AA
Intervista a Gaby, dell'associazione dei mezzi comunitari del Venezuela.
19 Aprile 2003
A cura del Laboratorio campano per la disobbedienza sociale
D: Qual è il lavoro che fate sulla comunicazione, quale analisi fate sulla modalità di costruzione dell'informazione?
R: Non si tratta solo di creare un'altra informazione, ma di capire come si fa a costruire un messaggio in un'altra maniera.
Non pensiamo che la soluzione al monopolio e all'egemonia della comunicazione che esiste possa essere la creazione di un monopolio in mano ad altri, non è un problema di altra egemonia ma di come, a livello di movimento, si può costruire una piattaforma comunicativa che dal basso garantisca democrazia nella comunicazione. Per questo pensiamo che é molto importante quello che succede qui, perché noi come produttori abbiamo avuto la possibilità di partecipare alla costruzione del regolamento dei mezzi comunitari; per esempio, per essere un media comunitario si richiede che l'80% della produzione non la faccia il mezzo di informazione ma i produttori indipendenti così da avere una separazione tra il mezzo ed il messaggio: chi controlla il mezzo non può produrre anche il messaggio in esclusiva.
La stessa legge stabilisce, come abbiamo voluto noi stessi, che come media comunitari abbiamo l'obbligo di far crescere la gente: di conseguenza non bisogna avere un discorso intellettuale ma bisogna fare si che la comunicazione e la costruzione della nostra storia e dei nostri diritti siano qualcosa che facciamo tutti insieme,compresi coloro che non sono coinvolti nel processo rivoluzionario. Esercitare la produzione della comunicazione dall'interno delle case, da parte degli anziani, degli adolescenti, perché pensiamo che ogni collettivo ha un proprio interesse. Chi meglio di un adolescente può fare un programma sulle proprie esigenze! Non posso parlare io degli anziani! Lo stesso vale per lo sport! Questa stessa pluralità, poi, garantisce che non si abbia censura perché non é necessario tagliare un programma se non sei d'accordo ma puoi fare una tua produzione dove dici che hai un'altra idea.
In questo modo inevitabilmente ci siamo convertiti negli antagonisti dei media commerciali, per ovvie ragioni. Non dobbiamo lottare con i media commerciali affinché non disturbino il nostro lavoro, i media ufficiali sono generici e alienanti. Se avete avuto modo di vedere la tv venezuelana, credo che sia uno dei casi più estremi di quello che è la manipolazione ed il controllo dell'informazione.
Per esempio stavamo facendo un lavoro su quello che è successo in dicembre e gennaio con la serrata e l'informazione era tale che i grandi media stabilivano zero informazioni dai chavisti, e per loro i chavisti sono la sinistra e il centro-sinistra,la gente che lavora sui diritti umani, alcuni cattolici. Avevamo un solo punto di vista da parte loro ed è talmente assurdo che le trasmissioni passassero attraverso un solo giornalista e che tutti trasmettessero allo stesso tempo la stessa cosa e con uno stesso segnale. Tutto il tempo, in radio e tv, vedevi la stessa cosa. Tagliarono la metà dei giornalisti perché evidentemente non gli servivano.
Così ogni volta anche i giornalisti dei mezzi commerciali sono censurati e devono sottoporsi ad una linea editoriale unica. Questa cosa non succede nei mezzi comunitari dove la linea editoriale è data solamente dal rispetto dei diritti umani, dal rispetto di genere, dall'antirazzismo.
Quindi noi pensiamo che questo è uno degli elementi più importanti per fare un salto qualitativo nei criteri dello spettatore del Venezuela, perché per molti anni ci sono stati programmi orribili proprio in quanto si supponeva che questo volessero i Venezuelani, e insolitamente si è avuto che soprattutto nei ceti più popolari, il livello critico verso i media é cresciuto e ha fatto si che si avesse un vero boicottaggio verso di essi, in un paese che non ha tradizioni di boicottaggio. Così questi canali televisivi ed i giornali hanno visto abbassarsi notevolmente i loro livelli di audience.
