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di
Sauro Gonzalez Rodríguez
ricercatore associato per l' "Americas program" del CPJ (Committee to protect journalists).
http://www.cpj.org/Briefings/2002/ven_aug02/ven_aug02.html
Caracas - Una mattina di maggio in un Caffè non lontano da Piazza Bolivar, nella parte sud di Caracas, una giornalista di uno dei più importanti quotidiani sta descrivendo gli eventi che hanno accompagnato il golpe di aprile e le disastrose implicazioni che essi hanno per la stampa venezuelana. Non dosa le parole. "Il presidente sta da una parte e i padroni dei media dall' altra", dice. "E noi giornalisti stiamo in mezzo, completamente indifesi, esposti ad attacchi da entrambe le parti". Quello che questa collega un po' depressa descrive sta diventando un fenomeno sempre più comune in Venezuela.
Il risultato è che i giornalisti - schiacciati fra la retorica incendiaria del presidente Chavez e il ruolo politico attivo dei proprietari e dei direttori dei media - si sentono vittime di attacchi da parte dell' opinione pubblica. "Ogni volta che scendo in strada, tolgo immediatamente di mezzo le mie credenziali stampa e le nascondo". Anche i giornalisti dei media statali si sentono delle vittime. "E' molto rischioso per un giornalista mantenere l' equilibrio, perché rischi di essere considerato un traditore da entrambe le parti, convinti che il ruolo di un giornalista sia di essere un politico, che il giornale sia un revolver e che i giornalisti siano le pallottole".
La primavera scorsa i giornalisti venezuelani hanno realizzato come era diventata orribile la situazione. Il pomeriggio dell 11 aprile, dopo tre giorni di proteste da parte dei dimostranti antigovernativi, il governo di Caracas interruppe letrasmissioni delle sei emittenti del paese (una sola delle quali statale) per un messaggio del presidente Chavez. Durante il discorso, le tv private divisero e metà gli schermi per continuare a coprire le proteste. Toccato da questa decisione, Chavez ne ordinò la chiusura accusandole di cospirare per rovesciare il governo.
La mattina successiva Chavez era prigioniero e Pedro Carmona, presidente di Federcameras, il gruppo economico più potente del paese, fu chiamato a guidare il nuovo governo. Ma la notizia che Chavez era stato spodestato provocò nuove proteste, questa volta da parte dei suoi sostenitori, e in 48 ore i militari leali a Chavez lo reinsediarono alla presidenza.
In pochi giorni la violenza aveva fatto 50 morti, incluso Jorge Ibrain Tortoza Cruz, un vecchio fotografo che aveva lavorato per il quotidiano di Caracas 2001 negli ultimi 11 anni. Tortoza fu ferito a colpi di arma da fuoco e poco dopo morì per le ferite. Un altro fotografo, Jorge Recio, è rimasto paralizzato dal torace in giù. (Non è chiaro chi sparò ai due fotografi né perché finirono nel mirino).
Qualche loro collega dice che spararono dei cecchini sconosciuti appostati sui tetti, mentre altri sostengono che furono le truppe della Guardia Nazionale o agenti della Polizia metropolitana di Caracas a sparare. L' assemblea Nazionale, il parlamento venezuelano, sta attualmente discutendo una legge che dovrebbe istituire una Commissione di inchiesta sui fatti dell' 11 aprile). In oltre una dozzina di iknterviste fatte al CPJ, vari giornalisti hanno spiegato di essersi sentiti come carne da macello in questa battaglia tra Chavez e i media, che sono diventati sempre di più contrari a Chavez. Qualche giornalista sostiene che i direttori dissero loro di non coprire gli avvenimenti pro-Chavez oppure di mettere l' opposizione in buona luce. "Se il giornalista raccoglie dei fatti quando essi avvengono e li portano al giornale, è lì che l' informazione viene manipolata per far apparire la situazione migliore", dice la nostra collega bevendo un sorso di caffè. "E chi diventa il responsabile? Il giornalista".
Molti quotidiani di Caracas, fra cui El Nacional e El Universal, il 14 aprile non uscirono, sostenendo che temevano di essere attaccati dai sostenitori du Chavez (Entrambi il giorno precedente avevano fatto evacuare gran parte del personale). Le tv private dettero pochissimo spazio, se non nessuno, alle dimostrazioni pro-Chavez. I dirigenti delle emittenti negano di aver scelto di ingorare le dimostrazioni a favore di Chavez e sostengono che ordinarono ai loro cronisti di non seguire quelle manifestazioni solo per la loro sicurezza. "I servizi che arrivavano in redazione riproducevano scene molto violente, morti, saccheggi. Noi preferimmo sacrificare l' audience, la nostra credibilità con gli spettatori non trasmettendo immagini di violenza e devastazione", disse Alberto Federico Ravell - direttore generale di Globovision, stazione di informazione 24 ore su 24 - in un intervento in tv in cui cercò di spiegare il suo rincrescimento per la situazione.
Molti giornalisti, comunque, fanno notare che le tv avevano tranquillamente mandato in onda gli eventi violenti che avevano portato al golpee che i fatti potevanno essere coperti senza esporre i giornalisti a rischi inutili.
Sebbene gran parte della stampa sostenesse Chavez nella sua scalata al potere nel 1988, fin da quando fu eletto le sue relazioni con i media furono improntate al confronto. Chavez e i suoi sostenitori accusano la stampa venezuelana di distorcere i fatti e di sottovalutare i risultati del governo. Durante un suo programma radiotelevisivo, Alò Presidente, Chavez ha sferzato i suoi critici fra i media. Inoltre ha usato le cadenas (interventi a reti unificate) per indirizzare le sue censure, spesso facendo i nomi di giornalisti o editori.
