l - I media come partiti

1 - I media come "partiti"

I media come partiti : è una notazione che accomuna tutti gli analisti delle vicende venezuelane. Veri e propri nuovi "partiti" in una situazione in cui quelli tradizionali hanno perso qualsiasi presa su una società che, attraversata da un conflitto durissimo, sfociato ripetutamente in episodi da guerra civile, dai media trae - in un intreccio di propaganda e attacchi verbali - anche le principali direttive politiche. Il quadro del Venezuela di questi anni è nello stesso tempo molto complesso ma anche molto trasparente e consente di mettere in luce con nitidezza una dinamica propria di gran parte del pianeta, che vede i media diventare il luogo della politica, i principali strumenti di lotta per il potere, a tutti i livelli.

"Nel Venezuela - spiega Joaquin Villalobos, ex guerrigliero salvadoregno e attualmente docente del Saint Antony's College di Oxford - la contraddizione fra mezzi di comunicazione e partiti, che è pressoché universale, si è trasformata praticamente in sostituzione. Una emittente radiotelevisiva, un giornale sono più importanti di qualunque partito e i giornalisti hanno sostituito gli attivisti e gli esponenti politici" ( TalCual, 26.05.2003).

"I partiti che abbandonarono le masse - rileva Luis Britto Garcia nell'introduzione al suo libro Investigacion de unos medios por encima de toda sospecha ( www.analitica.com/bitblioteca/britto ) - sono stati a loro volta abbandonati dalle masse. Il grande capitale punta sulla 'soluzione finale' dell'antipolitica: abolizione di partiti e direzioni a favore del totalitarismo di una corporazione di padroni e di un pugno di sindacalisti che vogliono confiscare lo Stato con la forza bruta, legittimati, o, meglio, diretti da una parte dei media, che si muovono come partito politico, designano o destituiscono i leader dell'opposizione e dettano loro strategie e programmi".

E' illuminante questo breve resoconto di una giornalista venezuelana che lavora per la mitica BBC e che guarda allarmata alla frattura fra i suoi colleghi delle due parti.

UNA GIORNALISTA DELLA BBC
IN UN PAESE SPACCATO
(di Marilisa Reyes , BBC)

http://www.bbc.co.uk/worldservice/specials/1536_impartiality/page4.shtml

 

Come giornalista del BBC World Service , sono tornata spesso nel mio paese, il Venezuela, in varie occasioni. I reportage da lì sono sempre stati un lavoro semplice. Le regole del confronto giornalistico erano chiare e il contesto politico facilmente inquadrabile.

C'erano due partiti, che hanno guidato il paese fin dal 1958 - anno in cui i venezuelani videro la fine di una decennale dittatura militare e l' inizio della democrazia. Le elezioni erano abbastanza facilmente prevedibili. La gente apprezzava nei reporter l'imparzialità e lo sguardo rivolto a entrambe le facce della medaglia.

Un paese spaccato

Non è più così. Il Venezuela è un posto fortemente spaccato in due, diviso fra chi è a favore della Rivoluzione bolivariana del presidente Hugo Chavez e chi è contrario. Ogni fazione pretende che i giornalisti stiano dalla loro parte e che i media mostrino fedeltà a loro.

Nei due mesi dello sciopero nazionale, cominciato nel dicembre 2002, i presentatori delle tv e delle radio commerciali - che appoggiano l'opposizione a Chavez - leggono i resoconti dei corrispondenti stranieri e li enfatizzano o li stroncano a seconda da quale parte del conflitto sembra loro che essi stiano.

Il governo usa la stessa tattica. Nella sua trasmissione domenicale, Chavez fa riferimento spesso a servizi a suo favore di giornalisti stranieri che lui ritiene siano favorevoli al suo punto di vista.

Pressioni da entrambi i lati

Il mio lavoro, fatto nella massima imparzialità, è stato analizzato da amici ed ex colleghi delle due parti del conflitto. Ho sentito la pressione montare man mano che essi cercavano sottilmente di insinuare dentro di me un senso di orgoglio nazionale e di appartenenza, che sospettavano io avessi perduto chissà quando.

In un recente viaggio a Caracas ho incontrato un vecchio collega che non vedevo da diverso tempo e mi ha subito chiesto in quale delle due barricate ero schierata.

Quando gli ho spiegato che ero lì per sentire entrambe le campane (per fare cioè quello che abbiamo imparato all' università e che abbiamo cercato di seguire nel nostro lavoro quotidiano), mi ha guardato come se io fossi appena arrivata da un altro pianeta.

Per lui la mia obbiettività non aveva senso.

"Due grossi schieramenti di giornalisti, inconciliabili - dice Pablo Antillano - hanno rispolverato le vecchie nozioni dell'intellettuale impegnato, dell'impegno e della militanza per giustificare le loro coazioni quotidiane, a volte passionali e altre volte, poche, concettuali. Agli uni e agli altri servono per lanciare sabbia negli occhi dei lettori, per portare acqua al proprio mulino e per far sì che la ragione delle proprie convinzioni si trasformi in rivelazione divina, esaltata, univoca, ineludibile e possente. Entrambi i gruppi lo fanno in nome del bene comune, invocano la difesa della democrazia, della giustizia e della redenzione, si muovono in nome della libertà di espressione e accusano gli avversari politici di manipolare l'informazione, di mentire, di aggredire, di promuovere uno scenario politico dalle conseguenze diaboliche.

Entrambi trovano giustificabile che si violino i principi fondamentali della professione giornalistica perché non sembra loro un periodo adatto per fare giornalismo, perché il momento impone di essere militante e impegnato.

Resteranno nella storia del giornalismo gli editoriali così espliciti di grandi giornali nazionali o regionali secondo cui in gioco c'è qualcosa di più importante del giornalismo e che quindi bisogna comportarsi di conseguenza".

( www.analitica.com/bitblioteca/pantillano/arsenico.asp )

 

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Dossier FNSI a cura di Pino Rea | Impaginazione e grafica Filippo Cioni