Introduzione

In nome del buon giornalismo

E' un dato acquisito: l'informazione svolge ormai un ruolo decisivo nei conflitti culturali, politici, sociali e militari che attraversano il pianeta. Meno avvertita è invece l'urgenza con cui questa questione preme alle porte del giornalismo: dei giornalisti, delle nostre identità, delle nostre pratiche e delle nostre etiche. Il giornalismo è sempre stato corteggiato da logiche estranee alla cultura della professione ma questa volta rischia di essere stravolto in maniera irreparabile, diventando solo campo di scorreria e strumento dei grandi poteri.

L'esempio che viene dal Venezuela è illuminante e a noi giornalisti italiani può dire molto.

Negli ultimi due anni i media privati di Caracas - le quattro principali catene televisive, con una copertura del 95%, e i maggiori quotidiani nazionali - hanno svolto una funzione di primo piano all'interno del fronte che ha tentato ripetutamente - anche con un vero e proprio golpe, che non a caso è stato definito "mediatico" - di rovesciare il presidente Hugo Chavez, eletto democraticamente. I media venezuelani sono diventati il cuore del conflitto e il luogo stesso in cui si svolge la battaglia politica; e i giornalisti, come dice un collega venezuelano a un analista del CPJ, solo "carne da macello", "proiettili nelle pistole dei giornali".

Questo Dossier - curato da Pino Rea come primo contributo a una riflessione che la Fnsi intende avviare sui temi del rapporto fra libertà di stampa e diritto all'informazione - illustra in maniera dettagliata gli sviluppi di questo ultimo drammatico biennio venezuelano, analizzando la trasformazione degli organi di informazione in veri e propri "partiti". Organismi di "partito" che hanno finito, quasi per inerzia, per occupare il vuoto lasciato da quelli tradizionali, spazzati via dopo 40 anni di "democracia puntofijista" (democrazia dell' immobilità, si potrebbe tradurre), e si sono piazzati, in maniera aperta, sui due lati dello schieramento sociale.

Da un lato i media commerciali delle grandi famiglie vicine agli Usa (fra cui spicca il gruppo di Gustavo Cisneros, l'aspirante Berlusconi dei Carabi), dall'altro il fronte che appoggia Chavez, con i media comunitari e alternativi, che finiscono per sentirsi quasi giustificati nella loro radicalità dall'eversione informativa degli avversari.

In mezzo a questa tenaglia, i giornalisti e il giornalismo.

Ma che giornalismo è quello che arriva fino a manipolare, come confesserà il suo autore, un video su una sparatoria nel centro di Caracas - che ha poi fatto il giro del mondo - per addossarne la colpa a Chavez e ai suoi sostenitori? Che giornalismo è quello che, come spiega questo Dossier, inventa, per esempio, il nuovo format dell'intervista-dibattito? L'intervista in cui, come rileva la sezione venezuelana dell'Osservatorio globale dei media, "il giornalista si converte in personaggio che prende posizione, a cui non interessano i fatti, ma che vuole solo avere ragione"?

E poi che giornalismo sono, come denuncia l'Osservatorio, "titoli tendenziosi in appoggio al punto di vista editoriale e non all'importanza della notizia. Uso esagerato di fonti informative di un solo settore. Rifiuto sistematico delle notizie provenienti dal settore avversario e convalida automatica delle fonti coincidenti col proprio interesse. Manipolazione interessata, acritica, antidemocratica e illegale delle fonti stesse. Assenza di verifiche rigorose di tutte le informazioni provenienti da terzi. Sopravvalutazione del si dice e forma condizionale dell'informazione. Valorizzazione interessata di dicerie e supposizioni non provate. Uso abusivo di forme come avrebbe, non si esclude, potrebbe, a parere, si dice che... Confusione tra pubblicità, propaganda politica, opinione e informazione, specialmente nei media elettronici. Manipolazione delle immagini audiovisive. Assenza di rigore"?

La parte più avvertita dei colleghi venezuelani, i giornalisti che amano il loro mestiere e che credono nei principi imparati all'università, hanno tentato di opporsi con tutti i loro mezzi. Il Dossier riporta il "Manifesto per la pace e la democrazia e in difesa del libero esercizio del giornalismo" del Sindacato nazionale dei lavoratori della stampa (SNTP) di Caracas - un manifesto di intenti diffuso alla vigilia dei fatti dell'aprile 2002 che purtroppo gli avvenimenti spazzeranno via - e il fermo e lucido documento sindacale dei lavoratori di el Nacional del 10 giugno 2002, "Basta con le manipolazioni".

Il "Manifesto" del Sindacato, involontariamente, nel denunciare le aggressioni verbali di Chavez nei confronti della stampa privata senza però fare altrettanto con il ruolo apertamente "partitico" ed eversivo dei padroni dei media, finisce per dare a questi ultimi un ulteriore alibi nel loro impegno diretto nel fronte golpista.

Il documento dei lavoratori di el Nacional non viene neanche pubblicato sul giornale. La voce di quei colleghi viene zittita dalle grida di guerra, mentre si scatena nei media privati la "caccia alle streghe" (oltre 500 giornalisti e collaboratori licenziati o cacciati per le loro posizioni troppo "neutrali", secondo il docente universitario Luis Britto Garcia) a cui, sull'altro fronte , si contrappongono le purghe nei media statali.

Probabilmente era troppo tardi. Il meccanismo si era innescato già da parecchio e, quando ormai il conflitto era esploso violentissimo nelle piazze, non c'era più tempo per far prevalere i criteri e i doveri, alla fine anche il prestigio, della professione rispetto ai richiami dell' appartenenza. E forse, anche sul piano dei rapporti di forza sindacali, mancavano strumenti concreti per arginare la furia e il protagonismo di direttori e padroni dei media.

L'esperienza venezuelana ci parla direttamente. Ci conferma nella scelta di quella linea - che la Fnsi ha imboccato risolutamente - di massima attenzione,anche politica mai semplice per operatori della comunicazione, rispetto ai processi e ai problemi in corso nel mondo dell' informazione nel nostro paese. E ci conferma nella centralità dell'impegno politico-sindacale per rafforzare gli strumenti, anche contrattuali, di difesa del prestigio e della qualità della professione nelle pratiche e nella routine redazionali. Così che nelle redazioni la voce dei giornalisti possa almeno tenere testa a quella degli appartati di direzione e di marketing, anche "politico".

E questo, ovviamente tanto per il Venezuela quanto per l'Italia. D'altra parte, denunciare il conflitto di interessi, combattere le concentrazioni, difendere il servizio pubblico, invocare il pluralismo significa non solo schierarsi per la democrazia, ma anche garantire nel paese gli spazi che consentano di tenere ai margini il cattivo giornalismo, le pratiche basse, l'informazione corrotta e manipolata, impedendo che quest'ultima, come la cattiva moneta, cresca e faccia terra bruciata intorno a sé. Distruggendo anche la professione del giornalista e, con essa, il diritto costituzionale dei cittadini a una informazione corretta e pluralista. Perché alla fine è proprio quest'ultimo diritto che dà un senso alto al principio della libertà di stampa. La buona informazione non è altro che giornalismo libero e corretto.

Paolo Serventi Longhi

Segretario generale Fnsi

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Dossier FNSI a cura di Pino Rea | Impaginazione e grafica Filippo Cioni