Le organizzazioni venezuelane per i diritti umani dicono che, sebbene ci sia libertà di espressione in Venezuela, mancano delle piene garanzie per l' esercizio di tale libertà, come è testimoniato da alcuni recenti procedimenti giudiziari che hanno portato a una censura preventiva oppure hanno condannato critiche verso pubblici funzionari. Comunque, dice Teodoro Petkoff, ex politico e direttore del giornale di opposizione Tal Cual, "i discorsi di Chavez non vengono seguiti da misure repressive... E' vero che il presidente è aggressivo, ma anche noi siamo aggressivi con lui. Il problema che Chavez ha creato - spiega Petkoff - è che i suoi interventi hanno creato, in alcuni settori popolari che lo appoggiano, degli atteggiamenti aggressivi nei confronti dei media".
Attacchi contro reporter, cameramen e fotografi non sono un fenomeno nuovo in Venezuela. Negli ultimi 40 anni i presidenti Venezuelani hanno spesso cercato di zittire le critiche della stampa. Le loro tecniche andavano dalle minacce violente e aperte di censura al rifiuto di misure di sostegno per i servizi editoriali. Per esempio, secondo il CPJ, nel 1992 almeno cinque testate vennero perquisite, censurate, bandite o le loro tirature confiscate dalle autorità di governo.
E nell' ultimo decennio il CPJ ha documentato 18 attacchi contro 34 giornalisti, la maggior parte dei quali nella prima metà degli anni Novanta, sotto l' amministrazione degli ex presidenti Carlos Andrés Pérez e Rafael Caldera. Ma sotto Chavez il match fra governo e media ha avuto una escalation i questa nazione già fortemente divisa. Per esempio, Chavez ha dato all' opposizione, fra cui i media, di escualidos (squalidi), e i giornali hanno risposto sparando contro i suoi sostenitori termini come plebaglia chavista o vandali. .
Le molestie hanno colpito anche i media stranieri, come la CNN. Per esempio, alcuni sostenitori dell' opposizione si sono arrabbiati per il fatto che la CNN aveva coperto le dimostrazioni di aprile a favore di Chavez e le conferenze stampa del governo. Naturalmente, le incursioni della stampa estera nell' arena politica non facevano altro che aumentare i rischi che i giornalisti dovevano affrontare. Infatti alcuni giornalisti di prestigio si sono trasformati oppositori di Chavez così ardenti che molti venezuelani dicono che i media, coprendo il vuoto lasciato dai discreditati partiti politici, sono diventati l' opposizione.
L' atmosfera all' interno dei media pubblici rispecchia il clima di quelli privati. Chiariamo: gran parte dei precedenti governi venezuelani avevano usato i media ufficiali per difendere i propri interessi di parte. Ma, stando ai giornalisti che lavorano in quel settore, la situazione è peggiorata sotto Chavez. Questi giornalisti dicono che Chavez ha trattato la stampa statale - che include la stazione radio Radio Nacional, VTV e Venpres - come se fossero i suoi media privati. E, secondo un giornalista di Radio Nacional: "C'è una caccia alle streghe all' interno della radio: o sei chavista o sei escualido". "Io ho sempre pensato che noi dovessimo coprire entrambe le parti, ma non è questa la nostra politica informativa", dice un giornalista che lavora per un' agenzia statale, Venpres. In altre parole, è molto difficile trovare informazione equilibrata.
La situazione per i giornalisti durante la brevissima gestione Carmona non era stata migliore. Le forze che lo sostenevano hanno minacciato e aggredito i giornalisti deli media comunitari. Media come TV Catia, Tv Caricauo, Radio Perola e Radio Catia Libre raccontano che la polizia aveva invaso le redazioni e che qualuno di loro era stato arrestato.
La maggioranza dei media comunitari sono a favore di Chavez. Anche sotto Carmona, la tv di stato VTV fu messa a tacere la sera dell' 11 aprile dopo essere stata occupata da forze militari che partecipavano al golpe. Le trasmissioni rimasero bloccate fino al 13 aprile, quando fu ripresa da sostenitori del presidente, che la rimise in onda.
Nessuno può dire quale futuro si prospetta per i giornalisti venezuelani. Molti venezuelani infatti temono che si verifichi un nuovo golpe contro Chavez; secondo recenti servizi giornalistici, sia l' opposizione che i partigiani di Chavez stanno preparando armi e munizioni. Temendo che i giornalisti possano essere fra i principali obbiettivi in caso di nuovo colpo di stato, qualche giornale sta preparando dei piani di emergenza per evacuare e trasferire i suoi giornalisti. In passato ogni volta che Chavez aveva ordinato che attacchi o molestie nei confronti dei giornalisti cessassero, i suoi seguaci di solito avevano raccolto l' invito. Sebbene il presidente ancora denunci ogni tanto "i mezzi di comunicazione" in generale, ha evitato di fare riferimenti a singoli giornalisti. Ma questa estate sono continuati attacchi alla stampa, con sostenitori del governo che hanno picchiato o minacciato verbalmente fotografi e cronisti, facendo temere che la situazione sia sfuggita da ogni controllo. E le vittime in tutto questo sono i giornalisti, che stanno semplicemente di fare il loro lavoro.