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La stampa estera ricalca la linea dei media commerciali di Caracas, ma sul piano internazionale le reazioni sono stranamente sotto tono. Lo sottolinea bene Ignacio Ramonet, definendo la cosa "stupefacente", e denunciando "la quasi totale assenza di emozione internazionale davanti a un'iniquità commessa contro un governo che sta portando avanti, nel massimo rispetto delle libertà, un programma moderato di trasformazioni sociali: un governo che - spiega il direttore di Monde diplomatique) - incarna l' unica esperienza di socialismo democratico in America latina".
È "desolante", aggiunge Ramonet, "constatare che i partiti socialdemocratici europei, tra cui il partito socialista francese, sono rimasti in silenzio durante la breve parentesi di soppressione delle libertà in Venezuela. E che alcuni dei dirigenti storici della socialdemocrazia, come Felipe Gonzalez, hanno avuto l'indecenza di giustificare il colpo di stato, e non hanno esitato ad associarsi all'euforia manifestata dal Fondo monetario internazionale, dal presidente degli Stati uniti e dal primo ministro spagnolo José Maria Aznar, presidente in carica dell'Unione europea..."
L'ultima volta che i militari rovesciarono un presidente in America latina - rileva ancora Ramonet (*) - "fu ad Haiti, nel settembre 1991, quando le forze armate deposero Jean Bertrand Aristide. Si credeva che una volta finita la guerra fredda, Washington avesse accantonato anche lo spirito dell'«operazione Condor», con la quale, in nome dell' anticomunismo, gli Stati Uniti favorirono l'insediamento di varie dittature in America del Sud negli anni '70 e '80. Si pensava che ogni cospirazione contro regimi liberamente eletti sarebbe stata condannata. Ma, dall'11 settembre 2001, lo spirito bellicista che soffia su Washington sembra aver spazzato via questi scrupoli . Oramai, come ha detto il presidente George W. Bush, «chi non è con noi è con i terroristi» ". (Appendice 10)
(*) Una curiosità: Ramonet era stato al centro nel febbraio, alla vigilia del golpe, di una curiosa provocazione mediatica da parte di uno dei giornali dell'opposizione, che gli aveva attribuito, non si sa a quale scopo, una intervista mai realizzata (Appendice 11)
Se comunque le masse delle bidonville di Caracas e ampi settori delle forze armate hanno riportato Chavez a Miraflores, le forze sociali che si oppongono a "cavallo pazzo" non si danno per vinte e la macchina si rimette subito in moto. In una sua analisi a caldo Maurizio Matteuzzi - "Scacco all'imperatore", La rivista del Manifesto, maggio 2002 (Appendice 12) - fornisce un quadro molto articolato dello sfondo ideologico, sociale e politico che sta dietro i golpisti e del clima da guerra civile in cui i proprietari dei media si lanciano in prima persona nell'avventura. Un blocco che il controgolpe non ha scoraggiato.
"Chavez - spiega Matteuzzi - era ormai in guerra aperta con tutti i poteri forti. L'imprenditoria, riunita in Fedecámaras, la confindustria locale, che Chavez accusava di «complotto e sovversione»; la Conferenza episcopale venezuelana, duramente critica e da lui liquidata come «un tumore nel processo della rivoluzione bolivariana»; parte dei vertici delle forze armate, molti dei quali laureati nella School of Americas di Fort Benning; i principali network privati della stampa scritta e radiotelevisiva, che sparavano ad alzo zero contro Chávez e che Chávez ricambiava, denunciandone il «terrorismo psicologico»; il sindacato tradizionale, Ctv, Confederación de Trabajadores de Venezuela, guidata da Carlos Ortega e Manuel Cova, legata al vecchio duopolio Ad-Copei; la Pdvsa , Petróleos de Venezuela, la vacca sacra da cui il paese trae l'80% delle sue entrate da esportazione, che Chavez in febbraio aveva tentato di mettere in riga, licenziando tutto lo staff dirigente e nominando al loro posto uomini più affidabili (o malleabili). Troppi nemici per una «rivoluzione pacifica».