IMPARZIALITA'
(di Carlos Blanco , urru.org , 29 dicembre 2002)
www.urru.org/papers/20021229_Imparcialidad_CB.htm
Uno dei temi preferiti del governo è quello della parzialità dei mezzi di comunicazione. È una lamentela persistente alla quale si sono uniti alcuni corrispondenti stranieri. Guardano e leggono, sopresi, che in maniera "istituzionale" giornali, canali tv ed emittenti radio sono schierati in una ferrea militanza contro Chavez. E la periferia chavista fornisce combustibile a questa visione.
Vengono, guardano e giudicano. Pieni di orrore vedono i media impegnati in una militanza radicale e li condannano (...). All'improvviso l'osservatore "imparziale" si sveglia e vede Alberto Federico Ravell, Oscar Camero, Gustavo Cisneros e Marcel Granier (alcuni dei principali editori del paese, ndr) gettarsi famelicamente su Chavez (...). Ma si ignora, in maniera interessata, come si è arrivati fino a qui. Non era così all'inizio; anzi, era il contrario. I critici si fermano ad ora senza voler vedere gli antecedenti.
Inizialmente la quasi totalità dei media erano favorevoli al governo. In qualche caso perché i direttori e i proprietari guardavano con simpatia al progetto chavista, in altri casi perché erano amici con i gerarchi del regime e in altri ancora perché volevano mantenere una relazione "normale" con il nuovo governo.
Miguel Enrique Otero è stato simpatizzante di Chavez, come molti venezuelani; Alfredo Pena, sempre legato a El Nacional , pure si è schierato col progetto chavista. Gustavo Cisneros ha mostrato simpatie per il governo e Venevision è stato un canale aperto al mondo ufficiale. Globovision allo stesso modo: Alberto Federico Ravell dette tutto lo spazio di questo mondo quando Chavez e i suoi funzionari nel avevano bisogno; un' alta personalità del vecchio regime è arrivato ad affermare con eccessiva esagerazione che Globovision era "La gazzetta ufficiale televisiva del regime". Uno dei proprietari di questo canale, Nelson Mezerhane, si impegnò molto per avere buone relazioni col governo.
Omar Camero di Televen ugualmente si era orientato con simpatia verso il regime ed è stato uno dei pochi proprietari di testate che riuscì ad avere sul suo canale la visita ufficiale del presidente. Nelle loro rispettive organizzazioni, Andres Mata e Marcel Granier hanno seguito politiche di apertura verso la rivoluzione, anche dopo molti incidenti carichi di presagi. Questo solo per parlare dei casi più emblematici a livello nazionale.
Ma non era solo una questione di padroni e di direttive. La maggioranza dei giornalisti simpatizzava con Chavez. Le notizie erano quelle che produceva il governo e, in quei tempi, si parlava del loquace Presidente come del Grande Comunicatore. L'opposizione allora era esigua, ripudiata dalla maggioranza, e la sua presenza sui media era tanto scarsa che nemmeno si notava. Era l'onda del paese. Il centro di gravità della società si situava dalle parti della rivoluzione e quello era, ugualmente, il punto in cui si trovava l'imparzialità.
Il panorama si oscurò in tre momenti. Il primo fu quando il Presidente si considerò in diritto di emendare le pagine dei giornali. Allora non veniva considerato come l'insigne oratore di stupidaggini che conoscemmo dopo, ma come il leader che inaugurava uno stile chiacchierone. Insisteva su cosa andava e cosa non andava nei titoli, cominciò le sue polemiche per il taglio delle notizie e pretese di dar lezioni di giornalismo. Anche se può sembrare strano , irritò per primi i giornalisti piuttosto che i proprietari e le direzioni . In quel momento le intemperanze presidenziali vennero prese come delle eccentricità di un personaggio uscito da una cantina frequentata da militari. Ma si scommise che il personaggio si sarebbe corretto attraverso il contatto con il fratello Andres (Pastrana) e l'amico fraterno Fernando Enrique (Cardoso).
