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Quella "settimana particolare" di cui parla Britto nella sua conclusione è stata al centro di una lunga serie di articoli ed analisi, soprattutto dal fronte del Movimento - dove l'interesse sui media e sulle vicende dell'America latina è molto elevato. In molti interventi la minaccia della macchina mediatica è forse eccessivamente enfatizzata rispetto alla considerazione che, in fondo, come dice Britto, "un golpe mediatico può imporre solo un dittatore virtuale".
Non a caso Greg Palast confronta Venezuela e Argentina, sottolineando come quello tentato a Caracas fosse un golpe un po' rozzo, poco sofisticato e determinato da categorie in stile un po' troppo anni '70.
Riferendosi all'Argentina, Palast parla di "nuovo colpo di stato" (Appendice1).
"G. W. Bush - rileva - è uomo di petrolio. Possedeva una compagnia petrolifera e ora sembra che siano le compagnie petrolifere che lo posseggono.
Non si può dubitare del fatto che il complotto organizzato contro Chavez dal complesso militar-industriale del Venezuela fosse al servizio degli interessi dei grandi petrolieri. Ma era un complotto all'antica, che aveva molte possibilità di fallire. I colpi di stato del 21° secolo seguiranno il modello argentino: alcune banche internazionali si impadroniranno del cuore finanziario di una nazione, facendo del possessore del titolo presidenziale un funzionario che avrà importanza solo in quanto factotum dell'ordine del giorno delle imprese".
In ogni caso, come spiega bene Eduardo Galeano (Appendice 3 ), la macchina mediatica è molto potente, soprattutto perché riesce a capovolgere il senso delle cose, "con l'ipnotismo, nella mente umana". "Dentro e fuori delle frontiere - racconta Galeano - , la macchina convertì Chavez in un 'tiranno', un 'autocrate delirante' e un 'nemico della democrazia'. Contro di lui c'erano 'i cittadini', con lui 'le turbe', e i locali in queste queste ultime si riunivano erano 'covi' ". Così, al posto di Chavez - che "era stato eletto e rieletto da una strabiliante maggioranza in elezioni molto più trasparenti di quelle che avevano consacrato George Bush" -, "occupò la presidenza un imprenditore, che non era stato votato da nessuno". E che, "democraticamente, come prima misura di governo, sciolse il Parlamento". È quella stessa macchina, ricorda Galeano, per cui "ieri Pervez Musharraf era il miglior amico dei suoi vicini, i talibani, e oggi si è convertito nel 'leader liberale e sostenitore della modernizzazione del Pakistan'".
Naomi Klein (Appendice 4) ricorda come "nei giorni che hanno portato al colpo di stato di aprile, Venevision, Rctv, Globovision e Televen hanno sostituito la normale programmazione con discorsi antichavisti, interrotti solo da spot che invitavano gli spettatori a scendere nelle strade. Si sono spinti anche oltre. Il presidente dell'associazione delle emittenti radiotelevisive ha firmato il decreto che scioglieva l'assemblea nazionale democraticamente eletta". Quando Chavez è tornato al palazzo di Miraflores, "le tv hanno smesso del tutto di dare le notizie. Anzi, in quella che è stata una delle giornate più importanti della storia del Venezuela, - aggiunge - hanno mandato in onda Pretty Woman e i cartoni animati di Tom e Jerry. 'Ho detto basta e ho deciso di andarmene', mi ha raccontato Andres Izarra (uno dei maggiori giornalisti radiotelevisivi del paese, ndr).
La situazione non ha fatto che peggiorare. Durante lo sciopero organizzato dall'industria petrolifera, che è stato di recente interrotto, secondo stime governative le tv hanno trasmesso ogni giorno una media di settecento spot favorevoli all'agitazione".
È in questo contesto che Chávez, rileva la Klein , "ha deciso di prendersela sul serio con le tv, cioè non solo con parole di fuoco, ma con un'indagine sulle presunte violazioni delle norme che regolamentano le trasmissioni e con una nuova legge. 'Non vi meravigliate se cominciamo a chiudere le tv', ha dichiarato a fine gennaio. Questa minaccia ha suscitato una raffica di condanne da parte del Comitato per la tutela dei giornalisti e di Reporter sans frontières. I motivi di preoccupazione non mancano. Ma i tentativi di regolamentare i mass media non sono "un'aggressione alla libertà di stampa", come ha sostenuto il Comitato".
