UNA GIORNALISTA DELLA BBC
IN UN PAESE SPACCATO
(di Marilisa Reyes , BBC)
http://www.bbc.co.uk/worldservice/specials/1536_impartiality/page4.shtml
Come giornalista del BBC World Service , sono tornata spesso nel mio paese, il Venezuela, in varie occasioni. I reportage da lì sono sempre stati un lavoro semplice. Le regole del confronto giornalistico erano chiare e il contesto politico facilmente inquadrabile.
C'erano due partiti, che hanno guidato il paese fin dal 1958 - anno in cui i venezuelani videro la fine di una decennale dittatura militare e l' inizio della democrazia. Le elezioni erano abbastanza facilmente prevedibili. La gente apprezzava nei reporter l'imparzialità e lo sguardo rivolto a entrambe le facce della medaglia.
Un paese spaccato
Non è più così. Il Venezuela è un posto fortemente spaccato in due, diviso fra chi è a favore della Rivoluzione bolivariana del presidente Hugo Chavez e chi è contrario. Ogni fazione pretende che i giornalisti stiano dalla loro parte e che i media mostrino fedeltà a loro.
Nei due mesi dello sciopero nazionale, cominciato nel dicembre 2002, i presentatori delle tv e delle radio commerciali - che appoggiano l'opposizione a Chavez - leggono i resoconti dei corrispondenti stranieri e li enfatizzano o li stroncano a seconda da quale parte del conflitto sembra loro che essi stiano.
Il governo usa la stessa tattica. Nella sua trasmissione domenicale, Chavez fa riferimento spesso a servizi a suo favore di giornalisti stranieri che lui ritiene siano favorevoli al suo punto di vista.
Pressioni da entrambi i lati
Il mio lavoro, fatto nella massima imparzialità, è stato analizzato da amici ed ex colleghi delle due parti del conflitto. Ho sentito la pressione montare man mano che essi cercavano sottilmente di insinuare dentro di me un senso di orgoglio nazionale e di appartenenza, che sospettavano io avessi perduto chissà quando.
In un recente viaggio a Caracas ho incontrato un vecchio collega che non vedevo da diverso tempo e mi ha subito chiesto in quale delle due barricate ero schierata.
Quando gli ho spiegato che ero lì per sentire entrambe le campane (per fare cioè quello che abbiamo imparato all' università e che abbiamo cercato di seguire nel nostro lavoro quotidiano), mi ha guardato come se io fossi appena arrivata da un altro pianeta.
Per lui la mia obbiettività non aveva senso.
"Due grossi schieramenti di giornalisti, inconciliabili - dice Pablo Antillano - hanno rispolverato le vecchie nozioni dell'intellettuale impegnato, dell'impegno e della militanza per giustificare le loro coazioni quotidiane, a volte passionali e altre volte, poche, concettuali. Agli uni e agli altri servono per lanciare sabbia negli occhi dei lettori, per portare acqua al proprio mulino e per far sì che la ragione delle proprie convinzioni si trasformi in rivelazione divina, esaltata, univoca, ineludibile e possente. Entrambi i gruppi lo fanno in nome del bene comune, invocano la difesa della democrazia, della giustizia e della redenzione, si muovono in nome della libertà di espressione e accusano gli avversari politici di manipolare l'informazione, di mentire, di aggredire, di promuovere uno scenario politico dalle conseguenze diaboliche.
Entrambi trovano giustificabile che si violino i principi fondamentali della professione giornalistica perché non sembra loro un periodo adatto per fare giornalismo, perché il momento impone di essere militante e impegnato.
Resteranno nella storia del giornalismo gli editoriali così espliciti di grandi giornali nazionali o regionali secondo cui in gioco c'è qualcosa di più importante del giornalismo e che quindi bisogna comportarsi di conseguenza".
( www.analitica.com/bitblioteca/pantillano/arsenico.asp )