Il secondo momento del confronto cominciò quando comparvero le critiche. Un furto "rivoluzionario" qui, una mano troppo larga nel Fondur (Fondo nazionale per lo sviluppo urbano, ente urbanistico governativo, ndr), un generale che esagerava lì, una stravaganza parlamentare qua cominciarono a provocare le critiche dei giornalisti. Gli abusi dell' Assemblea costituente e del Congressillo, fatti affinché Chavez controllasse tutto il potere, aumentarono le distanze. L'infaticabile oratore rivoluzionario, spiazzando a destra e a sinistra, già cominciava ad alienarsi le simpatie di direttori e giornalisti. Credeva di intimorire o commetteva "carinerie" come quella di chidere a Zapata (Pedro Leon Zapata, noto caricaturista che lavora per El Nacional, ndr) quanto gli avevano dato per una sua caricatura (cfr www.analitica.com/va/sintesis/nacionales/7438092.asp > ).
Le critiche dei giornalisti si accentuarono e Chavez aumentò gli insulti.
La forma di protesta dei media fu quella di rendere pubbliche le aggressioni presidenziali. In maniera asettica ripetevano quello che il Grande Comunicatore aveva detto e così ne sottolineavano l'intolleranza. Parallelamente cominciò la crescita di quello che è oggi un poderoso movimento di opposizione, che entrò nel radar dei media. La dissidenza crescente, i mezzi di comunicazione che riaffermavano la propria indipendenza e molti giornalisti con i denti affilati diventarono un cocktail che fece esplodere la violenza governativa. Come risposta il Presidente non fece altro che insultare: Andres Mata, Miguel Enrique Otero e Alberto Federico Ravell, insieme a molti altri, furono attaccati senza pietà. I due ultimi, in più, con allusioni ai loro padri. Nel caso di Otero esaltando suo padre per squalificare lui; nel caso di Ravell, squalificando entrambi.
Il terzo livello si raggiunge quando i media cominciarono a difendere di fronte a Chavez il loro diritto di informare e questo scatenò una campagna di intimidazione che per gli osservatori "imparziali" era solo verbale, ma che in realtà fu il segnale per avviare la furia nelle strade contro i media da parte dei Circoli del Terrore (i cosiddetti Circoli bolivariani, ndr). Questa fase coincise con l' abbandono da parte del governo di qualsiasi scrupolo di rispetto per la libertà di espressione e cominciò uno scontro aperto. La violenza ufficiale contro i media si era intrecciata a quella esercitata contro molte istituzioni della società. L' autoritarismo non era più un presentimento e, il paese, allora, reagì massicciamente.
I mezzi di comunicazione, come la Chiesa , le università, i sindacati, gli organismi professionali e le organizzazioni imprenditoriali sentirono che era a rischio la democrazia. Certamente smisero di essere imparziali. Non furono imparziali fra coloro che protestavano con le pentole e coloro che ammazzavano a Llaguno. Non furono imparziali fra l'autoritarismo fascista di Chavez e la democrazia, difesa da milioni di cittadini . I media capirono che non potevano essere imparziali mentre la democrazia moriva. (...)
Il regime di Chavez smise di essere democratico e non si poteva essere imparziali fra la democrazia e l' autoritarismo. I media, come la maggioranza della società, rivendicarono il fatto che l'imparzialità solo in democrazia è politicamente realizzabile ed eticamente esigibile.
Carlos Blanco
Fra Chavez e l'informazione privata - pochi grandi gruppi (* ) controllano il 95% delle frequenze radiotelevisive e hanno il quasi monopolio dell'informazione scritta - i rapporti diventano sempre più tesi. Anche Cesar Miguel Rondon, noto giornalista televisivo e commentatore di el Universal , rileva però che nel 1999, quando venne eletto capo dello stato per la seconda volta, "non furono pochi i mezzi di comunicazione che aderirono al progetto" chavista di un "nuovo tempo per la patria".
"Ma nella stessa misura in cui il Presidente svilisce il suo ruolo di Presidente costituzionale di un governo - per quello in definitiva i venezuelani lo avevano eletto - per convertirsi, esclusivamente, in Leader di un "processo rivoluzionario" - si sfoga amaramente Rondon - nella stessa misura noi, i media, invece di essere meri "oppositori" finiamo per diventare, contro la nostra volontà, "controrivoluzionari". Questa è una categoria di guerra, che ci fa cadere in trappola perché suppone qualche "arma" che noi non abbiamo mai avuto e che non desideriamo avere: siamo solo giornalisti, comunicatori, gente comune dei media... E se e ci obbligano, la parola, la voce, l'immagine sono il nostro unico pugnale.
