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Dossier:

Cinque anarchici del sud.
Una storia degli anni Settanta

Angelo Casile, uno dei cinque anarchici rimasti uccisi, che protesta contro quel mondo così difficile da combattere

Capitolo 9
Il deragliamento della «Freccia del Sud»

 

“Restano morti con autore ma
senza condanna processuale,
e nessun colpevole.”

Corte d’Assise di Palmi

9.1Il disastro del treno

Alle ore 17:10 del 22 luglio 1970, nella sede scambi di entrata della stazione di Gioia Tauro, deraglia il direttissimo Palermo- Torino (Treno del Sole). L’incidente causa la morte di sei persone e il ferimento di oltre 70: si tratta del più terrificante deragliamento ferroviario mai avvenuto nella provincia reggina. Il treno aveva traghettato sull’Iginia alle 14:35, proveniva da Villa S.Giovanni e stava per entrare in stazione alla velocità di 100 Km/H (inferiore dunque alla velocità massima consentita sulla linea ,110 Km/H). I passeggeri trasportati erano circa 200, tra cui una comitiva di 50 persone dirette a Lourdes.

“Il treno del sole era come una lunga biscia nera schizzata di sangue, il parroco del Duomo, con la stola violacea, passava lungo l’interminabile convoglio di dolore per dare l’estrema unzione ai morti, inginocchiandosi accanto ai corpi martoriati”

“(…)sul posto della sciagura, fra ululati di sirene e grida di disperazione, mentre la fiamma ossidrica cercava, ostinata, di agevolare il tentativo per strappare al groviglio delle lamiere gli ultimi corpi straziati…La scena del delitto si è presentata agli occhi dei soccorritori in tutta la sua gravità. Gente che fuggiva, calpestandosi. Membra umane che sporgevano sanguinanti dal groviglio. Corpi dilaniati, sfigurati. Pianti, isterismi,paura e disperazione. Tutto intorno valigie e fagotti”

La scena del disastro si presenta così: il locomotore, con le prime cinque carrozze che lo seguivano regolarmente agganciate, è fermo a 30 metri dalla stazione; la sesta vettura è deragliata su un asse, la settima è deragliata su quattro assi, come pure l’ottava (vagone letto). La nona vettura (cuccette di seconda classe) è ribaltata sul terzo e quarto binario dopo un volo di 50 metri- il treno si è infatti spezzato- e ha divelto un palo di sostegno della linea aerea di contatto.

“Il locomotore e le prime nove vetture avevano superato lo scambio posto all’altezza del cavalcavia, lato Reggio Calabria, che immette sul primo e secondo binario della stazione. La cassetta di manovra dello scambio era completamente distrutta. I due tiranti che azionano gli aghi erano rimasti liberi e quindi, evidentemente, si erano spostati secondo le sollecitazioni ricevute dalle vetture che li avevano superati”

La decima vettura (cuccette miste di prima e seconda classe) si trova ribaltata sul fianco destro e dista dalla precedente circa 45 metri. L’undicesima carrozza (prima classe) è deragliata su tre assi. In queste ultime vetture ci sono stati 5 morti, mentre altri corpi si trovano imprigionati tra la nona e la decima vettura. Dalla dodicesima alla diciassettesima carrozza, le vetture sono tutte deragliate su quattro assi. Poi il treno si spezza di nuovo, e la diciottesima carrozza e il bagagliaio risultano deragliati completamente.

Racconta il capostazione di servizio di Gioia Tauro, Teodoro Mazzù: “Ho sentito un botto tremendo, urla strazianti. Una colonna di fumo si è subito innalzata alta dal convoglio deragliato. Una scena apocalittica. Il caos più completo. I passeggeri si buttavano giù dalle vetture, cercavano spasmodicamente di afferrare i loro cari, avevano il viso annerito dal fumo e le carni straziate dalle lamiere”.

I vigili del fuoco di Palmi, Cittanova e Reggio, guidati dall’ing. Cannata, tagliano le lamiere per cercare di estrarre i corpi dei passeggeri, aiutati nel loro lavoro dai reparti della celere e dai carabinieri di stanza a Reggio. I feriti vengono condotti agli ospedali di Reggio, Palmi, Polistena e Taurianova, mentre inizia in tutta la provincia la ricerca spasmodica di plasma.

