche riflessione.
Chi fa informazione può trattare quei dati, anche i più sensibili, senza il consenso del titolare, ma con le modalità stabilite appunto dal vigente codice deontologico, la cui violazione può generare già oggi gravi conseguenze e sul quale il Garante ha deciso di intervenire, per adeguarlo «alle mutate sensibilità », anche tenuto conto «delle implicazioni che l’evoluzione tecnologica ha sul modo di fare informazione.
Una spiegazione che non giustifica, però, l’introduzione di ulteriori e serie limitazioni al diritto di cronaca. Il presupposto perché il giornalista possa utilizzare i dati altrui è e rimane l’essenzialità dell’informazione che essi debbono corroborare.Si tratta evidentemente di un limite assai vago per chi deve osservarlo e, soprattutto, suscettibile di valutazioni opinabili, da parte di chi – Garante o Tribunale – deve giudicarne il rispetto, sulla scorta di divieti generali e deroghe eccezionali, su cui il nuovo codice deontologico interviene ancor più incisivamente, rischiando di limitare troppo la circolazione delle notizie e di generare, a titolo precauzionale, una prudenziale autocensura, a scapito della completezza dell’informazione, importante tanto quanto la sua essenzialità .
Il Garante codifica, così, per la prima volta, il diritto all’oblio, aggiungendo agli inediti e condivisibili obblighi, su richiesta dell’interessato, di aggiornare i dati, conservati negli archivi e di deindicizzare articoli assai datati, anche quello, assai meno condivisibile, di evitare ogni riferimento a particolari, relativi al passato «quando ciò non alteri il contenuto della notizia»; o persino, a distanza di tempo, l’obbligo di non citare il condannato, se ciò può incidere sul suo percorso di reinserimento sociale, senza alcuna eccezione.
Una coltre di silenzio potrebbe calare così sul passato di personaggi pubblici, ancora sulla scena e certo pronti a sostenere che una certa vicenda o una antica condanna siano oramai acqua passata ed a chiedere pesanti sanzioni per chi abbia osato rivangarle. Davvero sorprendenti sono poi i limiti introdotti, per via amministrativa, alla cronaca giudiziaria, là dove persino la politica si era fermata. Così il giornalista dovrà tacere l’identità di chi è stato sentito in un procedimento giudiziario, a meno che sapere chi è non sia necessario per comprendere la notizia; ma soprattutto e questa volta senza nessuna eccezione, non dovrà consentire l’identificazione delle persone, a qualunque titolo citate negli atti del procedimento, ma non coinvolte, mentre nel citare gli indagati, «valuta comunque i rischi». Non è peregrino immaginare la schiera di coloro che sosterranno, a pieno titolo, l’inutilità e, quindi, la illegittimità della diffusione della loro identità .
Attenzione anche alla divulgazione degli atti di un procedimento, in particolare le intercettazioni: necessario evitare ogni riferimento ai soggetti «non interessati», salvo che sussista, concetto del tutto inedito, «un eccezionale interesse pubblico»; e privilegiare la pubblicazione del contenuto degli atti, in luogo del loro tenore letterale, quando «non sia compromesso il diritto di cronaca». La struttura del nuovo codice è, dunque, omogenea, una somma di divieti chiari e di facoltà di deroga, dai contorni assai sfuggenti e dalla cui corretta interpretazione dipenderà la sorte del giornalista.Il trattamento dei dati, in violazione del codice deontologico, infatti, sotto il profilo delle conseguenze, equivale al trattamento senza il necessario consenso, un reato procedibile d’ufficio, punito con la reclusione – senza che nessuno si sia finora stracciato le vesti – se il giornalista lo ha commesso per ottenere un profitto per sé, quale può essere una promozione; o per altri, ad esempio per l’editore che, da uno scoop , trae un utile proporzionale al maggior numero di copie vendute.
È poi condotta pericolosa che causa sempre danni, salvo che si provi il contrario, che il giornalista e l’editore dovranno risarcire; ed è illecito disciplinare sanzionabile, nei casi più gravi, con la sospensione o la radiazione dalla professione. Serve altro, per dissuadere anche i giornalisti più coraggiosi?
Unione Nazionale Cronisti Italiani
La Privacy in soccorso di politici e potenti
Il Garante vorrebbe ridurre diritto-dovere di cronaca e indipendenza della notizia
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“La tutela della riservatezza e della dignità personale deve essere garantita anche ai personaggi pubbliciâ€. E quindi se Mauro Floriani è implicato nella vicenda delle prostitute minorenni dei Parioli non si deve ricordare che è il marito di Alessandra Mussolini perché lei è una parlamentare. E’ tutto virato alla protezione di politici e potenti di ogni grado l’articolo 8 della proposta di modifica del Codice deontologico dei giornalisti predisposta dal Garante per la protezione dei dati personali nel quale si afferma che “La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vi! ta pubblicaâ€. Quindi un muro di silenzio non solo su componenti di governo, parlamento, e altre istituzioni, ma anche su dirigenti di ministeri, Rai, Ferrovie, e di tutte le aziende appartenenti al pubblico. Tutto l’opposto di quanto la giurisprudenza e la dottrina hanno fino ad oggi riconosciuto, è cioè che i personaggi pubblici devono avere una privacy “affievolita†proprio in funzione del loro ruolo.