Spesso la gente che ha prodotto questi comportamenti non si sente neanche parte del processo di cambiamento, ma si sente così tanto aggredita dai mezzi di comunicazione da non supportarli più. Infatti una delle cose che ha rinforzato i media comunitari é che i media commerciali provocano una crisi di verosimiglianza in quello che producono, ed ora non si crede più a quello che trasmettono.
Abbiamo visto moltissime mobilitazioni negli ultimi anni per le più diverse ragioni e quasi tutti ne siamo stati parte. Ne siamo stati parte ed abbiamo visto quello che succedeva e quello che trasmettevano nella tv. C'è stata una rottura netta che è molto importante perché proprio da essa si é generata una discussione di base.
Il problema non è che esistono i media, ma come sono concepiti!
Se hai solo un solo capo che decide come è tutto e se é la pubblicità a formare la programmazione, allora la gente comincia a cambiare canale. L'unica maniera di ottenere che un mezzo di informazione sia plurale è che realmente si abbia rappresentazione di tutte le parti che sono recettrici del messaggio che loro stessi producono, per rompere questa catena informativa e poter mettere in piedi un processo comunicativo reale.
L'esempio che stiamo vivendo ci dice che non abbiamo sbagliato.
In Catia tv, ad esempio, che é la struttura dove io lavoro, non abbiamo sussidi e la gente non guadagna per quello che fa anzi spesso ci rimette i soldi per fare i programmi, si fanno code infinite per partecipare ai laboratori che organizziamo, e la gente che viene vuole poi replicare quell'esperienza e così hai una proliferazione enorme di radio, tv e produttori indipendenti. Diventa così importante capire come si connettono queste esperienze, non solo per avere altre informazioni ma per entrare in contatto con altri collettivi che vivono dinamiche simili. Questo anche e soprattutto per cominciare a generare una discussione che sia più teorica e politica intorno a come deve essere una battaglia sulla nuova legislazione dei mezzi di comunicazione.
D: Ci puoi spiegare il lavoro concreto che fate?
Si, noi siamo molto orgogliosi del piccolo lavoro che abbiamo fatto perché è un progetto che ha quasi 14 anni ed è il progetto di un cineclub che stava in un quartiere molto povero che si chiama "El Manicomio" e che è stato costruito con case fatte molto male, che cadono, e i governi passati hanno messo le persone momentaneamente li dicendo che poi gli va a costruire le case vere e passano 40 anni e la gente continua a stare li ed altre posti del genere sorgono naturalmente. Momentaneamente questo posto doveva essere per un ospedale psichiatrico ma la gente è stata li per tutta la vita e si è costituita in un quartiere molto interessante che si chiama appunto "El Manicomio".
Qui si fece una casa della cultura, non fatta dal governo, ma costruita dalla comunità a partire dai fatti del 27 febbraio del 1989, il Caracazo, con il governo di Carlos Andrès. In quella data ci furono saccheggi e violenza in tutta la città e nel quartiere c'era una piccola casa che era della Banca dello Stato, una sede amministrativa, e la gente la occupò e ci fece la "Casa della cultura". In questa casa si fecero molte attività dal cinema al teatro ad attività per i bambini e in principio il cineforum trasmetteva ogni notte i 16 millimetri , quindi non video ma pellicole appunto da 16 mm . È chiaro che i cineforum in questi quartieri sono molto importanti perché la gente non ha i soldi per comprare i biglietti del cinema e così avevamo la possibilità di vedere pellicole anche se a quell'epoca erano film un po' particolari che venivano da un circuito alternativo latinoamericano. In principio erano pellicole di sinistra, c'era una presenza importante del PCV nella distribuzione di questi film, si facevano forum con la gente. Però, con la crisi del socialismo internazionale, la presenza dei partiti si perpetra la fine degli '80 e l'inizio dei '90, ma la gente si era ormai appropriata degli strumenti e quindi continuavano a fare proiezioni ma non più da 16 mm perché non erano più sul mercato. Però avevamo il video proiettore con il quale puoi passare qualunque cosa. Che succede: che qui in Venezuela era difficile trovare film latinoamericani o europei, perché passavano solo film americani. Quindi i compagni cominciano a pensare che la cosa importante non è che film proietti ma il fatto di proiettare perché questo sviluppava spazi di cittadinanza. La gente divideva e si appropriava degli spazi ed era una maniera di socializzare e combattere la delinquenza. E quindi l'uso del videoproiettore (e queste sono cose che sfuggono al controllo della globalizzazione, a volte) comporta la riduzione dei costi e spesso è molto più semplice avere una telecamera come quelle attuali che non una da 16 mm che ha venti anni. Cambia il rapporto costo/benefici.