"I media venezuelani, compresa la tv di stato, hanno bisogno - secondo la Klein - di controlli severi che garantiscano pluralismo, equilibrio e parità nell'accesso ai media, e questi controlli vanno applicati da organismi indipendenti. Alcune delle proposte di Chávez superano queste limitazioni e potrebbero essere usate per mettere il bavaglio al dissenso. Ma è assurdo trattare Chávez come se fosse la minaccia principale alla libertà di stampa in Venezuela: quest'onore spetta ai padroni dei mezzi di informazione. Questo dato - sottolinea la scrittrice americana - è passato inosservato alle organizzazioni incaricate di difendere la libertà di stampa nel mondo, ancora legate al cliché per cui tutti i giornalisti non vogliono altro che la verità, mentre le minacce provengono solo da uomini politici malvagi e da cittadini infuriati.
È triste, perché oggi abbiamo un bisogno disperato di difensori coraggiosi della libertà di stampa, e non solo in Venezuela. Il Venezuela non è certo l' unico paese dove si sta facendo una guerra per il petrolio, dove i Padroni dei media sono inseparabili dalle forze che chiedono un cambiamento di regime, e dove l' opposizione scompare dai telegiornali. Ma negli Stati Uniti, a differenza del Venezuela, i mass media e il governo stanno dalla stessa parte della barricata".
Naomi Klein - come tanti altri osservatori - in relazione al golpe di aprile concentra lo sguardo soprattutto sul sistema dei media-azienda, lasciando in ombra un altro importante settore del mondo dell'informazione, che secondo alcuni fu anzi decisivo nella sollevazione popolare e nel controgolpe che in poche ore riportò Chavez a Miraflores. Si tratta dei media comunitari e, soprattuto, di internet .
Un capitolo a cui subito dopo i fatti, già il 18 aprile, Al Giordano, animatore di Narconews, un sito fondamentale nel panorama della informazione alternativa del Sudamerica, dedicava un lungo servizio titolandolo con una accattivante parafrasi , I tre giorni che sconvolsero i media- ll meglio del giornalismo on-line ha svelato e sconfitto un golpe ( The Narco News Bulletin 18 aprile 2002) (Appendice 5).
"Una delle agenzie di informazione particolarmente disonesta in questi giorni, l' Associated press (AP ), - attaccava Giordano - ha scritto il 14 aprile una notizia che, solo qualche ora prima, la sua rete non avrebbe mai pensato di dover scrivere:
"Mai prima nella storia contemporanea si è verificato che un governante che era stato spodestato dai militari è tornato al potere, dopo che il suo sostituto si era insediato, sull'onda di una sollevazione popolare".
Con un'enfasi che ora puo' sembrare un po' eccessiva - ma il golpe fallito era freschissimo - Giordano annuncia trionfante: "La storia entra nei libri come una corrente di acqua fresca attraverso la rinascita del Giornalismo Autentico.
AP, Reuters, New York Times e CNN , i peggiori aggressori di lingua inglese fra i media, - continua - hanno dovuto cambiare radicalmente la propria copertura degli eventi in Venezuela proprio perché i giornalisti on-line si sono ammazzati di lavoro nei giorni scorsi per infrangere il blocco informativo e dare notizie veritiere all'opinione pubblica internazionale".
"Gli stessi professionisti dei media che disprezzano la definizione 'giornalismo autentico' - prosegue il giornalista di Narco News - sono coloro che, per il bene della loro futura credibilità, devono fare molta attenzione a ciò che è successo. Perché hanno molto da pagare per la cattiva condotta professionale di molti di loro negli ultimi giorni. Così come la maggioranza del popolo venezuelano - senza voce, senza dollari ma non senza intelligenza - ha protestato contro l'aggressione della oligarchia decadente al suo paese e ha imposto il suo diritto a decidere del suo destino , il giornalismo autentico - in particolare la rapida risposta del giornalismo on-line indipendente - ha costretto i media di massa a rimangiarsi le sue parole disoneste".
Maurice Lemoine racconta invece come le associazioni internazionali per la libertà di stampa abbiano affrontato quella settimana, rilevando come di fatto esse abbiano sposato, in maniera acritica, la linea dell'informazione commerciale e dei suoi editori. Attaccando, in particolare, la SIP e Rsf: non a caso l'articolo è intitolato "Golpe senza frontiere" (Appendice 6).