La proposta di modifica del Codice contiene molti altri punti del tutto inaccettabili, a partire dalla “filosofia†complessiva secondo cui la notizia non viene individuata e trasmessa al pubblico dai cronisti nell’esercizio del diritto-dovere di cronaca che impone al giornalista di informare i cittadini in modo corretto, completo e tempestivo. Nella proposta si parla di “limiti dell’essenzialità dell’informazioneâ€. Il risultato evidente è quello di sterilizzare la notizia di cronaca dal contesto in cui è nata e maturata e dal suo contesto storico per trasformarla in una monade isolata e a sé stante. Infatti, dice la bozza, all’art 4 che “Il giornalista evita di far riferimento, quando ciò non alteri il contenuto della notizia, a particolari relativi al passatoâ€.
Ma qualcosa di positivo per i giornalisti la bozza la contiene: il permesso di dare notizie. L’art 6 ,concede infatti che “Il giornalista può dare notizia delle situazioni di rilevante interesse pubblico o denunciare abusi relativi a luoghi di cura, detenzione, riabilitazione, trattenimento o accoglienza per stranieri, fermo restando l’impegno a rendere non identificabili le vittime di tali abusiâ€. Tutti luoghi che fino ad oggi, nella concezione del Garante erano off-limits per giornalisti e cittadini.
La risposta di Antonello Soro, Presidente del Garante privacy
Sono apparse in questi giorni, su testate e agenzie, prese di posizione contro il nuovo testo del codice deontologico dei giornalisti attribuito al Garante privacy, con formule suggestive e utili a creare allarme come “bavaglio”, “coltre di silenzio” “divieti al diritto di cronaca”. E’ dunque bene chiarire subito alcuni punti essenziali.
Il Garante per la privacy aveva espresso a suo tempo l’esigenza di aggiornare l’attuale codice dei giornalisti, vecchio di più di quindici anni. Tale esigenza è stata condivisa dall’Ordine nazionale dei giornalisti, con il quale si è avviato un proficuo confronto. E’ auspicabile che il lavoro svolto in questi mesi con l’Ordine non vada sprecato.
E, dunque, la prima cosa da sottolineare è che il Garante non ha imposto nulla. All’Autorità spetta, per legge, il compito di promuovere l’adozione del codice di deontologia, il quale, come tale, deve quindi essere proposto dagli stessi giornalisti. Il Garante, al momento, è in attesa che il testo venga sottoposto al Consiglio nazionale dell’ordine che dovrà a breve esaminarlo.
Non esiste quindi nessuna “via amministrativa”, come qualcuno strumentalmente tenta di accreditare presso gli stessi giornalisti, per imporre limiti alla libertà di stampa.
Né il Garante ha mai pensato di stabilire divieti o attentare alla libertà di informazione che è la cifra della nostra democrazia: gli interventi adottati in questi anni dall’Autorità dimostrano infatti il massimo rispetto per il diritto di cronaca. L’esercizio di tale diritto deve essere sempre libero: ma chi lo esercita deve sapere che può arrivare fino al punto di mettere in gioco altri diritti fondamentali, fino al limite di violare, in alcune circostanze, la dignità delle persone. Quel limite non è puntualmente predeterminato per legge: è piuttosto un punto di equilibrio che sta nella responsabilità del giornalista ricercare, non una volta per tutte, ma ogni volta che fa uso del potere e della libertà di informare. L'”essenzialità dell’informazione” costituisce, da oltre un decennio, la dimensione giuridica utilizzata dai giornalisti per esercitare il bilanciamento tra diritto di informare e diritto alla privacy.
Il codice deontologico, previsto dal legislatore e non dal Garante, costituisce una forma di autoregolamentazione attraverso la quale i giornalisti possono individuare criteri e misure più adatti per realizzare questo equilibrio. E rappresenta, a parere del Garante, la via migliore per definire autonomamente quei criteri rispetto ad eventuali decisioni o limiti dettati per legge.
Quanto ad alcune affermazioni lette in questi giorni, spesso sull’onda del sentito dire, va precisato che:
- il “diritto all’oblio” è un principio consolidato nella giurisprudenza europea (sancito anche nel Regolamento votato giorni fa dall’Europarlamento), ancor più valido oggi in presenza degli archivi on line dei giornali (il cui aggiornamento, peraltro, da alcuni anni viene già normalmente attuato dagli editori su richiesta degli interessati);
- la proposta di “privilegiare”, non imporre, la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni e non la pura e semplice trascrizione – “salvo i casi in cui non sia compromesso il diritto di cronaca” – fa riferimento ai principi già previsti dal codice di procedura penale;
- la tutela delle persone totalmente estranee al procedimento giudiziario, rispetto a fatti privi di interesse pubblico, è prevista non solo nella Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2003, ma costituisce un principio di civiltà .
I testi a confronto del Codice attuale e delle proposte di revisione e integrazione
(cliccare qui)