A questo punto, il dibattito delle idee si trasforma in lanci di pietre, in un mero affare di minacce e di scalmanati. Davanti a queste cose che può fare un cronista, un reporter, uno che semplicemente parla davanti a un microfono? E ancora di più: che cosa può fare un lettore, uno spettatore o un ascoltatore"?
(*) Questi gruppi includono Phelps/Granier (emittenza, Radio Caracas Television - RCTV), Cisneros (emittenza, Venevision e Televen), Armas (stampa, El Universal, Meridiano e Diario 2001), Otero (stampa, El Nacional) e Capriles (stampa, El Mundo e Ultima Noticias). Le due principali emittenti televisive, RCTV e Venevision, avevano nel 2001 più del 30% ciascuna del mercato. Anche il governo è presente nel settore dei media con una tv, radio e stampa (anche se la loro diffusione è molto piccola) - con circa il 2% dello share con Venezolana de Tv nel 2001.
Questo intervento di Rondon, in alcuni tratti anche commovente e drammatico, chiarisce in maniera perfetta la parabola dei rapporti fra Chavez e il grosso del giornalismo professionale. Uno scontro che finisce però per trasformarsi, nelle mani dei direttori e dei proprietari dei media commerciali , in un colossale alibi per dare una vernice di "lotta democratica" a quella che secondo molti commentatori non era altro che una vera e propria avventura eversiva.
I MEDIA
(di Cesar Miguel Rondon, marzo 2002)
All'inizio del 1999, il Presidente assunse il potere circondato dall'appoggio, l'euforia e la speranza della immensa maggioranza dei venezuelani. (...) Una nuova epoca si apriva per la Repubblica e, in mezzo a tanto entusiasmo, il paese non sentiva ragioni per non aderire al progetto. Si profilava un nuovo tempo, una Costituente, una nuova maniera di farsi carico del paese.
Ricordo che non furono pochi i mezzi di comunicazione sociale che aderirono a questa linea di azione e a questo impegno. Ricordo che furono molti i giornalisti che, in modo militante, fecero loro la causa del Presidente. Nelle interviste che gli facevano, nelle rassegne e nei reportage, nella 'copertura' dei suoi discorsi e delle sue azioni si vedeva questo contagio, questa simpatia. I giornalisti di quel momento - come quelli di ora - non smettevano di essere venezuelani attivi ed impegnati, portatori entusiasti di una identità che non si riduceva solo al tesserino che avevano in tasca.
E il Presidente era felice.
Però passò il tempo e l'azione di governo cominciò a disvelarsi. Alcuni media, alcuni giornalisti e comunicatori, che per ragioni di diverso tipo avevano mantenuto una certa distanza dall'euforia iniziale, cominciarono a fare osservazioni, ad accorgersi di un errore qui, di una omissione là, di un piccolo imbroglio in qualche ministero, di uno scivolone più grande in qualche Governatorato, e così via.
E al presidente tutto questo non piacque tanto.
Cresciuto con una ferrea formazione militare, abituato all'ordine e all'obbedienza, e privo di quella rigorosa qualificazione indispensabile per quell'incarico, il Presidente presto dimostrò che non era un uomo fatto per accettare il dissenso. E chi è fatto in questo modo di solito è schiavo di quel miraggio che fa vedere la Verità (quella con la maiuscola) soltanto da una parte. Per questo, già nei primi momenti del regime, non furono pochi i comunicatori che si videro segnalati dal grande indice della mano del potere come fallaci e bugiardi. Anche se non facevano niente di diverso da quello che avevano sempre fatto di fronte a tutti i governi precedenti: dire, semplicemente, quello che accade.
Il giornalista, come Comunicatore sociale è la voce, l'occhio, l'orecchio critico della società. Il suo dovere - la sua ragion d'essere - lo obbliga a collocarsi sempre sul marciapiede opposto a quello del potere (...).
Passarono i mesi e le carenze nell'arte di governo fecero sì che il carisma, l'entusiasmo e l'appoggio del Presidente furono spazzati via. Con la stessa tessera professionale di prima, i giornalisti cominciarono a cambiare il tono e lo spirito delle domande, delle interviste, dei servizi e dei reportage. E così pure cambiò la valutazione del Presidente: i giornalisti smisero di essere amici - "compatrioti rivoluzionari" - per trasformarsi in prezzolati sottomessi ai capricci dei padroni dei media. In definitiva, si trasformarono nei grandi nemici del "Processo" ('processo' viene definito in Venezuela il progetto chavista, ndr).