 

9.2 La difficile ricerca delle cause: le indagini

“L’insufficienza delle iniziali indagini(…)emerge palesemente ove si rilevi che all’origine non si percepì neppure la natura dolosa di quello che venne, infatti, considerato come un disastro colposo”. Così la corte d’assise di Palmi archivia il lavoro di indagine svolto all’indomani della strage.

Secondo il questore Santillo, subito accorso sul posto, le cause del deragliamento sono da attribuirsi allo sbullonamento del carrello n°2 del corpo della nona vettura, la prima delle due a rovesciarsi. “Per carità, non diffamiamo la Calabria!” dichiara ad Alfonso Madeo sul ”Corriere della Sera”.

 

Vediamo in dettaglio i rapporti del commissariato di pubblica sicurezza di Reggio Calabria, che ascrivono il fatto a ragioni tecniche, con ipotesi di responsabilità colpose, ma escludono, esplicitamente, la natura dolosa e il riscorso ad esplosivi.

Secondo il primo rapporto giudiziario (28 agosto 1970) sono eseguite due ispezioni e vengono sentiti numerosi viaggiatori “poiché erano circolate voci -con riferimento alle note manifestazioni di protesta che avevano avuto luogo in Reggio Calabria e Villa

S.Giovanni per la questione del capoluogo regionale- secondo le quali non si poteva escludere che il disastro ferroviario avesse origine dolosa, e le indagini venivano orientate anche in tale direzione”. Ma, prosegue il rapporto, “ dalle risultanze delle ispezioni eseguite e dalle dichiarazioni a verbale non sono emersi elementi che convalidassero l’ipotesi di cui sopra, anzi, le risultanze stesse portano all’esclusione diun’azione criminosa”. Giovanni Billardi, macchinista del treno, e Antonio Romeo, aiuto macchinista, dichiarano che “ la marcia del convoglio era stata regolare fino a quando il locomotore non era giunto tra il ponte di ferro soprastante i binari della calabro -lucana ed il cavalcavia che sitrova quasi all’altezza degli scambi d’ingresso della stazione di Gioia Tauro”. In questo tratto, all’improvviso, Ballardi aveva avvertito un botto meccanico,“sobbalzi e strappisubiti dal locomotore, come se al mezzo di trazione fosse venuta a mancare qualcosa sotto”. Il capotreno Francesco Nazza e i tre conduttori dichiarano che “lungo il percorso da Villa San Giovanni fino al luogo del disastro non avevano avvertito alcun rumore o altro, al di fuori di quello caratteristico di un convoglio in movimento.” Due dei conduttori – tra l’altro – avevano avuto modo di percorrere l’intero treno.

Un ulteriore elemento è la dichiarazione a verbale resa dall’operaio d’armamento Francesco Crea, che aveva ispezionato varie volte a piedi i binari, dalle ore 13 alle ore 17. Crea aveva avuto il compito di controllare eventuali anormalità del binario, come ad esempio slineamenti delle rotaie dovute all’alta temperatura della giornatacalda. L’operaio ha escluso qualsiasi genere di anomalia, così come esclude la presenza di persone (ferrovieri o estranei) sia sulla scena ferroviaria che nelle adiacenze.

Il rapporto dell’agosto 1970 conclude escludendo cause dolose o colpe al servizio movimento o del personale del treno; resta come unica causa del disastro quella di natura tecnica, da ricercarsi nel materiale rotabile o in quello di armamento.

 

Il secondo rapporto (9 settembre 1971) approfondisce le indagini. In contrasto con le conclusioni emerse dall’analisi dei periti, anche il secondo rapporto esclude l’ipotesi di un attentato, confermando integralmente le conclusioni del primo rapporto.

Le nuove indagini evidenziano le irregolarità sui lavori di livellamento dei binari, con discordanze su competenze e modalità, e sul tempo di transito rallentato prescritto dopo i lavori (che comunque erano terminati alle 16 di quel giorno). Un ulteriore elemento di irregolarità individuato è il fatto che Francesco Crea, addetto all’ispezione dei binari, aveva effettuato il controllo senza il termometro da rotaie.