I ragazzi si appropriano di una telecamera, se la fanno prestare, e cominciano a registrare nel quartiere. Quando lo fanno non hanno l'idea di proiettarla perché pensano: "Io non so nulla di cinema, nella mia vita non so come sono le pellicole.". Ma la cosa importante è che la gente sa che la stanno registrarlo e vuole vedersi: "Tu mi hai registrato l'altra sera nella festa e voglio vederlo" "No, no, non ho trovato nessuno che me la produce.." "non mi importa nulla della pellicola, io voglio vedere me stesso."
Così, timidamente, si fa una prima proiezione di questi materiali, fuori fuoco e tutto questo, e si vedono in loco. L'idea all'inizio era di vedere piccoli frammenti di queste registrazioni prima di vedere il film vero e proprio. Ma alla fine le persone chiedevano di non passare i film e di fare vedere tutte le registrazioni. E per di più le si doveva ripetere perché casomai si chiamavano i vicini per fargli vedere queste cose. Quindi nel quartiere in alcun modo i lavoratori sociali si appropriano di questi strumenti e cominciano a sognare: "Cominciamo a costruire la nostre storia, a intervistare le persone più vecchie che si apprestano alla morte, andiamo a registrare la Cruz de Mayo che è una festa popolare". Cominciano a fare questo e cominciano a sognare: "bene ma se abbiamo un vhs e vi mettiamo molti cavi e togliamo i cavi e li mettiamo in tutte le case andiamo a costruire la nostra televisione". Una cosa tecnicamente un pò assurda ma si comincia a costruire un desiderio, che è quello di essere non solo produttori ma produttori coscienti della comunità in cui vivono.
E poi succedono migliaia di cose tra cui la tragedia di Vargas nel dicembre 2000 che ci fu una pioggia tremenda. Con questo fatto lo stato incomincia a entrare in crisi perché i senza tetto hanno un significato enorme per il nuovo governo. E si cominciano a costruire rifugi dove mandano queste persone che non hanno più case. Capita che quando succedono queste cose le persone non vengono mandate dove c'è gente della classe media o della classe alta, ma dove ci sono persone come noi, già un po' povere. E dove cominciano a costruirsi questi rifugi, in uno in particolare, si hanno dei forti conflitti perché non ci sono servizi di acqua e luce e cose del genere e ci sono seri problemi di violenza domestica e di ogni tipo. Quindi lo stato comincia a fare politiche di emergenza: "come facciamo affinché questa gente abbia progetti di vita realmente"? Si comincia a costruire nell'interno del paese per mandarli in case decenti e cose così. Quasi si fanno piccoli villaggi. E in questa politica, dato che una delle risorse era in Catia tv, questi ragazzi che sono lavoratori sociali per vocazione del quartiere cominciano a lavorare nel rifugio e montano una radio parlante e si comincia a generare una dinamica culturale nel rifugio che permette che si abbassino i livelli di violenza e che aumenti la cordialità e allo stesso tempo che la gente che sta fuori del rifugio, ma comunque nel quartiere, cominciano a guardarli con meno timore e comincia ad aversi un avvicinamento. Tutto grazie ad una cosa così semplice come una radio. Perché non hai nessuna che ti possa dare una radio comunitaria dove tutti possono parlare dove, tutti possono raccontarsi.