Cosa era accaduto?
Davanti alla frantumazione dei quadri politici del passato, il Presidente inaugura una linea di governo che non incontra ostacoli. Gli unici che segnalano mancanze e inconvenienti sono, appunto, i media. Il Presidente, allora, li assume come suoi nemici politici.
Ma né i media né i giornalisti sono - è naturale - partiti, quadri o attivisti politici.
I giornalisti - i media - non sono altro che i cronisti di quella che giorno per giorno è la vita di un collettivo, di un paese. Certo, cronaca aspra e pungente: cronaca militante e impegnata, con vocazione di servizio pubblico e onesta (...). Niente di più di una cronaca della nostra storia quotidiana. In definitiva, stiamo qui perché un paese ha bisogno di noi e noi di lui, del paese che giustifica la nostra esistenza come giornalisti e ci dà ragione di essere, ci guarda, ci legge e ci ascolta. Alla lunga non siamo che uno specchio, un riflesso quotidiano dei nostri lettori, ascoltatori, telespettatori. Senza falsa modestia, siamo "il messaggero". E le notizie, buone o cattive, non nascono dentro di noi ma fuori: nel paese e nel mondo che respira, vibra e vuole che ci siamo.
Ma quanto è facile dare la colpa allo specchio invece di affrontare la realtà che vi si riflette!
Ma la cosa grave arriva ora: nella stessa misura in cui il Presidente svilisce il suo ruolo di Presidente costituzionale di un governo - per quello in definitiva i venezuelani lo avevano eletto - per convertirsi, esclusivamente, in Leader di un "processo rivoluzionario", nella stessa misura noi, i media, invece di essere meri "oppositori" finiamo per diventare, contro la nostra volontà, "controrivoluzionari". Questa è una categoria di guerra, che ci fa cadere in trappola perché suppone qualche "arma" che noi non abbiamo mai avuto e che non desideriamo avere: siamo solo giornalisti, comunicatori, gente comune dei media... E se e ci obbligano, la parola, la voce, l'immagine sono il nostro unico pugnale.
A questo punto, il dibattito delle idee si trasforma in lanci di pietre, in un mero affare di minacce e di scalmanati. Davanti a queste cose che può fare un cronista, un reporter, uno che semplicemente parla davanti a un microfono? E ancora di più: che cosa può fare un lettore, uno spettatore o un ascoltatore?
Insiste il Presidente - e in questo gli fanno eco i suoi - che non c'è stata una sola testata chiusa, nè un giornalista arrestato o torturato. Ma, in questo caso, le minacce non sono ugualmente letali e condannabili? Che dire della Ley de Contenido e della mina di profondità che si intravede fra le sue non nascoste intenzioni? E cosa delle minacce di chiusura - ripetutamente fatte nei suoi discorsi dal Presidente - contro Globovision ? E cosa degli insulti a El Universal , le aggressioni a El Nacional e la bomba a "Asì es la noticia" ? Che dire delle pietre e delle turbe che hanno aggreddito senza pietà cronisti, cameramen, autisti e impiegati? Non va per caso contro la mia dignità e il mio tesserino professionale che qualcuno mi ricordi malamente a mia madre solo perché esercito il mio lavoro nella mia città tutti i giorni della mia vita? Come è possibile che un in paese democratico - il mio paese democratico! - devo vivere sotto una teca di cristallo? Non ci avevano detto che era arrivato un nuovo tempo per la patria?
È per questo nuovo tempo che oggi ci riuniamo qui per manifestare non pochi dubbi, non poca rabbia, non poche frustrazioni. Davanti a tutto il paese noi esponiamo la nostra immagine: qualche volta confusa, altre volte sfocata ma sempre onesta e sempre riflessa. E questo riflesso, signor Presidente, è quello che lei e i suoi dovreste vedere: qui non c' è rivoluzione né nulla che le somigli, ma solo un paese estenuato e umiliato che chiede conciliazione, per avanzare in pace verso il progresso che tanto si merita. Ricorda, signor Presidente, che i popoli sanno ripagare molto cara la cecità del loro leader. Tenete gli occhi aperti, lei ci ha raccomandato più di una volta, ed è questo, precisamente, l'invito che ora le facciamo noi. Non siamo suoi nemici, siamo solo venezuelani che fanno il loro dovere.