Un ragionamento logico stringente esclude l’attentato:

“Passando ora alla ipotizzata carica di esplosivo, si consideri che delle numerose persone che si trovavano a viaggiare sul treno Palermo- Torino o che erano nelle vicinanze del luogo del disastro, nessuna di esse percepì la detonazione ipotizzata, come risulta dalle loro dichiarazioni; si deve escludere che la detonazione ebbe luogo, e se non vi fu detonazione non poté esservi attentato dinamitardo.”

Si osserva comunque che “l’ipotizzata carica esplosiva, dai periti localizzata nei pressi del binario (non sotto o accanto a una rotaia), doveva essere di tale potenza da determinare, oltre ad una grande buca nella massicciata, il tranciamento, o quantomeno, l’aggobbimento, della rotaia”, oltre che un rilevante effetto acustico. Ma perché – si chiederà trenta anni dopo la Corte d’Assise di Palmi- una bomba deve essere necessariamente potentissima per definizione?

Il botto meccanico di cui hanno parlato i macchinisti viene quindi attribuito a un urto delle strutture anteriori del locomotore. Responsabilità vengono attribuite al caposquadra Carrera, al sorvegliante Iannelli e al capostazione Guido, tutti per la cessazione del rallentamento, e all’operaio Crea per la questione del termometro.

 

Un terzo rapporto della compagnia dei carabinieri di Palmi, datato 4/08/71, riferisce genericamente dell’esito negativo di indagini.

 

L’11 settembre 1971, dopo la conclusione delle indagini, il pubblico ministero chiede l’apertura dell’istruttoria nei confronti dei quattro impiegati delle ferrovie denunciati nel rapporto di polizia. Agli atti sono presenti le testimonianze di giornalisti di testate nazionali che, subito dopo l’incidente, avevano parlato di attentato dinamitardo.

Il 25 luglio Mario Righetti, specialista ferroviario del Corriere della Sera, è il primo a scriveredell’ipotesi di un attentato. Sull’Avanti del 7 agosto appare un articolo che parla del rinvenimento di “altra” dinamite sui binari ferroviari.

Oltre alle ricognizioni sul luogo, si effettuano tre separati esami del materiale dell’incidente: le tre perizie escludono l’errore del personale di guida e arrivano alla “conclusione unanime che la più probabile causa che ha dato luogo all’incidente di Gioia Tauro sia stata una causa estranea all’esercizio ferroviario e più concretamente lo scoppio di una carica esplosiva dolosamente posta nei pressi del binario”.

Gli stessi periti inoltre evidenziano le analogie con altri tre attentati dinamitardi al binario sui tratti di linea Rosarno-Gioia Tauro-Villa San Giovanni e alla linea Catania- Messina (22 settembre, 27 settembre e 10 ottobre 1970); in tutti e tre i casi non erano stati rinvenuti i pezzi di miccia e segni evidenti di esplosione.

 

9.3L’istruttoria

Il 30 maggio 1974 la sentenza del giudice istruttore di Palmi dichiara di non doversi a procedere nei confronti degli imputati per non aver commesso il fatto, come richiesto dal pubblico ministero. Viene dimostrata l’esclusione di cause colpose nel disastro, e sono richiamate le conclusioni peritali sulla probabile causa collegata ad un attentato dinamitardo, anche se persisteva il dubbio sul fatto che nessuno avesse sentito la detonazione.

Agli atti viene allegato un volantinodel gruppo anarchico Bielli trasmesso il 17 maggio 1973 dalla procura di Salerno. Il testo denunciava il comportamento della polizia e della magistratura che secondo gli anarchici erano impegnati a nascondere la natura fascista della strage di Gioia Tauro. Nel volantino si sosteneva che alla vittime dell’incidente ferroviario si dovevano aggiungere i cinque anarchici che avevano perso la vita “in un incidente stradale fatto passare per tale”, in realtà uccisi perché avevano svolto delle indagini e scoperto delle responsabilità sull’attentato.

La decisione del giudice istruttore non portò all’apertura di nuove indagini. Prosciogliendo gli imputati e accogliendo le motivazioni dei periti sull’uso di esplosivo, decise però che queste dovessero restare nel “limbo delle congetture”, non sufficiente alla riapertura del caso.

