TV: l’anomalia italiana
Emilio Rossi: la bandiera della privatizzazione è una resa all'auditel
Breve intervista ad Emilio Rossi - già direttore del Tg1, uomo del servizio pubblico Rai per eccellenza, Presidente delComitato CodiceMinori - raccolta da Roberto Di Giovan Paolo.
- Molti parlano di servizio pubblico, specie contro, un po' a sproposito...vogliamo tornare a definire alla radice l'idea di servizio pubblico come si è storicamente definito in Rai ?
Una televisione da servizio pubblico è una televisione che, per dirla con Giovanni Sartori, non badi solo “a far soldi”. Meno schematicamente: è una televisione che faccia informazione corretta e approfondita, cultura non per pochi e intrattenimento non da balera. Una televisione, insomma, che piaccia ad un pubblico vasto ma anche cerchi di farlo crescere nel senso critico, nella fedeltà a valori fondamentali, nel buon gusto.
- Quando si parla di servizio pubblico Rai, in molti tra i cittadini-utenti, non pensano solo all' informazione, ma magari a bellissime riviste di varietà o a famose trasmissioni che poi sono divenuti archetipi per il teatro o anche il cinema . Perché non si è riusciti a preservare questo senso del servizio pubblico anche nel cosiddetto "entertainment" Rai ?
L’auditel non è il demonio. Farsi seguire da molti è obiettivo legittimo per i mass media che sono appunto mass e non minority ….. Ma neppure l’auditel deve essere tiranno, da compiacere e riverire costi quel che costi. Come simbolo, come bandiera, privatizzazione vuol dire resa all’auditel: questo è il rischio tanto più serio in quanto da anni è già in atto una deriva molto rischiosa.
- Col digitale terrestre e comunque le nuove tecnologie , è possibileun restringimento dello spazio per la tv "generalista": questo significa che anche il concetto di servizio pubblico debba diminuire di impatto ? Non è pensabile che, come altre tecnologie, esse possano essere uno strumento per migliorare anche il servizio pubblico ?
Da vent’anni si scrivono certificati di morte della TV generalista. Finora la TV generalista è viva, finora conta. Non è detto che sia un male, almeno per noi italiani: divisi, frazionati, blindati nel nostro “particulare” come siamo. Ritrovarci in grandi appuntamenti (sia pure un evento sportivo) è qualcosa che ci unisce, senza distinzione, un po’ come il voto. Uno studioso francese non per nulla ha paragonato la TV generalista proprio al suffragio universale.
Televisioni di nicchia potranno crescere su una corsia parallela: complementarmente più che sostitutivamente. Neppure per loro sembra raccomandabile un totale abbandono al mercato.
- C'èun forte rischio di divisione tra mezzie contenuti "ricchi" ( tv, calcio,megashow, informazione-spettacolo) e mezzi e contenuti "poveri" ( radio, inchiesta" sul marciapiede", informazione fuori dal "vippaio") ....si può contrastare questa deriva e cosa possono fare i giornalisti italiani per costruireuna solidarietà con i cittadini-utenti attorno a questi temi ?
Buona cosa la concorrenza. Ma non in assoluto e non certo per tutti i comparti. Se no, come qualcuno ha osservato, la tombola caccerà inevitabilmente la tragedia greca, passatempo per passatempo.
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L’ anomalia italiana e il digitale terrestre
di Marco Mele (Il Sole 24 ore)
La legge Gasparri
Il servizio pubblico nei principali paesi europei
La direttiva europea:
“Televisioni senza frontiere”
Nei collegamenti sulla destra di questa pagina troviamo una serie di documenti sulla situazione italiana, a partire dal discorso del presidente Ciampi del 13 dicembre (“qualunque sia l’assetto della televisione pubblica italiana, essa deve conservare, rafforzare, migliorare sempre di più la sua attività di servizio pubblico”), alla lettera di Enzo Biagi sulla privatizzazione della Rai, dagli articoli di Romano Prodi e Giovanni Sartori sul futuro della Rai alle posizioni “eccentriche” di Franco Debenedetti (“Servizio pubblico? Un’idea da preistoria”), fino alla risoluzione del Consiglio d’Europa (1387/2004) su “Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia”
(Pino Rea.)
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