Ed a questo punto lo Stato vede ciò e pensa di avere una soluzione al suo problema e chiede di quanti soldi avevamo bisogno per fare una radio, ma una radio vero che possa trasmettere tutto il giorno e organizzi questa gente per farla stare in una maggiore sicurtà e con più calma.
I ragazzi del quartiere (che poi per vivere in un quartiere devi essere "Muy vivo", devi adattarti, per così dire) avevano avuto un incontro in Marachay dove avevano incontrato amici che avevano una televisione con un trasmettitore di poco conto dal punto di vista economico e che volevano fare uscire il segnale. Così quando gli amici de "El Manicomio" gli dicono che sono nel progetto di radio ed a loro dicono che la televisione gli costa lo stesso ed effettivamente era lo stesso, gli dicono : "ecco i soldi, monta il trasmettitore e fate la televisione".
Era qualcosa che nessuno poteva credere all'inizio: avere un trasmettitore, noi che eravamo in quattro persone, due universitari e due amici del quartiere. Ci doveva essere qualcuno di pazzo per darci un trasmettitore. Così cominciammo a trasmettere e credevamo che inizialmente il segnale fosse per il luogo dove c'era il rifugio. Ma per la stessa condizione fisica, dato che eravamo su una montagna alta, il segnale si abbassa per la gravità e copre molto più di quanto sarebbe lo spettro proprio della potenza. Quando ci accorgemmo di questo ci dicemmo: "E ora che facciamo? Dobbiamo dirlo a tutto il mondo perché non possiamo farlo solo noi senza che nessuno ci veda". E cominciammo ad andare in tutte le assemblee che si avevano perché si cerca l'acqua, si hanno problemi di spazzatura, hai assemblee nei piccoli quartieri. Noi andavamo e dicevamo "Guarda, andiamo a fare una televisione comunitaria, Ti vado a mettere nel programma, ecco la telecamera e fate quello che volete". Credevano fosse una bugia! Quindi "e come si fa la televisione?" "prendi la telecamera e noi facciamo la produzione". È chiaro non potevamo pianificare un programma, andare all'Università e cercare qualcuno che sa o andare ad un canale e cercare una cassetta. Dovevamo trasmettere quello che dice la gente, È molto bello, la gente che costruisce la propria storia, la propria identità E questo finisce per essere l'aspetto "Meliès" o dei primi film dei fratelli Lumière dove l'affascinante era che tu eri il protagonista. Quindi è chiaro che questo era molto interessante perché era "un ritorno" ed il ritorno implica che i mezzi di comunicazione entrano e escludono il più.
Se vedi una tv in Venezuela tutti gli attori sono biondi, alti e con molti soldi, non somigliano per nulla alla tua vita e non ti importa nulla di quello che vedi perché non ti assomigliano; e quando puoi fare qualcosa che assomiglia a te, alla tua casa, al tuo cantuccio, questo ha un altro valore. Quindi contro tutti i pronostici avevamo in due mesi trecento persone che volevano fare i laboratori e tenevamo una camera ma mai abbiamo avuto una sede. Così dovevamo chiedere un mese di vacanze per fare i laboratori che facevamo negli ospedali, nel parco, negli spazi pubblici, nell'università, negli spazi più insoliti. Ricordo una volta che stavamo facendo laboratori con i bambini e non tenevamo la telecamera perché succedeva qualcosa e la dovevano utilizzare. E invece della telecamera utilizzammo un rotolo di carta igienica perché il cono che si formava poteva sembrare una lente e demmo una lezione sulle modalità dell'inquadratura. E quindi "dove metti l'occhio?", tutti i bambini con i loro occhi e questi erano i mezzi.