 

La strage di Gioia Tauro veniva archiviata così senza colpevoli né responsabilità.

 

9.4 Le dichiarazioni di Lauro: le prime luci sulla strage

Il primo a parlare della strage di Gioia Tauro è il pentito Giacomo Ubaldo Lauro nel suo interrogatorio davanti al Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia Vincenzo Macrì, il 16 giugno 1993: sono trascorsi 33 anni dal deragliamento della Freccia del Sud. All’interno del procedimento istruttorio denominato “Olimpia 1”, una maxi inchiesta sui rapporti tra criminalità organizzata e politica in Calabria, il pentito rivela che il deragliamento del treno è in realtà opera della ‘ndrangheta su commissione del “Comitato d’azione per Reggio capoluogo”.Lauro dichiara di avere conosciuto, negli anni 1969/70, Vito Silverini e di averlo assunto come operaio generico nella sua impresa alcuni mesi dopo (Silverini aveva trascorso nel frattempo tre o quattro mesi in carcere per avere partecipato attivamente alla rivolta di Reggio Calabria). Lauro descrive Silverini come “un fascista di provata fede, anche se era analfabeta. […]In quel periodo frequentava il “comitato d’azione per Reggio capoluogo” e quindi tutti gli esponenti del gruppo.” Nel 1979 i due si ritrovano in carcere: il Lauro per un furto alla Cassa di Risparmio,Silverini per motivi imprecisati, e condividono la stessa cella per due anni. “Durante quel periodo –dichiara Lauro- gli chiesi se avesse problemi economici dal momento che viveva con una misera pensione e lui mi rispose che aveva un piccolo gruzzolo da parte, depositato presso la Banca Nazionale del Lavoro, frutto di alcuni “lavori” che aveva eseguito in passato. In particolare per aver messo una bomba sui binari lungo la tratta Bagnara -Gioia Tauro, che provocò il deragliamento di un treno che proveniva dalla Sicilia che provocò la morte di 7-8 persone. Mi raccontò che aveva portato la bomba insieme e Vincenzo Caracciolo sulla moto ape di quest’ultimo e che lui stesso aveva confezionato l’ordigno, composta da candelotti di dinamite con accensione a mezzo miccia. Mi disse che si era nascosto nei pressi del luogo ove aveva collocato la bomba per vedere gli effetti della stessa e di aver visto il questore Santillo, giunto poi sul luogo, che gridava infuriato. Mi disse ancora che la bomba aveva provocato la distruzione di circa 70m metri di linea ferrata e che l’incarico gli era stato conferito dal Comitato d’Azione.”

Il sostituto Vincenzo Macrì dichiara:

“I pentiti nel 1993 ci dicono tante cose. Ci dicono intanto che nella rivolta di Reggio la ‘Ndrangheta ebbe un ruolo, probabilmente non un ruolo determinante ma un ruolo di sostegno. La ‘Ndrangheta in sostanza, per questa parte, si limitava a rifornire queste associazioni del materiale esplosivo necessario per l’esecuzione degli attentati.”

Un mese dopo le prime ammissioni, Lauro conferma la sua versione dei fatti a Guido Salvini, giudice istruttore del tribunale de Milano che aveva avviato delle indagini sulle attività del gruppo di estrema destra Avanguardia Nazionale: “Vito Silverini, detto Ciccio il biondo, mi parlò dell’attentato che egli stesso aveva commesso insieme a Vincenzo Caracciolo in danno della linea ferroviaria prima di Gioia Tauro, attentato che, come egli stesso mi disse, aveva fatto sei o sette vittime. Ricordo in particolare che Silverini mi disse che l’attentato era avvenuto in ore diurne e cioè nel pomeriggio, tra le 16 o le 18, e questo aveva consentito a lui e a Caracciolo di osservare senza difficoltà dall’alto la scena. Mi disse che aveva fatto uso di micciaa lenta combustione ed esplosivo da cava in candelotti. Posso ribadire che Silverini mi disse che mandante dell’operazione era il Comitato per Reggio capoluogo”.

