TV: l’anomalia italiana
Una Rai liberata
«Se a un marziano venisse chiesto quale tv fornisce un servizio pubblico, dovrebbe rispondere nessuna, o che non vede differenza. Però Mediaset ha metà dei dipendenti»
IL DIBATTITO: alleggerita del suo grasso mangia-soldi, sarebbe vista come un servizio serio
di Giovanni Sartori
Corriere della sera, sabato, 5 febbraio, 2005
Nel mio editoriale del 28 gennaio, «Senza canone e senza spot» le mie proposte erano telegrafiche. Contavo su un dibattito per illustrarle. Le risposte dell' onorevole Gentiloni (Margherita) sul Corriere della Sera del 30 gennaio, e anche dell' onorevole Bersani (Ds), sul Riformista del 29 gennaio, mi consentono di farlo. Bersani scrive che le mie preoccupazioni non sono in contraddizione con le proposte dell' Ulivo. Forse no. Vediamo.
S' intende che sono interamente d' accordo con lui sul fatto che la «falsa privatizzazione della Rai» va fermata e ripudiata. Ma quel che non mi convince della proposta Prodi è che lui consente che una delle tre reti Rai venga privatizzata senza chiedere, al tempo stesso, una eguale riduzione per Mediaset. Se Berlusconi resta a tre e la Rai scende a due, ne risulterebbe un rafforzamento di Mediaset.
C' è poi un punto pregiudiziale, che Prodinon sembra cogliere, e cioè che privatizzare è creare una televisione il cui unico interesse è di fare soldi, e per ciò stesso una televisione «al ribasso» che rincorre un pubblico che contribuisce a imbarbarire. Invece Prodi dà mostra di credere ancora nell' antiquato e falso mito della concorrenza che migliora la qualità della televisione. No davvero: la concorrenza è benefica in economia ma può essere malefica in altri contesti. Siamo in molti ad averlo spiegato da tempo.
Passo a Gentiloni, che mi risponde con due obiezioni. La prima è che non è «giusto... proprio per chi si propone di reintrodurre una concorrenza di mercato, dimezzare i profitti degli operatori tv italiani». In verità la giustizia non è una categoria dell' economia; ma se la invochiamo, allora quale è la giustizia di consentire a un solo monopolista di possedere tutta la nostra tv privata? Ed è giusto che la tassa di concessione dell' etere sia, per Berlusconi, soltanto un risibile 1% del suo fatturato? Seguendo questa logica, anche una legislazione antitrust che imponga lo smembramento dei monopoli sarebbe ingiusta, ingiustissima. In verità, nel discorso che stiamo facendo la giustizia non c' entra; e mi fa specie che venga invocata da sinistra per difendere la intangibilità di Berlusconi.
La seconda obiezione di Gentiloni è che metà dei profitti degli operatori privati «non basterebbe» perché non arriva al 20% del canone Rai. Io avevo calcolato un po' di più, circa un 25%, visto che nel 2003 l' utile netto di Mediaset è stato di 349 milioni di euro, che per il 2004 le stime aggregate che includono Telecinco oscillano tra i 520 e i 562 milioni e che una previsione complessiva per il 2005 è di 613 milioni. Diciamo, tanto per orientarsi, che per questa via alla Rai arriverebbero almeno 250 milioni. Che certo non bastano per fronteggiare i «costi operativi» del nostro bestione pubblico: nel 2003 ben 2 miliardi e 200 milioni di euro.
Spesi come? La più grossa voce di spese che non competono a un servizio pubblico è quella dei grandi varietà-intrattenimenti faraonici che soprattutto esibiscono gambe, seni e sorrisi di belle ragazze. Aggiungi tutta la cianfrusaglia (cito da Carlo Sartori, che non è mio parente e che di televisione si intende davvero) dei «contenitori di stupidità, volgarità e dilettantismo»; vedi la televisione dei «reality show esasperati che diventano la parodia di se stessi... dei giochi a premi socialmente diseducativi e psicologicamente distorcenti, dei talk show che incoronano il chiacchiericcio da bar o da portineria». Che cosa c' entra tutto questo con il servizio pubblico? Niente. Però un' ora di programmazione di questo genere può arrivare a costare, mi dicono, 300 mila euro (circa 600 milioni di lire).
L' altro discorso è che Rai e Mediaset forniscono una televisione equivalente che compete per gli ascolti, e cioè per la pubblicità, scopiazzandosi. Se arrivasse un marziano e gli venisse chiesto quale è la televisione che fornisce un servizio pubblico mi dovrebbe rispondere nessuna, oppure che non vede differenza. Però questa televisione equivalente che si divide gli ascolti degli italiani richiede alla Rai 13 mila dipendenti (compresi quelli a tempo determinato) e a Mediaset la metà, 6.500 dipendenti. Come qualmente sospetto che il telegiornale di Mentana, il Tg5, costasse quattro volte meno del telegiornale di Raiuno; un telegiornale imbottito di intervistine futili di cronaca rosa o nera ognuna delle quali richiede tre persone e una macchina.
L' onorevole Gentiloni mi vorrà perdonare, spero, se non riesco a documentarlo meglio con dati precisi e sicuri. È che il bilancio Rai è analiticamente impenetrabile. E il mio punto è, appunto, che prima di stabilire «quanto basta» e quanto davvero occorre, in risorse, per gestire un servizio pubblico che fa soltanto il suo mestiere, dobbiamo scorporare da mamma (o mammellone) Rai i suoi costi indebiti di pressoché sterminata paccottiglia. Dopodiché, se mancheranno ancora soldi necessari - probabilmente sì -, avrei altre idee su come reperirli. S' intende, sempre senza pubblicità e senza canone obbligatorio. Intanto deve essere chiaro che il mio intento non è di indebolire il servizio pubblico. Anzi. Una Rai liberata dalla colonizzazione dei partiti e dalla tirannide dell' Auditel, alleggerita del suo grasso mangia-soldi e acchiappa-soldi, sarebbe una Rai percepita come un servizio, serio e necessario, e quindi più forte.
Giovanni Sartori
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Oppure visualizza il contenuto del dossier: Emilio Rossi: la bandiera della privatizzazione è una resa all’auditel
L’ anomalia italiana e il digitale terrestre
di Marco Mele (Il Sole 24 ore)
La legge Gasparri
Il servizio pubblico nei principali paesi europei
La direttiva europea:
“Televisioni senza frontiere”
Nei collegamenti sulla destra di questa pagina troviamo una serie di documenti sulla situazione italiana, a partire dal discorso del presidente Ciampi del 13 dicembre (“qualunque sia l’assetto della televisione pubblica italiana, essa deve conservare, rafforzare, migliorare sempre di più la sua attività di servizio pubblico”), alla lettera di Enzo Biagi sulla privatizzazione della Rai, dagli articoli di Romano Prodi e Giovanni Sartori sul futuro della Rai alle posizioni “eccentriche” di Franco Debenedetti (“Servizio pubblico? Un’idea da preistoria”), fino alla risoluzione del Consiglio d’Europa (1387/2004) su “Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia”
(Pino Rea.)
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