Quello che è stato interessante è che tutto questo processo di formazione passa anche per una formazione che riguarda quello che tu vuoi comunicare, a chi, chi sei tu, quale è la tua storia. E noi cercavamo di generare una coscienza della responsabilità di essere comunicatori. Mi pare bellissimo che molti compagni della televisione possono dare lezioni sulla comunicazione ed i problemi dei media meglio di Ramonet, perché hanno coscienza di quello che vivono e che fanno.
Mi sembra bello, inoltre, perché i laboratori quando eravamo tutti disperati perché non c'erano soldi e tutto è difficile ti rianimavano: il lavoro con la gente che quando arriva tutti sono un po' timidi, poi quando si assumono il ruolo di essere comunicatori, creatori, di essere capaci di costruire le proprie idee, i propri sogni è incredibile: le donne dimagriscono, si fanno belle, cercano un fidanzato. È un cambio radicale!
L'interessante è che un lavoro interessante, nessuno di noi guadagna per fare i programmi, anzi dobbiamo trovare i soldi per farlo. Però bisogna capire che questo non è un privilegio ma questo deve essere un diritto di tutti.
Lavoriamo sul tema della separazione tra il mezzo ed il messaggio, creiamo una figura che sono gli ECPAI (gruppi comunitari di produzione audiovisiva indipendente). L'idea è che ogni collettivo che fa i laboratori non lo fa perché vuole essere un cineasta individuale ma perché fa parte di un collettivo che deve lavorare insieme perché per produrre, per lo più senza soldi, devi stare insieme ad altri. A noi non interessa costruire una comunicazione dove non si consideri "l'altro", non ci interessa una produzione dove io sono "Catia" e parlo di me, di me e di me e non mi importa altro. Devi assumere di essere indipendente, non dipendi dalla televisione. La tv è un nucleo piccolo. Questo mezzo, come la radio perché il funzionamento è più o meno lo stesso, è come un marchio, una macchina che ti permette di riprodurre le tue idee. Però chi è che scrive un libro, chi lo distribuisce, chi è responsabile del libro, quello sei tu. E responsabile allo stesso modo (e questo abbiamo ottenuto di inserirlo nella legge) è che nella misura in cui i produttori sono indipendenti e responsabili di quello che dicono i mezzi non devono curarsi di quello che dicono gli altri. Per esempio: se Bush ha fastidio di un programma in cui si dice che è un maledetto assassino la televisione non ha niente a che vedere con questo perché chi è responsabile è quello che fa l programma. Non si può demandare questa responsabilità alla tv perché la televisione è solo un mezzo, ma non produce e la responsabilità è tutta del produttore. Però sappiamo che i grandi (e questo è il problema che abbiamo ora con i mezzi di comunicazione privati affiliati nella camera di radiodiffusione e nella camera dell'industria delle radio e tv) dicono che siamo finanziati dalle Farc, che siamo una creazione di Raul Castro, che siamo l'apparato propagandistico dello Stato. Siamo competenti . mettiamo la nostra competenza nel senso di quello che è la configurazione di un altro esser umano possibile, una piccola finestra contro il bombardamento permanente che ci rende tutti idioti.
Con questo meccanismo noi non siamo..
Quello che è importante è che non solo crei un problema a loro (e questo è un bene), ma la gente comincia a farsi un'idea del paternalismo dello Stato protettore o dell'impresa protettrice. Questo fa si che tu hai un cambiamento nel modo d'essere della gente che è fantastico perché è la stessa gente a difendere il processo perché lo comprende. Capisce che non è lo Stato, ma noi stesso, non so se mi spiego!
Crediamo che si tratta di cominciare a fare cambiare il mezzo di comunicazione e che possiamo convivere con un mezzo anche se non siamo tutti d'accordo e però tutti abbiamo spazio, dove tutti possono costruire qualcosa, e dove chiunque, perché è una democrazia partecipativa dove non c'è nessuno che ti rappresenti ma sei tu stesso a rappresentarti. E come ti rappresenti se non hai presenza nei mezzi di informazione che costruiscono il sentire comune della società?