La testimonianza di Lauro non è l’unica in merito: anche un altro pentito, Carmine Dominici, neo fascista e appartenente ad Avanguardia Nazionale,il30 novembre 1993 conferma a Salvini le confidenze sull’episodio ricevute da Silverini e aggiunge altre notizie: “In merito al disastro di Gioia Tauro, posso confermare che non si trattò di un errore dei ferrovieri, ma di un attentato riconducibile all’ambiente dei “Boia chi molla”. Quella sera eravamo a Reggio Calabria e arrivarono dalla zona di Gioia Tauro Vito Silverini, detto Ciccio il biondo, e Giuseppe Scarcella i quali addussero quale motivo della loro presenza in quella zona delle riunioni politiche. Nell’ambiente vi furono delle insistenti voci circa una loro corresponsabilità nell’episodio.”

Il processo si riapre; la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Palmidel febbraio 2001 stabilisce che a far deragliare il “Treno del Sole” e a causare quei sei morti è stata una bomba, e che i presunti autori materiali della strage siano Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella; tutti e tre sono da tempo deceduti.

 

9.5 E i mandanti?

Le dichiarazioni dei pentiti, se da un lato fanno luce dopo trent’anni sulla reale dinamica della strage, da un altro lato aprono nuovi interrogativi sugli effettivi mandanti.

“Lavorando sull’estrema destra eversiva sono comparsi i testimoni che hanno alzato un primo velo su quello che era stato inizialmente identificato come un errore umano, da parte dei macchinisti, e cioè il deragliamento del treno vicino alla stazione di Gioia Tauro. Deragliamento però non per errore dei macchinisti, ma perché fu messo dell’esplosivo sui binari, e i testimoni ci hanno raccontatoche questo esplosivo era stato collocato dai gruppi vicini a chi stava in quel momento fomentando la rivolta di Reggio Calabria.”

Salvini sottolinea come “dietro questi tre manovali, che non possono aver agito se non per incarico altrui ed anche, come certamente è avvenuto per Silverini, dietro compenso, si delinea quale mandante ed organizzatore della strage l’ambiente di Avanguardia Nazionale di Reggio Calabria e del Comitato d’Azione per Reggio capoluogo e cioè i gruppi che hanno ispirato in quegli anni quella parte, non secondaria, della strategia della tensione che è maturata e si è sviluppata in Calabria.”

 

 

La sentenza della Corte d’Assise di Palmi del 2001 stabilisce, come abbiamo visto, che gli esecutori materiali sono dunque morti, per gli eventuali mandanti e finanziatori dovranno essere aperte delle nuove inchieste. Dopo più di trent’anni c’è ancora buio sulla strage.

Per le morti dei sei passeggeri non c’è mai stata condanna processuale, e non è stato individuato nessun colpevole.

 

9.6Incidente o strage?

“La strage dimenticata di Gioia Tauro può essere all’origine di un altro episodio misterioso, che fa il suo ingresso in questo procedimento. Nella notte tra il 26 e il 27 settembre, a circa 60 chilometri da Roma, trovano la morte, in uno strano incidente stradale, schiantandosi contro un camion che frena bruscamente, cinque anarchici di Reggio Calabria (…). Alcuni di essi, soprattutto Aricò e Casile, sono da tempo impegnati in una attività di controinformazione riguardante, principalmente, gli avvenimenti calabresi e l’attentato di Gioia Tauro avvenuto circa due mesi prima.

A scrivere è il giudice Guido Salvini, nella sentenza di rinvio a giudizio di alcuni esponenti del gruppo di Avanguardia Nazionale.

Nell’ambito dell’istruttoria il pentito Carmine Dominaci afferma di avere appreso dal marchese Felice Zerbi “che la morte degli anarchici era dovuta ad una azione omicidiaria commessa dai gruppi di destra”, e la dinamica stessa dell’incidente è –secondo il parere del giudice- non priva di alcune zone d’ombra.

Il 26 Marzo 1994 Salvini ascolta la deposizione di Antonio Perna, cugino di Giovanni Aricò. Perna riferisce al giudice che il cugino, il giorno prima della partenza per Roma, gli aveva confidato che “avrebbe portato a Roma le fotocopie di una documentazione raccolta da lui e dai suoi compagni circa l’attentato di Gioia Tauro che si era verificato nei pressi della stazione il 22 luglio 1970”.

Giovanni Aricò aggiunge che “si trattava di documentazione importantissima e che avevano spedito l’originale alla famiglia di Veraldo Rossi (…). La documentazione non era mai però pervenuta (…) quindi i cinque giovani approfittavano di questo viaggio a Roma, in occasione di una manifestazione contro Nixon, per portargli queste fotocopie. Il testimone ha precisato di essere certo che Aricò e gli altri, al momento del fatto, avessero con loro questa documentazione che tuttavia non risulta mai ritrovata né riconsegnata ai familiari. D’altronde non erano state mai riconsegnate ai familiari le agende delle cinque vittime.”

La conclusione del giudice Salvini parla di “spunti investigativi” che emergono dalla vicenda, “che dovrebbero essere, ulteriormente approfonditi anche se dai dati raccolti sembra profilarsi, a Reggio Calabria come a Roma, la medesima strategia che viene da lontano: l’infiltrazione nei gruppi di estrema sinistra o, in alternativa,l’esecuzione di azioni coperte e mascherate, che, secondo le tecniche della guerra non convenzionale, possono servire all’eliminazione di avversari politici divenuti, improvvisamente, troppi scomodi.”

Andrea Gangemi, Adriana Vassallo, Rosa Fassari, Rita Cacicia, Letizia Palumbo, Nicolina Mazzocchio

“La Gazzetta del Sud”, 23 Luglio 1970

 

Alfonso Madeo, “Il Corriere della Sera”, 23 Luglio 1970

Rapporto giudiziario del 28 agosto 1970

Nella notte precedente si susseguono le telefonate tra Roma e Milano: il risultato è visibile nel confronto tra la prima e la seconda edizione del giornale. Quest’ultima ha in seconda pagina un titolo significativo: “A Reggio Calabria fonti ufficiali escludono l’ipotesi di un atto doloso”, e l’articolo evidenzia rispetto alla prima edizione la versione del comando dei carabinieri. (In Fiengo, Libertà di stampa anno zero, La nuova Italia 1976)

Anni dopo Righetti scriverà di essere stato interrogato in merito alle sue dichiarazioni dall’ufficio politico della questura di Milano su disposizione della procura di Palmi, e di essere stato diffidato in quell’occasione dal proseguire a scrivere ulteriori pezzi in merito (“Il Corriere della Sera”, 8 novembre 1972)

Si tratta delle perizie citate nel secondo rapporto giudiziario. Il materiale rotabile viene esaminato presso la squadra rialzo di Napoli Smistamento; le prove metallografiche vengono effettuate presso l’Istituto Sperimentale delle FF.SS. su alcune sezioni di rotaia; le prove di resistenza sulla traversa e sulle caviglie presso l’Istituto di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Napoli

 

In Lucarelli, op.cit.

Esponente di Avanguardia Nazionale

 

Sentenza n° 1/2001

In Lucarelli, op.cit.

Sentenza –Ordinanza del Tribunale Penale di Milano Ufficio Istruzione Sez.200 nel proc. N. 2643/84 A R.G.P.M. e n. 721/88 F R.G.G.I Contro AZZI Nico + 25 Depositata nel Marzo 1995

Esponente della FAI

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CINQUE ANARCHICI DEL SUD
UNA STORIA DEGLI ANNI SETTANTA

Introduzione

Parte 1

Capitolo 1 Dall’estremo Sud lungo le strade d’Europa

Capitolo 2
La scoperta dell’anarchia

Capitolo 3 L’anarchismo italiano alla ricerca di un nuovo equilibrio

Capitolo 4
L’adesione all’anarchia

Capitolo 5
Controcultura e controinformazione

Parte 2

Capitolo 6
1969:gli scontri di piazza e l’entrata in scena delle bombe

Capitolo 7
La strage di piazza Fontana

Capitolo 8
La rivolta di Reggio Calabria

Capitolo 9
Il deragliamento della “Freccia del Sud”

Capitolo 10
Nella notte di Ferentino

Capitolo 11
Luci e ombre di un incidente

Bibliografia